Aladin Hodžić, ritornare a camminare
Aladin Hodžić, oggi 32enne, nel 1994 venne colpito da una granata e subì l’amputazione di una gamba. Grazie a un video-reportage realizzato nel 1995 da un giornalista italiano, si mosse una rete solidale: venne accolto in Italia per essere curato e qui rimase a vivere. Lo abbiamo incontrato
Nell’agosto del 2022 il fotoreporter Robert Belošević, dopo averci già provato per anni attraverso una testata croata ricominciò a cercare informazioni su un bimbo che aveva fotografato in Bosnia Erzegovina durante la guerra. Aladin, quel bambino, oggi adulto, grazie ai social ha visto l’articolo. I due si sono incontrati tre mesi dopo, proprio nel luogo dove è stata scattata la foto [qui il video-reportage dell’incontro , realizzato da 24Sata, ndr]. Ma è grazie al reportage di un altro giornalista, italiano, che nel 1995 Aladin Hodžić venne accolto e curato in Italia.
L’estate scorsa il fotoreporter Robert Belošević ha cercato informazioni sul bimbo senza una gamba che aveva fotografato durante la guerra, per incontrarlo e conoscerlo. Quel bambino sei tu. Dove ti trovavi, quando ti ha fotografato?
Era l’agosto del 1995 e lui era un fotografo croato che stava seguendo gli avvenimenti di guerra legati all’Operazione Tempesta nella confinante Croazia ma che hanno interessato anche il territorio bosniaco. Bihać è la mia città, dove sono nato nel novembre del 1990 e ho vissuto, eccetto un breve periodo nel ‘94 in cui i miei genitori mi avevano mandato a stare da parenti, per sicurezza.
È proprio lì che ho perso la gamba nel luglio 1994, mentre ero a Ostrožac, un villaggio a nord di Bihać nel territorio del comune di Cazin. Mio padre aveva deciso di portarmi, assieme a mia madre, a stare dai miei nonni materni dove la situazione era più tranquilla, perché si prospettava un periodo bellico abbastanza caotico nella città di Bihać.
Siamo rimasti lì alcune settimane, finché non sono stato ferito. Tutto è accaduto nel giardino, mentre giocavo con una decina di bambini del posto. Dalle postazioni circostanti ci hanno visto e hanno lanciato una granata che è caduta un po’ lontano da noi, ma una scheggia mi ha colpito alla gamba destra, mentre gli altri bambini sono rimasti illesi.
Mi hanno portato immediatamente all’ambulatorio di Ostrožac per le prime cure d’emergenza e poi mi hanno subito portato in ambulanza all’ospedale di Cazin, ma essendo grave sono stato trasferito a Bihać dove mi hanno amputato la gamba. E poi, sono rimasto in questa città fino alla partenza per l’Italia.
È grazie a un reportage di un giornalista italiano che sei arrivato in Italia… Cosa ricordi?
Sì, sono arrivato in Italia il 5 settembre del 1995. Avevo 4 anni e mezzo e non ho molti ricordi, ma sicuramente la persona che è stata più presente e che ci ha aiutato fin dall’inizio è stato Marco Beci che durante la guerra in Bosnia lavorava per cooperazione italiana, morto purtroppo nel 2003 in Iraq nell’attentato avvenuto a Nassirya [a Marco Beci è dedicato il libro “Morire a Nassirya ”, uscito nel 2014, ndr].
Mi ricordo solo qualche immagine del viaggio in auto fino all’Italia, da Bihać a Zagabria e poi da lì a Budrio, in provincia di Bologna.
Sono venuto a sapere i dettagli, solo una volta cresciuto. Oltre a quella foto, la mia storia è stata conosciuta pubblicamente grazie a riprese realizzate da un giornalista italiano, Luciano Masi della Rai che aveva seguito tutta la guerra in Bosnia Erzegovina. Marco Beci, che lavorava per la cooperazione governativa italiana, ha visto quelle immagini in televisione e un giorno si è presentato a casa nostra a Bihać per dirci che senza di me non sarebbe tornato in Italia. E così è stato!
Sono partito accompagnato da mio padre, con Sanja, un’altra bambina di 7 anni figlia di conoscenti di mio papà, che aveva anche lei subito un’amputazione – alla gamba sinistra – a causa della scheggia di una granata.
Siamo stati ospitati in una prima fase nel Comune di Budrio, dove ci hanno fatto i primi controlli e analisi mediche, e definire il percorso per la realizzazione della protesi. Io e Sanja abbiamo fatto lo stesso percorso, stessi medici, stesso ospedale e seguente periodo di riabilitazione. Il Centro protesi di Budrio ha proseguito poi a monitorare la situazione, anche per “aggiornare” le protesi che cambiano man mano durante la crescita in altezza e poi anche con l’aumento di peso.
Il resto della tua famiglia era in Bosnia? Sei poi rimasto a vivere a Budrio?
Mia madre, con mia sorellina che aveva pochi mesi, ci ha raggiunto dopo poco una volta ottenuti i documenti assieme ai genitori di Sanja. Appena io e Sanja ci siamo stabilizzati, mio padre ha deciso che non voleva più vivere di aiuti umanitari. E quindi la questione era trovarsi un lavoro, per rimanere a vivere in Italia, oppure tornare in Bosnia.
A quel punto dal Comune di Bondeno (provincia di Ferrara), gemellato dal 1982 con Bihać , è arrivata l’offerta di un lavoro e di un alloggio e così ci siamo trasferiti lì. Oggi vivo vicino a Bondeno, con mia moglie e mia figlia e il resto della mia famiglia. Mentre Sanja si è poi trasferita con la famiglia in Germania.
Come ti sei trovato in Italia? Com’è oggi la tua vita?
Essere arrivato in Italia da piccolo ha reso ovviamente più facile l’inizio di questa nuova vita, dall’imparare la lingua fino al fare nuove amicizie. I bambini imparano subito, mi basta guardare mia figlia che è ancora alla materna e parla già italiano, bosniaco e inglese!
Certo, non è stata una passeggiata per i miei genitori, che hanno dovuto lasciare casa e parenti in Bosnia e ripartire da zero, sebbene non me lo abbiano mai fatto pesare. Ovvio che sul piano affettivo sarebbe stato più facile per tutti rimanere in Bosnia, dove avevamo parenti e amici. Ma per il mio futuro, e considerata la situazione nel paese ancora oggi, è stata una vera fortuna essere stati accolti in Italia.
Oggi ho un lavoro, una casa e vivo sereno. Faccio sport, da ragazzino mi piaceva molto il calcio mentre ora mi piace fare escursioni in montagna e sono attirato da sport “estremi” come il paracadutismo e il bungee jumping (salto con corda o fune elastica).
Andate a trovare parenti e amici in Bosnia? Come vedi il tuo paese, da cittadino bosniaco e italiano?
Certo, appena riusciamo ci torniamo volentieri. Vivo la Bosnia da italiano e bosniaco, cioè sento forti entrambe le appartenenze. Quindi la vedo con gli occhi di bosniaco, che si sente parte integrante del paese e della sua città, ne conosce la lingua e tradizioni, ma anche con gli occhi di cittadino italiano, diciamo “straniero”.
Per cui, mi piace molto tornarci, ma allo stesso tempo provo amarezza, rabbia e tristezza nel vedere la situazione. Una piccola fetta della popolazione vive benissimo e si è arricchita, mentre molte altre persone vivono ai margini. Quindi differenze sociali molto elevate. E mi colpisce soprattutto come vengano lasciate senza l’assistenza di cui avrebbero diritto persone come me, vittime della guerra.
Mettendo a confronto l’aiuto che ho avuto io e che mi ha reso possibile costruirmi la vita che ho oggi, e la loro in cui non hanno ricevuto il dovuto sostegno materiale e psicologico, mi prende l’angoscia. Con tutto quello che è accaduto durante la guerra, le migliaia di vittime civili dovrebbero essere al primo posto tra le priorità del paese. Invece rimangono ancora, per livello di assistenza, ultime in Europa.
E poi, vorrei aggiungere, quando sono in Bosnia provo molto dolore nel vedere quanto ancora oggi ci siano persone che istigano all’odio. Capisco che per chi ha subito duramente quella guerra sia difficile dimenticare o perdonare, ma si dovrebbe almeno salvaguardare le nuove generazioni da quello che abbiamo vissuto noi e farle vivere in pace.
Se poi contiamo la crisi economica, l’assistenza sanitaria che non funziona, la corruzione e la mancanza di lavoro che spinge tantissimi ad andarsene, mi viene da dire con tristezza che non sembra nemmeno un paese che fa parte del cuore d’Europa.
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