Tipologia: Intervista

Tag: Teatro

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‘Al limite al confine” c’è Trento e c’è la Turchia – I

Dal 29 novembre al 4 dicembre, a Trento "La Turchia tra Europa e Asia", rassegna promossa dal Centro S. Chiara in collaborazione con la Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento. Ne parliamo con la curatrice, Mimma Gallina. La prima parte dell’intervista

29/11/2006, Giulia Mirandola -

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PRIMA PARTE
Come è nato il progetto "La Turchia fra Europa e Asia"? Perché proprio a Trento?
"La Turchia fra Europa e Asia" è parte di un progetto più complesso il cui titolo è "al limite al confine". Nell’inverno 2004-2005, discutendo con il direttore del Centro Servizi Culturali Santa Chiara sulle possibili linee di lavoro di un progetto internazionale nella città di Trento, abbiamo pensato che proprio qui il tema del confine fosse particolarmente pertinente. Trento è stata per secoli il confine, in Europa, tra l’area germanica e l’area latina. Coinvolgendo la Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento, una delle sedi più importanti al mondo e la più rilevante in Italia, si è deciso di articolare il progetto non solo attraverso uno spettacolo, ma formulando riflessioni anche di carattere politico e sociologico, con un approccio multidisciplinare. Il primo appuntamento risale all’ottobre 2005 ed era dedicato alla Siberia, intesa come grande metafora del confine. Grazie a questo incarico del Centro Santa Chiara, ho fatto una serie di viaggi in cui ho incontrato persone, visto spettacoli, partecipato a festival.
Quando inizia il suo interesse per i Balcani? Ricordo un suo articolo apparso sulla rivista teatrale Sipario, che si intitolava "Arcipelago Est-Albania: Passaggio a Tirana" e il progetto "1991-2001: dieci anni in Europa" dal lei curato insieme a Giorgio Pressburger nel 2001, in occasione del festival Mittelfest. Ci parla di queste diverse esperienze e di come i Balcani ne sono entrati a far parte?
Sono stata per dieci anni direttore organizzativo e condirettore artistico del festival Mittelfest di Cividale del Friuli. Era dedicato ai Paesi dell’Europa centro-orientale (lo è tuttora, ma nella pratica mi sembra molto meno). Nel 1991, anno della prima edizione, c’era un collegamento molto stretto con l’Iniziativa centroeuropea (INCE), allora "pentagonale" perché composta da cinque Paesi. Ci siamo poi occupati di un numero crescente di Paesi, allargando rispetto allo schema dell’Iniziativa centroeuropea. In Mittelfest mi sono dedicata molto ai rapporti con questi Paesi, dalla scelta degli spettacoli all’elaborazione di possibili progetti di collaborazione e quello del 2001 che citava, è l’ultimo che ho seguito, però è anche quello a cui sono più affezionata e che considero più importante. Si intitolava "1991-2001: dieci anni in Europa" e consisteva in una serie di microdrammi commissionati agli autori dei 17 Paesi con cui lavoravamo. Questi testi, uno per autore per ciascun Paese, sono stati messi in scena a Cividale e a Trieste da quattro registi diversi, successivamente ripresi in parte anche in Polonia. Questo era il punto di arrivo di un lavoro molto articolato in tutta l’area dell’Europa centro-orientale, con particolare riferimento ai Balcani. Più per riflettere che per fare lavoro giornalistico, ho riportato questa esperienza in alcuni reportage sulla rivista Sipario e su Hystrio, parlando di Slovacchia, Croazia, Albania.
Come è giunta a occuparsi di Turchia?
La Turchia è la conseguenza inevitabile di una riflessione sulle relazioni fra Europa e Asia, partita con la Siberia. Viaggiando nelle repubbliche asiatiche della Russia, ho toccato con mano quanto sia determinante la cultura turca. Oggi stiamo parlando della Turchia in rapporto all’Europa e al suo ingresso in Europa, ma la cultura turca segna tutta l’Asia centrale. Frequentando festival in Tatarstan, in Kazakistan, in varie repubbliche della Siberia, mi sono accorta che persone di provenienza diversa si capivano grazie al fatto che tutti parlano lingue di ceppo turco. Si capiscono linguisticamente e si capiscono nel senso che ‘si capiscono’, hanno una base culturale comune. Noi ignoriamo tutto ciò. Questa doppia anima della Turchia, rivolta verso occidente e verso oriente, ci è sembrata molto interessante, complessa al punto che il nostro progetto si svilupperà su due anni: quest’anno soffermandosi su "Turchia tra tradizione e modernità" e su alcune esperienze turche; l’anno prossimo portando spettacoli dall’Asia e dall’Europa, poiché su entrambi i continenti l’influenza turca esercita un peso rilevante.
In un suo intervento apparso sul sito ateatro il 31 ottobre 2006, definisce la Turchia "un vasto continente culturale tutto da esplorare, a cavallo fra Europa e Asia". Da cosa deriva questa vastità? In che modo esplorare?
Per il tipo di attività che svolgo, l’esplorazione è legata allo spettacolo, ma penso debba riguardare anche molti altri aspetti. In primo luogo è necessario liberarsi di alcuni stereotipi. Lo spettacolo che vedremo a Trento, Una commedia per due, è di una tale modernità, sia dal punto di vista tematico che per struttura scenica, che rappresenta la contraddizione palpabile della nostra visione spesso arretrata e bigotta. Esiste una Turchia estremamente innovativa, probabilmente concentrata su Istanbul, ma esiste. Così come esiste una Turchia profonda, di provincia, radicata nel centro dell’Asia, che indubbiamente è ancorata a tradizioni estremamente arcaiche e presenta problemi come quello relativo alla condizione femminile e ai diritti umani, che andremo a discutere nella giornata di sabato 2 dicembre, nel corso del convegno "Turchia tra tradizione e modernità".
Nello stesso articolo sottolinea la forte differenza fra Istanbul e il resto del Paese. Forse è qualcosa che va oltre la distinzione tra periferia e centro. Perché "naturalmente Istanbul non è la Turchia"?
Perché siamo di fronte a un Paese in cui la cultura e l’attività economica sono fortemente concentrate su alcuni poli e Istanbul è il principale. È la stessa ragione per cui potremmo dire che la Francia non è Parigi, senza escludere che Parigi ha un’importanza fondamentale per la Francia. Istanbul è sicuramente la punta più avanzata da tutti i punti di vista, anche la più rappresentativa dell’evoluzione socioeconomica turca. Io non ho girato se non episodicamente il centro della Turchia, ma ho incontrato persone che stanno facendo sforzi eccezionali per valorizzare le radici culturali e nello stesso tempo confrontarsi con l’occidente e misurarsi con questioni di fondo, come i diritti umani e la libertà di pensiero. Resta che operare nel centro della Turchia e nell’Anatolia che è immensa, è ben diverso che farlo a Istanbul.
Cosa rivela la situazione teatrale turca? Partirei da IKSV, la Fondazione di Istanbul per la Cultura e le Arti che quest’anno ha presentato il quindicesimo festival internazionale di Istanbul e la quarta edizione degli Olimpici del teatro, a cui lei era presente …
Il festival di Istanbul è un grandissimo festival internazionale, come ne troviamo molti in Europa, significativo per la città e per il Paese. Quest’anno c’erano presenze particolarmente rappresentative in collegamento agli Olimpici del teatro, secondo me con un impianto un po’ convenzionale. Ospiti alcuni mostri sacri della scena europea da Nekrosius a Peter Brook. Per alcuni un ritorno; per altri una novità assoluta. Oltre a questa vetrina internazionale di altissimo livello, il festival presenta una serie di proposte nazionali fra le più innovative della scena turca, accuratamente scelte dalla direttrice Dikmen Gurun. Infine una sezione totalmente giovane, solo di esordienti. La sezione relativa alla scena turca è senza dubbio la più interessante, soprattutto se pensiamo che l’organizzazione della cultura in Turchia vede una protezione minima da parte delle amministrazioni pubbliche (Stato ed enti locali) e quindi c’è davvero uno sforzo produttivo notevole e una creatività da osservare attentamente.
Quanto sappiamo e quanto vediamo in Italia della produzione teatrale turca e della sua drammaturgia?

Quasi niente. C’è stata una prima nazionale alla Biennale Danza con Geyvan McMillen e l’Istanbul Dance Theatre, uno spettacolo a Bologna, ma non passa quasi niente. A Trento portiamo soltanto due spettacoli, ma mettono a confronto due mondi significativi: la grande tradizione del teatro delle ombre con la compagnia di Cengiz Őzek, e uno spettacolo innovativo, Una commedia per due, della compagnia Dot diretta da Bűlent Erkmen. E poi grazie alla collaborazione con il festival di Istanbul, siamo giunti a delle vere e proprie scoperte relative alla drammaturgia turca. Ritengo che siamo di fronte a una qualità di testi eccezionale, non paragonabile ad altri casi riguardanti aree a noi molto più vicine, come la Gran Bretagna o la Germania. Presenteremo quattro autori e quattro testi, anche grazie alla collaborazione con quattro compagnie italiane. In Italia non leggiamo niente di questa produzione. Escludendo un’eccezione, siamo ricorsi sempre a traduzioni dall’inglese, dal francese e dal tedesco, anche se in due casi gli autori hanno controllato le traduzioni con dei loro traduttori turco-italiani in Turchia.

(continua)

Link consigliati:
www.iksv.org
www.centrosantachiara.it

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