Albania e post-Covid19: lo sguardo alla vita rurale
In uno spazio sospeso in epoca Covid-19 tra il mondo digitale e la vita reale, una giovane donna albanese rientra in patria per promuovere lo sviluppo agricolo, la valorizzazione delle tradizioni e le pari opportunità nel settore rurale
La pandemia ci ha obbligati a stare in casa, spendendo del tempo sul computer, convertendo lo spazio digitale in un luogo dove rifugiarsi di fronte agli spazi angusti della casa. È in uno di quei giorni che ho scoperto il blog “Fshat e Zanat ” (Villaggio e mestieri).
Erano tanti i miei amici e conoscenti in Albania – e non – a seguire questo profilo social, dedicato ad un settore prettamente trascurato per decenni dalla politica e abbandonato dai giovani.
La curiosità mi ha spinto ad indagare, scoprendo con sorpresa che il blog era confluito nella pubblicazione di una rivista trimestrale dedicata alle storie di persone convinte della necessità di valorizzare le tradizioni, di ritornare, di riscoprire i mestieri tradizionali. Dietro quest’iniziativa vi è Marcela Tringaj, avvocatessa e madre di 3 figli, rientrata a Valona dopo anni di studio e lavoro in alcuni paesi europei.
Com’è nata l’idea di investire nella promozione del settore agricolo?
Vivevo in Inghilterra e tenevo relazioni con l’Albania purtroppo solo a distanza. Nutrivo da anni la passione per ‘il ritorno al villaggio’ ed ero riuscita ad unirla parzialmente con gli studi post-universitari. Non ero concentrata sullo sviluppo rurale sostenibile ma bensì studiavo lo sviluppo delle grandi aziende multinazionali, arrivando a convincermi che il capitalismo non era l’unico sistema che può portare prosperità ai paesi. Lo schema tralasciava il potenziale della gente comune, ed era ciò su cui si è a mio avviso spesso più deficitari.
Grazie al contributo delle persone comuni, invisibili e senza voce, si può portare avanti il processo di sviluppo. Così è nato il mio blog dedicato all’economia locale e alle centinaia di donne e uomini del settore agricolo, ritenuto tuttora fondamento dell’economia albanese. In seguito al rientro in patria, ho intrapreso un tour nei vari villaggi dal nord al sud del paese per comprendere meglio le sfide e le realtà locali del mondo rurale, facendo poi il passo successivo: la pubblicazione di una rivista, "N’Hamoni ".
Il settore editoriale albanese è un altro punto dolente, perché tentare con una rivista…
Sentivo il bisogno di far sentire la mia voce e portare insieme persone diverse che condividono la stessa passione. Tutto è cominciato su base del tutto volontaria. Volevo puntare l’attenzione sui contadini che con il loro lavoro onesto danno un contributo (invisibile per certi versi) allo sviluppo del proprio paese. Mentre la classe politica ignorava la realtà e la lotta alla sopravvivenza nei villaggi, la propaganda online li sfruttava solo per degli scatti al tramonto da far circolare sulla rete. È nostro dovere far tornare l’attenzione allo sviluppo sostenibile, al rafforzamento delle comunità e alla creazione di quella mutua fiducia andata smarrita negli anni.
In quali acque naviga il settore oggi?
Quasi il 43% della popolazione vive grazie alla coltivazione della terra, rendendo l’agricoltura un settore essenziale per il PIL albanese. Più della metà degli impiegati sono donne, il che incide molto nettamente sul bilancio familiare.
C’è l’esigenza di attirare l’attenzione al mondo rurale, lasciato per anni al degrado, per contrastare l’abbandono delle aree rurali con ritmi elevati da parte dei loro abitanti. Adesso del resto non soddisfa più nemmeno la vita nelle zone urbane, molti guardano nuovamente all’emigrazione. Molti giovani argomentano che la mancanza di prospettive e la disillusione li ha spinti a rassegnarsi che non c’è futuro nel proprio villaggio. L’ombra del disagio economico e la disperazione sociale devono indurci a riflettere e agire immediatamente per frenare l’emorragia e facilitare l’integrazione di chi vuole tornare ad investire nello sviluppo rurale.
Menzionavi le donne, e la loro emancipazione…
Gli studi dicono che se le donne coprissero ruoli dirigenziali in questo settore, grazie alle loro capacità gestionali, si otterrebbero risultati soddisfacenti a livello di economia familiare, il che si traduce poi in miglior istruzione dei figli, qualità della vita e così via. Nella realtà questo non succede né in Albania né altrove. Il loro impegno nel settore agricolo è principalmente quello della bracciante, e i costumi locali continuano a favorire l’eredità della terra dal padre al figlio maschio.
Le ragazze affrontano molte difficoltà per disporre di un appezzamento di terra e si trovano in posizione svantaggiata riguardo all’istruzione universitaria o sul decidere in autonomia sulle proprie scelte di vita. Il loro contributo non viene riconosciuto adeguatamente e il mancato reddito va a influire sulla loro indipendenza.
Nelle frequenti conferenze promosse nella capitale Tirana sullo sviluppo rurale si nota la partecipazione principalmente di agricoltori uomini. E spesso la giacca griffata del relatore di turno vale molto di più degli appezzamenti coltivati da una donna.
Vista la situazione, perché fare il contadino?
Il progressivo allontanamento dei giovani da questo mondo proviene non solo dal desiderio di abbattere la povertà, ma anche dal mancato orientamento durante gli studi. Certamente il potenziale della terra non assicura una vita agiata, ma investire in massa in lauree in giurisprudenza non è nemmeno un percorso che porta a prospettive per tutti. Bisogna diversificare le aree d’investimento e incentivare i neo-laureati a ritornare nelle aree rurali, perché il loro contributo è essenziale non solo a livello personale, ma anche per la comunità locale stessa. Per rafforzare il tessuto sociale e le prospettive delle aree rurali abbiamo bisogno di una nuova mentalità e di giovani imprenditori. Anche se viene spontaneo chiedersi, gioca questo a favore del capitalismo d’oggi?
Questo articolo è stato pubblicato con il sostegno di Central European Initiative – Executive Secretariat
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