Albania: la rivoluzione civica
Gli Stati Uniti avrebbero scelto l’Albania per smaltire le armi chimiche siriane perché partner fedele e arrendevole. Ma questa volta è arrivato un "no". Frutto della grande mobilitazione civica a favore dell’ambiente che ha messo il nuovo governo di Edi Rama con le spalle al muro
La notizia che l’Albania avrebbe accolto le armi chimiche del conflitto siriano, gli albanesi l’hanno letta nei media internazionali. Vi si riportavano affermazioni delle autorità americane che lasciavano pensare a colloqui e assensi precedenti e non semplicemente ad ipotesi eventuali e remote.
Come già avvenuto anche in passato i cittadini hanno ottenuto informazioni dai social network, grazie a internet, e non dalle autorità albanesi come sarebbe stato ovvio in una democrazia.
Si direbbe: niente di nuovo, in una sistema fragile come quello albanese. Quanto accaduto in seguito però fa sperare – anche i più scettici – in un risveglio della società civile albanese e addirittura nell’inaugurazione di una nuova fase dello sviluppo sociale e politico del paese.
Pattumiera disobbediente
Appena è emersa la notizia scoop che l’Albania avrebbe accolto le armi chimiche siriane i primi sentimenti degli albanesi, in particolar modo su Facebook e Twitter, sono stati quelli di rabbia e rivolta.
Un fenomeno che poche altre volte si era verificato, probabilmente comparabile alla rabbia cittadina dei disordini del 21 gennaio 2011. In molti pubblicavano status e foto facendo appello a protestare, altri stilavano lunghi e articolati testi in cui spiegavano le ragioni per cui ci si doveva opporre alle armi chimiche sul suolo albanese.
Cittadini politicamente non impegnati, di varia estrazione sociale e territoriale, che motivavano la necessità di rivolta rilevando le conseguenze disastrose che lo smaltimento delle armi chimiche avrebbe comportato in Albania: un inquinamento permanente per via delle scorie; una mancata responsabilità nei confronti delle future generazioni; la sensazione di essere sempre una pattumiera degli alleati più ricchi e potenti.
La mobilitazione sui social network, per quanto intensa, inizialmente poteva far pensare al solito attivismo pigro sul divano, che si era puntualmente verificato finora in Albania, una sorta di catarsi egocentrica, scaricare la propria rabbia con un click senza scomodarsi di scendere in piazza.
Questa volta però i fatti non hanno dato ragione agli analisti più scettici di Tirana. Agli appelli a protestare in piazza hanno risposto in tantissimi, e manifestazioni simultanee hanno avuto luogo in tutti i centri urbani albanesi.
A capo della protesta due associazioni ambientaliste, tra cui l’AKIP nata nel 2011 contro la legge sull’importazione dei rifiuti di iniziativa dell’ultimo governo Berisha. Numerosi inoltre i giornalisti e i cittadini attivi che per la prima volta nella storia pluralistica albanese si sono visti uniti andando oltre le rispettive appartenenze politiche e sociali. Grande solidarietà in piazza, davanti al parlamento e davanti alla sede del consiglio dei ministri a Tirana. Una protesta che è durata per diversi giorni e notti.
E’ successo in poche parole quello che da anni nessuno sperava più, il risveglio della screditata società civile albanese, questa volta senza le solite ONG parapolitiche e corrotte, ma un’azione di spontanea iniziativa cittadina. Impensabile fino a poco tempo fa.
Ad aver apportato tale liberazione sicuramente le ultime elezioni, considerate come le più democratiche svoltesi dopo la caduta del regime, e la fine dell’era Berisha con lo sgretolamento di quel sistema politico autoritario che verteva tutto sulla sua forte personalità.
Ambientalismo sporadico e opportunistico
Una delle prime iniziative intraprese dal nuovo premier Edi Rama è stata l’abolizione della legge che dava il via libera all’importazione dei rifiuti in Albania. Salutata da più parti, ha fatto tirare un sospiro di sollievo agli ambientalisti e ha fatto sperare in un governo più sensibile ai temi ambientali.
La questione delle armi chimiche ha però fatto perdere molti punti a Rama, non solo per la mancanza di coerenza con le sue intenzioni, e le sue promesse elettorali, ma soprattutto per la mancanza di trasparenza dimostrata, che non ha certo fatto di Rama su questo un leader politico migliore dei precedenti.
Solo messi con le spalle al muro dalle proteste cittadine, Rama e i socialisti sono stati costretti a confrontarsi sulla questione in pubblico. E ciononostante rimane indeterminatezza e mistero su quanto è accaduto, sulle modalità e sul livello di concretezza che avesse la richiesta americana, su chi abbia condotto i colloqui dove si dice le parti si fossero già accordate. Era probabilmente ormai questione di poche settimane e le armi chimiche sarebbero giunte in uno degli impianti industriali dismessi dell’Albania centrale. Poca chiarezza anche sulla pericolosità delle sostanze residue dello smantellamento che i portavoce del Partito socialista dichiaravano fossero assolutamente non nocive, e addirittura “eliminabili con acqua e sapone”.
Come se non bastasse, nella confusione dell’ambientalismo opportunistico all’albanese, è sceso in campo anche Berisha, che questa volta – nessuno ma proprio nessuno se lo sarebbe immaginato – si è reinventato ambientalista e ha solidarizzato in piazza con i manifestanti salutando la folla come sempre da 20 anni a questa parte con le dita alzate a forma di V.
Ma per la prima volta nella storia dell’Albania i manifestanti l’hanno fischiato, e mandato via senza timore, preservando il carattere non politico e civico della manifestazione. Un altro punto in favore a questo risveglio democratico dell’Albania.
Dopo vari giorni di silenzio e confusione tra le fila del Partito socialista, venerdì 15, nel pomeriggio, mentre in piazza erano in migliaia a protestare, si è presentato davanti al paese un Edi Rama stressato e confuso, per comunicare la decisione presa dal governo sulla questione.
Il suo discorso di ben 30 minuti che ha tenuto con il fiato sospeso tutti gli albanesi – pur distinguendosi per uno stile raffinato e acuto – è stato paragonato da molti ai lunghi e logorroici discorsi di Enver Hoxha, mentre il noto intellettuale Fatos Lubonja non ha esitato a compararlo al discorso di Hitler prima della capitolazione della Germania nella Seconda guerra mondiale, dove si dava la colpa della disfatta ai cittadini tedeschi.
Un discorso dove emergeva una certa frustrazione, ma stilisticamente molto interessante, nel quale si spaziava dalle analisi chimiche a quelle geopolitiche, sino all’esaltazione della benevolenza degli USA che “non farebbero mai del male a nessuna nazione”.
Sembrava che Edi Rama volesse deludere definitivamente gli albanesi, perché sino all’ultima frase non si era capito che decisione fosse stata presa. Ma infine Edi Rama ha affermato: “In linea con le posizioni degli albanesi, direi che l’Albania non è in grado di farsi carico dello smaltimento dei rifiuti chimici in questione”. E’ seguito grande entusiasmo della folla. Per la prima volta nella storia dell’Albania i cittadini sono riusciti a bloccare un’iniziativa dei loro leader, e tutto ciò senza conflitti e disordini.
L’elefante e la formica
Una grande vittoria degli albanesi, non solo sul piano civile nazionale, ma anche a livello internazionale. Spicca la voglia di riscatto, e la rabbia contro il finire sempre per fare la pattumiera dei propri alleati internazionali più potenti. Voglia di non farsi schiacciare, e per la prima volta anche rimessa in discussione dell’acritica e imbarazzante USAfilia degli albanesi: si sono addirittura verificate manifestazioni davanti all’ambasciata americana a Tirana.
Come ha spiegato poi l’ambasciatore americano in un’intervista televisiva, il premier Edi Rama avrebbe ricevuto una richiesta scritta dal presidente Barak Obama. Perché proprio l’Albania? Se lo sono chiesti in molti. Sicuramente non si trattava della vicinanza geografica alla Siria e difficilmente si può pensare che ad invogliare gli USA siano state le discutibili infrastrutture del paese per la gestione dei rifiuti tossici e pericolosi. Sembra che l’Albania sia stata scelta solo in quanto un alleato sottomesso e devoto. Questa volta però gli albanesi hanno dimostrato di saper mettere in discussione le convinzioni geopolitiche se queste vanno a scapito della propria dignità e apportano solo svantaggi al proprio territorio.
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