Albania: l’informazione in quarantena
Il COVID-19 ha messo in luce la debolezza dell’informazione in Albania. Il monopolio governativo della comunicazione sul coronavirus ha sollevato preoccupazioni sulla trasparenza nella gestione della pandemia e sulla libertà dei media
La pandemia ha raggiunto ufficialmente l’Albania il 9 marzo, immediatamente seguita da due mesi di lockdown con severe misure restrittive, dichiarazione dello stato di emergenza (in vigore fino al 23 giugno) e sospensione parziale della Convenzione per la protezione dei diritti umani. Il governo ha adottato una pesante retorica bellica sul virus, con veicoli corazzati per le strade e pesanti multe, che ha destato un senso di paura nella popolazione.
All’inizio di maggio, le misure sono state allentate e la vita è quasi tornata alla normalità. Il tasso di infezione è stato inferiore a 20 persone al giorno, mentre il numero di test eseguiti rimane relativamente basso.
In generale, c’è una certa confusione tra la popolazione riguardo alle misure adottate, insieme a sfiducia e percezioni negative della capacità dell’Albania di affrontare adeguatamente la situazione, specialmente alla luce del numero di operatori sanitari recentemente emigrati in Germania. Si teme che il tasso di infezione possa tornare a salire.
Il primo ministro al timone
Un aspetto chiave nella gestione della pandemia sta nella comunicazione efficace e coerente. Come altri paesi, l’Albania ha istituito un comitato tecnico di esperti incaricato di prendere decisioni per contenere l’epidemia. Tuttavia, il lavoro del Comitato è stato caratterizzato da poca trasparenza sulle sue competenze e sulla misura in cui le sue raccomandazioni sono state convertite in decisioni politiche. Fino ai primi di maggio, non si sapeva nemmeno il nome del presidente del Comitato.
La pandemia ha offerto un’opportunità al primo ministro Edi Rama, che ha preso il timone della comunicazione con una presenza costante sui social media e sull’emittente online ERTV. Solo nel primo mese di lockdown, Rama ha pubblicato 407 post su Facebook (13 al giorno) e 47 ore di video , dando così vita alla prima esperienza di governance tramite i social media in Albania.
"Fondamentalmente, il primo ministro ha monopolizzato non solo il contenuto (ciò che apprendiamo e pensiamo sulla crisi), ma anche la cornice (in che modo pensiamo alla crisi) e i mezzi (come riceviamo le informazioni)", spiega Blerjana Bino, co-fondatrice di Science and Innovation for Development (SCiDEV).
La maggior parte delle decisioni è stata pubblicata per la prima volta sull’account Facebook di Rama e successivamente nella Gazzetta ufficiale, mentre le "conferenze stampa" erano in realtà chiuse ai giornalisti.
La centralizzazione dell’informazione è stata motivata con la necessità di combattere disinformazione e "infodemia" sul coronavirus. Tuttavia, "la narrazione bellica del governo minaccia i diritti umani e le libertà, nonché la libertà dei media, in modo sproporzionato rispetto alla situazione", sostiene Bino.
Media sotto attacco
La "messa in quarantena" dell’informazione ha portato ad una generale mancanza di trasparenza e responsabilità sulla gestione della pandemia da parte del governo, confermando ancora una volta il disprezzo di quest’ultimo nei confronti dei media. I media nazionali hanno avuto scarse opportunità di informare il pubblico e contrastare la narrazione del governo.
L’ostilità nei confronti dei media è diventata evidente alla fine di marzo, quando il primo ministro ha inviato un messaggio vocale ai telefoni cellulari dei cittadini, avvisandoli di rimanere al sicuro e di "proteggersi dai media". Non è la prima volta che il governo mostra una posizione così drastica contro la libertà dei media: all’inizio di quest’anno ha adottato un controverso pacchetto "anti-diffamazione", attualmente in fase di revisione da parte della Commissione di Venezia.
“Viviamo una pericolosa crisi di comunicazione. Secondo me, il governo albanese è uno di quei regimi che usano il coronavirus per interessi particolari e a breve termine”, afferma Lorin Kadiu, direttore esecutivo dell’organizzazione Citizens Channel. "Abbiamo sollevato preoccupazioni sul monopolio dell’informazione e la volontà di silenziare le voci critiche", aggiunge.
Durante la pandemia, un precedente è stato creato dall’Ispettorato nazionale della sanità, che ha multato la TV privata Ora News per presunta violazione delle regole di distanziamento sociale durante due programmi in prima serata. Inoltre, l’Ispettorato ha raccomandato la sospensione delle trasmissioni. La decisione è stata dichiarata sproporzionata e politicamente motivata dalle organizzazioni dei media. La pressione dell’opinione pubblica ha portato al ritiro di tutte le misure da parte dell’Ispettorato una settimana dopo.
Nonostante le restrizioni, i media hanno cercato di dare spazio a valutazioni alternative da parte degli esperti, in particolare coinvolgendo le competenze mediche della diaspora. "Esperti di alto livello sono stati presenti sui media e hanno risposto alle preoccupazioni dei cittadini, ma hanno ripetutamente taciuto su importanti questioni relative alla trasparenza e al diritto dei cittadini di sapere”, afferma Kadiu. Tuttavia, "rispetto allo spazio in prima serata dedicato ai soliti analisti e opinionisti, direi che le analisi degli esperti rimangono in una certa misura emarginate nella sfera pubblica", conclude Bino.
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