Albania: il proiezionista di Përmet
A Përmet vi è una delle ultime sale cinematografiche dell’Albania. Ramazan è la sua anima e per 50 anni ne è stato il proiezionista, dalla censura del regime di Hoxha ai porno del periodo dell’anarchia degli anni ’90
(Quest’articolo fa parte del webdoc Dollibashi )
"La prima volta che sono entrato in questa sala era il 1968. E sono ancora qui, dopo 50 anni. Sono in pensione, ma continuo a venire, a prendermene cura".
Ramazan Islami è alto e magro, con i suoi anni portati bene. Quando si muove all’interno del cinema di Përmet neanche lo senti, leggero, conoscendo ogni angolo di quella che è una delle ultime – e meglio conservate – sale cinematografiche del paese.
l tempo qui si è fermato. La rapidità con la quale è cambiato il volto dell’Albania in questi anni è stata, per certi versi, anche iconoclasta con il passato. Qui a Përmet, questa sala, è come era negli anni Sessanta. Le sedie, le tende, lo schermo. Un fermo immagine.
L’ingresso, i bagni, il piccolo cucinotto che fungeva da punto ristoro e la sgangherata scala che conduce al regno di Ramazan: la sala del proiezionista. Perché Ramazan, “ma tutti mi chiamano Zami del cinema”, è stato il proiezionista di Përmet per tutta una vita.
“Ho studiato a Tirana come operatore cinematografico, poi ho fatto la specializzazione nei cinema della capitale, dove sono nato, come assistente. Mi mandarono qui, nel ’68, come responsabile. Ho trovato un disastro. Il mio predecessore era della vecchia guardia, non un professionista, e le pellicole erano rovinate, il proiettore si bloccava sempre. Ho messo tutto in ordine, ho fatto andare la vecchia macchina italiana. Poi, in quegli anni, c’era l’amicizia con i cinesi e sono arrivate le macchine nuove. Le conosco così bene che sono ancora in perfetta forma!”.
E Ramazan le mette in moto, con un’operazione dove il confine tra magia e tecnica è molto labile.
Ma funziona. Parte una pellicola italiana, uno di quei film sulla polizia e i banditi anni ’70. Una scritta, all’inizio del film, annuncia pomposamente che l’Italia è un paese borghese, mettendo in guardia gli spettatori sulla violenza delle società capitalistiche.
“Le pellicole arrivavano da Tirana, decidevano tutto là. I film venivano montati al Kinostudio della capitale, e li provavamo qui, prima ancora che nei cinema di Tirana. Perché mi conoscevano, ero ritenuto un tecnico di livello. Il nostro era un mestiere complicato, pieno di responsabilità. L’errore non era mai umano, veniva sempre considerato politico. Se succedeva qualcosa all’audio mentre andava un video di Hoxha, ad esempio, erano guai”, racconta ridendo Ramazan.
“Ricordo ancora il povero Mehmet, un collega di Fjier. Gli mandarono una copia manomessa: invece del film, partì un intervento di Kadri Hazbiu, ex ministro degli Interni caduto in disgrazia politica, che criticava il dittatore. Passò il resto dei suoi giorni in un magazzino per non aver prevenuto il sabotaggio. Per il resto c’era una censura molto forte. Ricordo Z – L’orgia del potere, di Costa Gravas. Ero andato a prenderlo a Tirana, quindi ero riuscito a vederlo prima della censura. Gran film. Dagli studi uscì con il titolo Lui vivrà per sempre, che non c’entrava niente, ma era meno politico. E non lo proiettarono a Tirana, per non avere l’attenzione delle ambasciate e del pubblico della capitale, che si inferocì perché noi di provincia lo vedemmo e loro no”, ridacchia il proiezionista, accendendosi l’ennesima sigaretta.
Quali film arrivavano? “Tanti film italiani, censurati, ma tanti. Tra loro c’è il mio preferito: L’uomo con i pantaloncini corti. L’ho amato tanto! A quel tempo, a Përmet, non c’erano televisori in casa e il cinema faceva fino a quattro proiezioni al giorno, tra cinegiornali, documentari e film. Programmavano tutto e noi ricevevamo 14 pellicole per bambini e 14 pellicole per adulti da far ruotare. Gli anni più duri son stati quelli dell’amicizia di ferro con la Cina: arrivavano dei polpettoni incredibili, la gente li odiava, non capiva. E io dovevo metterli lo stesso prendendomi gli insulti dei concittadini! Ma era una magia, era sempre pieno.”
E poi gli anni Novanta e l’anarchia. “Io e la mia famiglia venimmo a vivere nel cinema. Mi conoscevano tutti, mi rispettavano, così ho potuto proteggere la sala, dopo che nei primi giorni della caduta del regime era stato incendiato il palco. Tutto quello che era dello Stato, con la rabbia di quei giorni, era a rischio. Sapevo che con me e la mia famiglia dentro non avrebbero fatto sciocchezze e son riuscito a proteggerlo. In quegli anni si trovavano solo pellicole porno, con tutte le polemiche che potete immaginare! Ma che potevo fare, c’era solo quello, almeno lavoravamo.”
Oggi Ramazan è in pensione. La nuova direttrice del Kinostudio di Tirana lo ha sostenuto, fornendogli pezzi di ricambio per i proiettori e alcune vecchie pellicole. Lui è là, aspetta qualche visitatore, gentile e sorridente. “Quando vengono turisti, a seconda della nazionalità, corro a prendere le vecchie pellicole e accendo per loro. Sono felice di farlo vivere e se il comune lo restaurerà, senza distruggerlo, sarei felice di continuare e di insegnare a qualcuno giovane questo magico mestiere.”
Il progetto
Dollibashi è il titolo di un webdoc del giornalista Christian Elia e della fotografa Camilla de Maffei. E’ il risultato di tre anni di lavoro in cui hanno affiancato, in Albania, le attività dell’ong italiana Cesvi che tra il 2018-2020 è stata capofila del progetto Albania, Viaggia a modo tuo: gestione multi-attore integrata del turismo rurale e culturale nelle regioni di Argirocastro e Berat (TREC).
Il progetto ha puntato allo sviluppo di un sistema integrato di accoglienza turistica in quattro territori specifici dell’Albania meridionale: Argirocastro, Skrapar, Berat e Përmet. I risultati di questo lungo lavoro sono stati poi raccolti all’interno del sito www.trecalbania.com .
Nel webdoc Dollibashi memorie e identità si intrecciano con persone e luoghi. Il titolo scelto rimanda al termine albanese con cui si descrive il momento in cui ci si siede attorno a un tavolo per condividere un bicchiere e chiacchierare della vita. Un racconto “a più voci” che restituisce le stratificazioni di un paese ancora tutto da scoprire. Vai al webdoc
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