Albania: la rabbia e la disperazione dei giovani di Tirana
L’8 dicembre scorso Klodian Rasha, 25 anni, è stato ucciso da un agente di polizia. Da allora sono scesi in piazza i giovani di Tirana e ci sono stati violenti scontri con la polizia. L’omicidio, per quanto tragico possa essere, è sufficiente a spiegare questa esplosione di rabbia? Un editoriale
(Pubblicato originariamente da Lapsi , il 14 dicembre 2020, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBC Transeuropa)
Le violente reazioni all’omicidio di Klodian, un giovane di 25 anni, hanno diviso in due la società albanese, creando un falso dibattito e rendendo impossibile capire cosa sta succedendo nel paese. La partita tra chi è al potere e chi cerca di strapparglielo, le faide sui social media tra chi difende la vita umana e chi si lamenta per un albero di Natale distrutto, assomigliano all’ennesimo dibattito sul sesso degli angeli. E così se si tratta di guardare davvero a cosa sta realmente accadendo per le strade dell’Albania, non si capisce niente.
Chi ricorre alla violenza, chi picchia la polizia, chi ribalta la slitta di Babbo Natale non è un attivista politico. Molti sono adolescenti che probabilmente non hanno mai sentito parlare di Sander Lleshaj, il ministro dell’Interno dimessosi. E che potrebbero confondere Lulzim Basha con Edi Rama, con la stessa leggerezza con cui scambiano Sali Berisha per Ramiz Alia. La loro violenza non è diretta solo contro il governo: hanno infranto i vetri del ministero dell’Interno, hanno cercato di entrare nel palazzo del governo, hanno sfondato le finestre del Partito socialista al potere, ma sono sicuro che con la stessa indifendibile leggerezza avrebbero violato gli uffici del Pd, la redazione di Lapsi.al o l’edificio di TV Klan.
Con una forza ribelle che non riconosce le autorità, distruggono semafori, addobbi natalizi, attività commerciali private, banche… Ma quello di cui non si rendono conto è che stanno vivendo in un paese dove il primo ministro e una dozzina di intoccabili oligarchi condividono tutto. E in caso di cambio di potere, questi oligarchi saranno ancora lì. Il che porta a ritenere che a breve non possono esserci cambiamenti sostanziali.
Eppure istintivamente capiscono cose più semplici: quando un giornalista televisivo punta la sua telecamera, chiedono giustizia, si tolgono le maschere e si precipitano a rompere la vetrina successiva. Ma allora, che tipo di giustizia esigono, se il poliziotto colpevole dell’uccisione è ammanettato e il ministro responsabile si è dimesso? Ma queste domande non interessano loro. Tuttavia capiscono ad esempio che, nonostante tutte le promesse di punire i responsabili della morte di Ardit Gjoklaj, investito da un bulldozer in una discarica di Tirana la notte tra il 7 e l’8 agosto 2016, mentre stava smistando i rifiuti, non è stato fatto nulla.
Né giustizia, né uguaglianza di possibilità, né speranza
C’è anche una cosa di cui sono consapevoli: di non avere più speranza. Gli basta guardare ai loro genitori che tornano a casa non pagati dopo una dura giornata di lavoro, ai loro amici che, qualunque siano le loro capacità, non troveranno mai un lavoro, a meno che ovviamente non si iscrivano alle organizzazioni giovanili del Partito Socialista, del Movimento per l’Integrazione o del Partito Democratico… Sanno anche che, nella maggior parte dei casi, sono destinati a subire la stessa sorte di Klodian Rasha, anche se non verranno uccisi da proiettili di stato. Sono progettati per essere vittime di una società che ha liquidato l’ascensore sociale e li vede nel peggiore dei casi come schiavi, nel migliore come consumatori.
E no, non hanno gli strumenti adeguati per interpretare il dibattito tra difensori della vita e difensori dell’albero di Natale. Sono orgogliosi di essere chiamati “barbari”’, come li chiama questa grigia borghesia, probabilmente non coinvolta in furti o crimini di alto livello, ma che gode di minimi benefici che ne derivano e che, alla lunga, è sprofondata nell’indifferenza. Sentono che agli occhi di molti sono vandali e sequestratori di ostaggi. Ma se ne fregano. Quelli che li chiamano così, sono "vecchi", sono finiti, ogni passione in loro si è spenta.
Ecco perché la loro rabbia disperata va oltre il semplice poliziotto, ministro o politico. Si rivolge a tutti noi, gli strati superiori della società, senza alcuna differenza, perché tutti insieme abbiamo creato un soffitto di vetro che non possono superare senza frantumarlo in mille pezzi.
Se ne fregano dei dibattiti arguti sulla difesa dei valori e dei principi di una società, sull’istituzione di norme e leggi democratiche. Non vivono nello stesso mondo: per loro non c’è giustizia, nessuna parità di opportunità, nessuna speranza di andare avanti.
La parte peggiore di questa storia è la propaganda di Edi Rama, che cerca di ritrarre i rivoltosi come attentatori suicidi manipolati da un’opposizione che strumentalizza gli adolescenti, perché non in grado di prendere il potere da sola attraverso le urne.
Ma queste proteste sono un’esplosione di rabbia, non a causa di una morte, ma per la frustrazione sociale che si è accumulata per anni e anni. Questa violenza non è la barbarie di hooligan, ma un avvertimento, perché la nostra società attuale non è tanto meglio di un vecchio edificio traballante i cui piani non comunicano tra loro. Non si tratta più di usare falsi alibi o false risposte: aumenteremo solo la rabbia. E se non sappiamo decifrare questo messaggio, perché la cecità della violenza e della rabbia lo rendono difficile da decifrare, quello che vediamo oggi non è niente rispetto a quello che succederà domani.
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