Agricoltura in Bosnia Erzegovina, un futuro è possibile
Franco Turri è un agronomo. Affianca da anni ong, associazioni, Unione europea e Nazioni unite nella promozione di progetti di sviluppo rurale. Lo abbiamo intervistato
Lei ha lavorato in molti paesi del mondo, tra cui la Bosnia Erzegovina. Come vi è arrivato?
Il mio legame con la Bosnia Erzegovina è iniziato con una richiesta dell’associazione trentina APP e indirettamente della Provincia autonoma di Trento per elaborare una valutazione sui progetti in ambito sociale che erano stati attivati sul territorio di Prijedor. Un lavoro che esula dalle mie competenze in senso stretto da agronomo ma negli anni mi sono specializzato anche in tecniche di monitoraggio e valutazione dei progetti che sono in genere aspecifiche e prescindono dal settore di intervento, ma si centrano piuttosto su un’analisi dei risultati ottenuti rispetto alla logica complessiva del progetto ed ai criteri definiti dal DAC-OCSE .
Nello specifico si voleva valutare se fosse opportuno insistere ad investire sulle misure sociali ed in che misura, visto che erano passati più di 20 anni dalla fine del conflitto e quanto si ritenesse invece importante spostare l’asse dell’intervento sullo sviluppo economico. È prevalso il secondo approccio pur mantenendo, ma con caratteristiche più volontaristiche, anche i sostegni sociali.
Lei poi ha proseguito con alcune attività per conto dell’Associazione progetto Prijedor. Attualmente quali sono i progetti attivi in ambito agricolo?
Ve ne sono due che riguardano prevalentemente l’ambito dello sviluppo rurale e la promozione dell’agricoltura, anche se non esclusivamente. Uno è un progetto triennale rivolto alla municipalità di Prijedor e l’altro è un progetto della giunta provinciale del Trentino rivolto a tutti i Balcani, coordinato da ATB , dei quali la componente bosniaca è gestita dall’Associazione Progetto Prijedor. Questo secondo progetto viene svolto in tre diversi comuni, non solo quindi Prijedor ma anche Zavidovići e Mostar. Così questo progetto nel suo insieme ha una marcata valenza di dialogo e scambio di pratiche tra i territori delle due maggiori Entità della Bosnia, Republika Srpska e Federazione.
In entrambi i progetti i contenuti riguardano principalmente lo sviluppo della piccola e micro impresa – non solo in campo agricolo, ma anche artigianale, rivolta alle attività turistiche ecc. – ed il sostegno alle associazioni di microimprese, associazioni e cooperative. Le attività principali rivolte al settore primario riguardano il credito, le filiere, la commercializzazione, l’agricoltura sostenibile e biologica. Vi è anche una componente ambientale, soprattutto per quanto riguarda il progetto nelle tre municipalità, legata principalmente a gestione delle foreste – un tema molto delicato in tutti i Balcani – gestione delle risorse idriche con un focus sulle alluvioni ed esondazioni ed infine l’importantissimo tema dei rifiuti.
State poi cercando di avviare un’iniziativa di microcredito…
Un’iniziativa importante per quanto piccola e sulla quale si è aperta una finestra molto interessante di analisi perché stanno emergendo remore e freni per quanto riguarda la possibilità e la volontà delle banche locali di Prijedor nel gestire questo fondo di microcredito. Anche l’interesse politico è apparso scarso, questo nonostante l’accesso al credito sia uno dei grossi limiti per il piccolo agricoltore, ancor più se associato in cooperativa, per poter promuovere lo sviluppo agricolo.
Abbiamo passato al vaglio già due grossi istituti di credito locali ed abbiamo ricevuto un diniego ed una proposta parziale che non attende comunque le finalità del micro-credito rotativo da noi proposto. Da sottolineare che attualmente per piccoli crediti la banche commerciali e le organizzazioni di micro-credito richiedono condizioni generiche non favorevoli alla specificità dei crediti agricoli, tra cui tassi di interesse attorno al 20%… quindi non certo percorribili per un piccolo agricoltore.
Quali le principali difficoltà del comparto agricolo in Bosnia Erzegovina?
Vi sono dei vincoli seri: uno l’ho già menzionato, è l’accesso al credito, fondamentale soprattutto per la microimpresa agricola; in generale poi mancano politiche di attenzione allo sviluppo delle microimprese ed alle associazioni di microimprese.
Del resto le cooperative vengono spesso viste, dagli imprenditori, con i preconcetti delle cooperative agricole di produzione di vecchio stampo socialista, mentre per le istituzioni e secondo la normativa attuale le cooperative si considerano alla stregua di qualsiasi altra impresa commerciale.
Poi c’è una parte mancante di supporto e assistenza tecnica: non arriva la formazione fino al campo, e qui mi metto nell’ottica degli agricoltori con i quali abbiamo interagito in questi anni. Vi è infine mancanza di partecipazione, poco coinvolgimento di quelli che dovrebbero essere i principali attori dello sviluppo rurale.
A fronte delle notevoli potenzialità produttive del territorio mancano quindi da un lato politiche e strumenti stabili e dall’altro adeguata assistenza tecnica per i numerosi piccoli agricoltori che caratterizzano la maggior parte del tessuto socio-economico rurale.
Cosa intende per poco coinvolgimento?
La partecipazione, il coinvolgimento e l’interesse per il territorio sono fondamentali non solo per lo sviluppo rurale ma anche per quello agricolo. Noi lavorando ad esempio nella zona di Ljubija abbiamo avuto un piccolo esempio di quella che è con tutta probabilità la situazione a livello dell’intero paese: in una parte di questa valle vivono bosgnacchi, in un’altra comunità serbe e poi vi sono alcuni piccoli villaggi di croati. Tra queste comunità c’è tutt’oggi diffidenza, separazione e nessuna collaborazione. Ed anche tra le comunità rurali e le leve istituzionali locali è emerso uno scollamento di vedute e di comunicazione rilevante.
Solo il fatto di discutere sull’uso del territorio come bene e risorsa che è interesse comune ha comunque un “effetto catartico” rispetto agli eventi della storia recente. Un aspetto che a volte non viene tenuto sufficientemente presente nei progetti di sviluppo: quello del dialogo e della partecipazione. Il territorio è il luogo dove ciascuno vive ed ha interesse nel suo sviluppo. Ha quindi un forte valore l’invitare tutti a sedersi attorno ad un tavolo per discutere di come utilizzarlo al meglio. È un’apertura al dialogo, non forzata, su questioni molto concrete.
Tornando ad aspetti prettamente agricoli, quali i prodotti principali dell’area di Prijedor?
Abbiamo ortaggi quali peperoni, pomodori, cipolle, con grosse potenzialità, anche per l’esportazione; poi parliamo di mele, pere e drupacee, le famose prugne con le quali si fa la Šljivovica. Ma anche piccoli frutti come lamponi, fragole e mirtilli per poi passare alle colture di pieno campo tra le quali segnalerei mais e patata. Nel settore zootecnico i formaggi e la carne, soprattutto di ovini, e il miele. Anche i boschi sono fonte di una notevole attività di raccolta spontanea di frutti, piante aromatiche, officinali e funghi. Rispetto a tutte queste produzioni si potrebbero facilmente individuare varietà autoctone con elementi geneticamente interessanti, da valorizzare come prodotti “tipici”. Come anche dei prodotti naturali e trasformati tipicamente legati al territorio ed alle sue tradizioni, basta citare la rakjia. L’ambiente pedo-climatico e le potenzialità produttive sono molto simili a quelle di molti nostri territori italiani.
Mi può fare un esempio di partner con cui state collaborando sul territorio?
I principali partner locali dei progetti in corso sono le Agenzie per la Democrazia Locale di tre municipi della Bosnia Erzegovina (Prijedor, Zavidovici e Mostar), organizzazioni sviluppatesi dopo la fine del conflitto e supportate principalmente dal Consiglio d’Europa, tramite il coordinamento dell’Associazione generale ALDA. Le ADL centrano gran parte della loro attività nella cooperazione multilaterale decentrata tra le autorità locali e i rappresentanti della società civile.
Circa altri attori locali, già da tempo stiamo lavorando con le cooperative, una di questa è una cooperativa di Prijedor, di frutticoltori. Raggruppa una ventina di soci che si stanno muovendo molto bene anche in modo autonomo. Lavorano prevalentemente con le pomacee quindi mele, pere ed altra frutta. Hanno avviato un processo di piccola agroindustria con la trasformazione e produzione di succhi con relativo imbottigliamento ed etichettatura. Sembra un’iniziativa semplice ma per la realtà di Prijedor è già un passo importante. Ora tra l’altro si stanno orientando anche verso la produzione biologica e lì subentrerà tutta la questione della certificazione: in Republika Srpska non esiste ancora un ente certificatore. Altri partner rilevanti sono le istituzioni municipali locali e le Agenzie per lo sviluppo economico, le scuole, le università.
Lo sguardo dei giovani sull’agricoltura vede un mondo di povertà o è un paradigma che sta cambiando?
Vi sono molti aspetti contrastanti in Bosnia su questo. Lo ho potuto rilevare in modo molto concreto durante una serie di interviste fatte l’anno scorso e negli anni precedenti a studenti della Scuola agraria di Prijedor. Quando abbiamo cercato di individuare chi di loro potesse essere interessato a qualche attività imprenditoriale da proporre nella zona di Ljubjia – una delle zone più depauperate e difficili della municipalità di Prijedor – tutti i ragazzi hanno risposto che non vedevano l’ora di finire la scuola per andare a lavorare in Germania. Tra le ragazze invece ne abbiamo trovata qualcuna che, pur con molti punti interrogativi, era disponibile quantomeno a parlarne, però senza grandi entusiasmi.
Questo breve dettaglio riflette anche la confusione che hanno questi giovani su cosa significhi e quali potrebbero essere le potenzialità nell’avviare un’impresa agricola a Prijedor. C’è in generale poca assistenza tecnica, poca informazione, in particolare per le start-up di giovani e poco accesso al credito.
Certo, ci sono anche giovani che in modo del tutto autonomo hanno avviato iniziative interessanti per esempio legate alla trasformazione dei prodotti agricoli. Per esempio, un gruppo di giovani di Prijedor ha avviato una piccola birreria artigianale con l’orzo prodotto localmente e producono un’ottima birra locale. Ma rimangono l’eccezione.
Da noi in Italia c’è stato un ritorno alla terra anche legato all’insicurezza economica – ed è un classico – tra l’altro anche da parte di giovani che non avevano una formazione specifica. In Bosnia della terra si ha ancora molta paura e forse è identificata, in questa seconda generazione, con gli episodi del conflitto e con la povertà. Dall’altra c’è una percezione netta da parte dei giovani di insicurezza relativamente alla stabilità politica ed alla affidabilità e disponibilità di strumenti di sostegno e questo crea un evidente freno nel settore.
Si sono mantenute conoscenze tradizionali che possono essere valorizzate o l’esperienza jugoslava prima ed il conflitto poi hanno rappresentato una cesura netta rispetto al passato?
Abbiamo avuto occasione di visitare comunità a qualche decina di chilometri da Prijedor che vivono fondamentalmente di allevamento – pecore – e di piccola agricoltura. Abbiamo potuto constatare che alcune tradizioni di produzione di prodotti tipici ancora esistono e si sono mantenute. Vi sono delle produzioni locali che sicuramente meriterebbero di essere valorizzate.
Su questo vorrei segnalare che la Bosnia Erzegovina ha recentemente approvato un importante documento di programmazione strategica relativo allo sviluppo rurale 2018-2021 che è stato fortemente richiesto dall’Unione europea ed è stato elaborato in collaborazione con alcune agenzie delle Nazioni Unite. Il Green Council, una ong di ispirazione statunitense ma con una sede locale anche in Bosnia di cui fanno parte molti movimenti civici, ha mosso una critica interessante al documento.
Green Council sostiene tra l’altro, che non sono stati considerati alcuni aspetti socio-economici all’interno della analisi delle problematiche dello sviluppo rurale bosniaco. In particolare il fatto che nella ex Jugoslavia a partire dagli anni ’50 vi è stata una forte spinta verso l’industrializzazione decentrata – avvenuta quindi all’esterno dei grandi centri urbani – ma comunque basata su poli geograficamente convenienti allo sviluppo industriale, come i fondovalle. Questo tipo di sviluppo ha accentuato la discrepanza di crescita delle zone rurali, rilegando ai margini le le comunità montane che sono rimaste isolate o con meno strumenti di crescita. Tuttavia queste, per lo stesso motivo, hanno sapientemente preservato il sapere tradizionale rurale ed agricolo, andato invece perso dove vi è stato un marcato sviluppo industriale. Le giovani generazioni delle zone rurali di passato sviluppo industriale hanno quindi poche conoscenze e scarsa attenzione verso l’agricoltura. Anche qui risalta l’importanza di riscostruire dialogo e partecipazione per il processo di sviluppo rurale. Ecco, di questo il documento strategico forse non ha tenuto molto conto.
Rimane comunque un documento importante…
Si tratta di un documento di programmazione importante, una pietra miliare per il recepimento di direttive strategiche per lo sviluppo rurale e che permette che i fondi IPA vengano indirizzati anche verso lo sviluppo rurale (IPARD). Tra il 2018 ed il 2021, circa sessanta milioni di euro dovrebbero essere destinati alla BiH attraverso questi fondi. È inoltre importante che d’ora in poi sarà disponibile una parte di fondi specifici di pre-adesione provenienti dalla UE, destinati allo sviluppo rurale. Questo apre varie ed importanti opportunità di crescita alla BiH.
Certo, è ancora poco chiaro come questi fondi si ripartiranno sul territorio, ma credo che anche le organizzazioni della società civile competenti potranno accedere a questi finanziamenti. È un’opportunità importante ed è uno sforzo verso l’armonizzazione non solo delle politiche agricole della Bosnia Erzegovina rispetto all’Unione europea, ma anche per una sorta di armonizzazione di strategie per lo sviluppo all’interno stesso della BiH. È una questione da seguire con molta attenzione. Partecipare a questi strumenti è anche un modo per fare lobbying politica, per esigerne la valorizzazione.
Che spazio vi trova il biologico?
Nel documento vi è un’attenzione specifica alla produzione biologica e la trovo particolarmente corretta per la Bosnia Erzegovina che ha un territorio coperto per oltre il 60% da foreste ed una agricoltura fondamentalmente tradizionale, con poco uso di input chimici. Quindi i sistemi produttivi sono in partenza compatibili ad un rapido adeguamento ai principi dell’agricoltura biologica, come definita e disciplinata nei regolamenti comunitari. Nel territorio dal punto di vista ambientale vi sono pochi elementi rilevanti di contaminazione e quindi direi che è in buona parte un territorio vocato alla produzione biologica. In questo senso la Bosnia Erzegovina potrebbe avere dei vantaggi competitivi. Tutto questo ovviamente è legato al necessario progresso di politiche di normazione, di supporto tecnico ed allestimento di un efficace sistema di certificazione.
Ritiene che da parte delle istituzioni bosniache vi sia attenzione nei confronti del comparto agricolo?
C’è senza dubbio consapevolezza sull’importanza del comparto agricolo ma la mia impressione è che l’attenzione delle istituzioni sia per ora più rivolta al grosso investimento, alla grande azienda, che porti rapidamente importanti flussi finanziari ed occupazione.
Vedo invece una preoccupante mancanza di attenzione nei confronti della promozione di forme di piccole e micro-imprese che se organizzate e associate possono invece marcatamente influire sullo sviluppo socio-economico e sulla gestione del territorio. Non mi pare vi siano ancora politiche e strumenti adeguati a livello nazionale e locale, che agevolino e che possano incidere effettivamente sulla promozione e lo sviluppo dell’agricoltura familiare e delle associazioni di piccole imprese agricole.
Che senso ha che associazioni e istituzioni locali come quelle con cui collabora si occupino di agricoltura in Bosnia Erzegovina?
La Bosnia Erzegovina è un paese geograficamente e politicamente nel cuore dell’area balcanica. La sua storia recente e remota hanno segnato e segnano equilibri geopolitici e conflitti molto complessi ed importanti. Se non ci occupiamo e “preoccupiamo” noi di un paese, prossimo membro della UE, che è a poche ore di distanza di macchina dal Trentino, chi se ne deve occupare? A me sembra logico ed importante che continui questa finestra di attenzione anche del Trentino, nei confronti di un territorio che è molto simile e vicino al nostro.
editor's pick
latest video
news via inbox
Nulla turp dis cursus. Integer liberos euismod pretium faucibua