Tipologia: Notizia

Tag: Minoranze

Area: Albania

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Albania: i due mari

L’estate è giunta ormai da tempo alla fine. Un altro anno che passa per l’Albania del sud. Uno sguardo retrospettivo cerca di individuarne i problemi e le contraddizioni, tentando di intravvedere la prospettiva di un "non lontano" sviluppo turistico. Un reportage

17/10/2005, Redazione -

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Di Ervjola Selenica *

Il traghetto ci lascia a Durazzo, principale porto dell’Albania centro-occidentale, probabile futura metropoli di un lungomare imbevuto di odori di sviluppo industriale, piuttosto che centro di uno sviluppo turistico, che invece si sposta sempre di più verso il sud.

La prima meta è Tirana, la capitale che ha voluto scrollarsi di dosso i colori grigi di un passato dittatoriale che, almeno qui, col tempo s’attenua. La capitale, con i suoi quartieri colorati, pare determinata ad appartenere al presente e a proiettarsi nel futuro. Il futuro, qui, sono anche le rotonde stradali in costruzione che intasano il traffico in entrata, e le code in autostrada per l’effettiva messa in funzione di un autovelox.

L’aria è densa di attività, di una generazione di giovani che ama gli spazi e i tempi notturni che la capitale offre, quasi volesse assolutamente fare ciò che la generazione dei genitori non ha potuto fare.

Durazzo e Tirana siedono al centro del paese, e avanzano con passi sempre più rapidi, al punto da sembrare affrettate agli occhi delle città del sud e tanto più del nord.

L’obiettivo è l’integrazione europea, un obiettivo certo lontano che ad alcuni appare addirittura remoto.

Diretti a sud salutiamo di buon mattino l’aria meticcia di Tirana, attraversando decine di autolavaggi, avvolti in una densa nuvola di smog che lascia sulla pelle la sensazione della contaminazione di stili, di odori, ma sopratutto di benzine maldigerite.

Attraversiamo senza fermarci l’insenatura di Valona, da una parte una penisola, dall’altra l’isola di Sazan. La strada inizia ad inerpicarsi lungo le pendici del massiccio del Llogara, parco nazionale, sino ad arrivare al monumento che celebra la sconfitta delle truppe italiane da parte dei partigiani albanesi.

La montagna si fonde con la penisola di Karaburun, e arrivati al passo, si dispiega un panorama infinito di mare e isole greche. Ci addentriamo in una terra dove gli spazi diventano confusi, e le lingue parlate non corrispondono a quelle dichiarate sui documenti ufficiali. Lungo la strada compaiono sui muri scritte in greco, inneggianti a Omonia (l’organizzazione politica della minoranza greca in Albania).

La percezione del territorio si fa complessa. Quest’ultimo è plasmato da una inestricabile mescolanza di influenze storiche, commerciali, ma anche di strumentalità politica e di opportunismo dettato dalle contingenze.

L’atmosfera che si respira in località turistiche come Dhermi, e lungo tutta la costa ionica, affollatissima nei primi 15 giorni di agosto, ci suggerisce l’esistenza di una questione sempre più rilevante per capire le sorti di questa regione: l’identità greca. Identità incoraggiata dalle pratiche di Atene che concede ai membri della minoranza greca, oppure ad altri gruppi che si reputano appartenenti a questa minoranza, la propria carta d’identità.

Nascono così rivendicazioni di nazionalità spesso incongrue, per lo meno se comparate a quelle delle minoranze greche che da sempre vivono nella zona sud-orientale del paese.

Identità complesse da una parte, confini dei mari netti dall’altra: qui infatti finisce l’Adriatico e inizia lo Ionio. La spiaggia sprofonda immediatamente già a pochi metri da riva, e cambiano le regole delle correnti, dei venti e della navigazione. Le acque calde e salate dello Ionio ospitano la profondità massima del Mediterraneo (5093m).

La maggior parte dei turisti che riempiono le spiagge di Dhermi sono della capitale.

Percorriamo la sconnessa statale ionica, strada costruita negli anni ’30 dal regime di Mussolini. Una strada che sancisce una palese divisione fra questa regione meridionale e il resto del paese per quanto concerne i collegamenti e le direttrici dello sviluppo economico, sociale, politico. Per certi versi sembra che il tempo non sia passato, e sembra di essere all’inizio del secolo scorso, quando queste zone potevano commerciare solo con la Grecia per questo molti dei suoi abitanti ne avevano appreso la lingua. A distanza di decenni è tornata forte l’influenza greca, la quale poggia su elementi quali la religione ortodossa, su un quadro linguistico frammentario e talvolta contraddittorio, e soprattutto sul fattore economico e migratorio.

Ogni volta che si percorre la Valona-Saranda ci si chiede come possa essere che una strada spesso fatta più di buchi che di asfalto possa essere l’unica infrastruttura a collegare la costa con il resto del paese, come possa pretendere di fungere da strumento principale nel futuro sviluppo del turismo, che viene così rimandato ad una occasione più approssimativa che prossima.

Scendiamo in direzione di Saranda per fermarci a Himare, dove ci dicono è più probabile trovare un posto per prenottare.

Mezz’ora di curve a precipizio sull’abisso ci portano a raggiungere la cittadina, dove fanno bella mostra le lussuose macchine dei vip della politica.

Dal piccolo porto di Himare parte un’imbarcazione diretta a Corfù, anche se è difficile capire quando e come. La presenza di qualche targa olandese e italiana indica un’embrionale apertura anche al turismo straniero, che per tutti gli anni della transizione si è mostrato diffidente verso la costa albanese, poco promossa e tagliata fuori dai promoter greci.

Oltre alla massa di abitanti di Tirana e a qualche sparuto straniero, il mese di agosto segna soprattutto il ritorno degli emigrati che tornano per le ferie, sobbarcandosi il peso di lunghi viaggi. Fra questi, mentre i giornali raccontano di un’ondata di violenza criminale, spiccano anche a occhio nudo gli emissari di reti mafiose rientrati dall’estero con le famigliole, tanta è l’ostentazione e il senso di impunità che li accompagna.

Per 15/20 euro a notte si può affittare un appartamento nuovo costruito su un terrazzamento che si affaccia sul mare cristallino – appartamento costruito con i materiali e i risparmi che arrivano dagli emigranti in Grecia – e allacciato alle condotte d’acqua con acrobatiche condutture riscaldate con moderne cellule fotovoltaiche. Sul retro, lungo la famigerata strada principale, le vecchie del villaggio fanno scomparire l’immondizia accumulata dandole fuoco.

L’odore di terra bruciata si mescola con quello dell’aria iodica, e tutto fa pensare a incendi piuttosto frequenti. Ci spiegano che sono i pastori che preparano il terreno sul quale poi si spargono le macchie bianche delle pecore e delle capre.

A Borsh, insolito villaggio musulmano in queste zone a predominanza ortodossa, il rumore violento dell’acqua corrente e un’insolita freschezza ci invitano a una sosta nel famoso ristorante dalle cascate fredde, che si alternano all’ombra di grandi alberi. Il ristorante serve pesce fresco, e venne costruito al tempo della dittatura tramite lavoro forzato. La struttura pare non essere cambiata molto da allora. Nelle viscere della montagna tutti hanno cercato di infilare un tubo per l’approvvigionamento dell’acqua.

Proseguiamo verso Saranda, l’ultima città del sud. Entriamo a San Basilio, paese con il nome bilingue. Chiediamo spiegazioni e ci dicono che la prima dicitura è in albanese, la seconda è "in straniero". Il benzinaio vende anche origano appena raccolto in mazzi, e ci invita a deviare verso la spiaggia di Kakome, da lui definita come "la spiaggia di Di Caprio", riferendosi ai lidi thailandesi del celebre film con l’attore americano. Ci avverte che prima di arrivare, dei poliziotti ci fermeranno impedendoci di proseguire, che noi non gli dovremo dare retta, rimettendo in moto e proseguendo.

Ci inoltriamo per incompiute costruzioni stradali, ed il terreno finisce precipitosamente in una spiaggia circondata dalle colline e dall’immancabile fila di bunker di Hoxha.

Sulla riva di un mare incredibilmente azzurro, l’atmosfera è resa surreale da una famiglia di maiali e maialini che ci danno il benvenuto.

Scopriamo l’esistenza di una profonda diatriba tra i contadini che si definiscono i proprietari legittimi di queste terre, ed il governo di Fatos Nano, appena uscito di scena, che con un’operazione da 75 milioni di euro ha dato in prestito questa località fino al 2012 alla società francese "Club Mediterrané", che vi avvierà la costruzione di un villaggio turistico elitario che dovrebbe richiamare turismo internazionale.

Incalzato in parlamento, Nano ha dichiarato che non si può rimanere ingabbiati in un’ottica primitiva di chiusura verso l’investimento diretto straniero, altrimenti l’Albania rimarrà quella dei chioschi e delle spiagge sporche.

Saranda è deserta fino alle 6 di sera, quando aprono negozi e botteghe. Scendiamo fino a Butrinti, recentemente sito archeologico scoperto negli anni trenta da un’archeologo italiano. Qui la sagoma di Corfù si staglia a meno di due miglia da noi.

Entrando nello splendore delle rovine della città antica, fra i cartelli che ricordano le visite di personaggi illustri al sito archeologico ve ne è uno che ci informa che qui è venuto anche "Berluskoni".

L’isola, collegata alla terraferma con una strada, è circondata da una parte dal lago omonimo e dall’altra dallo Ionio, ed è ricoperta di fitta vegetazione tutto l’anno. Conserva un’aria misteriosa e stimolante, trasmette l’impressione di nascondere ancora molto nel sottosuolo, e forse ancora di più soprattutto nella zona subacquea. Lo hanno affermato anche i 110 esperti del National Geographic, che nel settembre scorso hanno visitato senza preavviso la città.

Si può ragionevolmente sperare che la recente scoperta di una grande catena di bagni termali sia la prima di una nuova serie, e che tutto questo testimoni la possibilità di turismo culturale in questa regione, possibilità confermata dall’esistenza di alberghi di buon livello.

Più a sud non si va. Non finisce il mondo, ma comincia la Grecia, con le sue interminabili file di migranti albanesi, ostaggi per ore e giorni delle pratiche di frontiera.

* Ervjola Selenica è stagista presso la redazione di Osservatorio sui Balcani

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