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Ado Hasanović: “Il porno ci salverà”

Pink Elephant: uno sguardo ironico su una famiglia di Sarajevo. Scevro di riferimenti al conflitto, il pretesto narrativo è la pornografia 

24/08/2016, Marzia Bona -

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Ado Hasanović, giovane regista bosniaco, ha da poco promosso assieme ai suoi colleghi del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma una campagna di crowdfunding per realizzare il cortometraggio “Pink Elephant. E se tua figlia avesse fatto un film porno?” Il breve film presenterà uno spaccato della Bosnia di oggi, lasciandosi alle spalle il tema del conflitto e adottando come espediente narrativo il tabù della pornografia.

Il cortometraggio racconta infatti la vicenda di una benestante famiglia bosniaca indaffarata ad organizzare il rientro a casa della figlia, accompagnata dal suo nuovo fidanzato italiano, dopo un periodo trascorso in Erasmus. L’atmosfera spensierata viene però interrotta da un dettaglio scabroso: il padre, rinomato chirurgo della capitale bosniaca, scopre che la propria figlia ha un tatuaggio della stessa forma e nella stessa posizione della sua attrice porno preferita. Nelle pellicole, la faccia dell’attrice è sempre coperta, quindi la domanda: mia figlia è una pornostar? Che cosa ha fatto durante il periodo all’estero? Chi è veramente il suo nuovo fidanzato italiano? Abbiamo intervistato il regista.

Quali sono gli spunti che hanno ispirato il soggetto di questo cortometraggio?

Il film prende spunto dal tema della crisi dell’istituzione della famiglia. E’ un tema già sviluppato dal maestro del cinema Luis Buñuel, un grande regista che nei suoi film ha costantemente mostrato i limiti e le contraddizioni inerenti alle istituzioni borghesi, delle quali la famiglia rappresenta un simbolo. La mia idea con questo film è di presentare una famiglia bosniaca altolocata, i dubbi che ne attanagliano la moralità, i tabù che la condizionano e le relazioni tra genitori e figli.

L’idea di utilizzare l’espediente della pornografia deriva dalla mia esperienza in Italia, a Roma, un luogo in cui questo genere ha preso il via. Non sapevo che fossero stati gli italiani ad inventare il porno, ma questa è un’altra storia ed è raccontata in un documentario in uscita, “Porno e libertà”. Nonostante la pornografia abbia una fruizione molto ampia nelle nostre società, l’argomento rimane un tabù di cui si parla molto poco.

Il soggetto iniziale è stato elaborato da due colleghe, Silvana Tamma e Anna Zagaglia, poi abbiamo lavorato insieme alla sceneggiatura. Dopodiché, il mio docente Daniele Luchetti ha suggerito di ambientare la storia a Sarajevo e l’idea mi è sembrata vincente, perché permette di mettere in luce delle problematiche diverse rispetto a quelle solitamente sottolineate quando si parla della Bosnia Erzegovina.

Pink Elephant si discosta dalla cinematografia bosniaca alla quale siamo abituati, spesso legata al recente conflitto e ai suoi effetti di lungo termine sulla società. Come mai hai scelto di non trattare direttamente il tema del conflitto e delle sue conseguenze?

Probabilmente il pubblico internazionale si aspetta ancora di vedere storie legate alla guerra nei Balcani, ma io so che qui in Bosnia le persone sono stanche di sentirne parlare. Con questo progetto voglio raccontare vicende attuali, dare un’immagine di com’è una parte del paese oggi, lasciando da parte quello che la politica continua a voler rappresentare come il vero volto della Bosnia Erzegovina.

Per quanto riguarda la scelta di lasciare da parte il cinema di guerra, credo che il pubblico bosniaco si meriti di vedere una commedia, un lavoro cinematografico che vada oltre la rappresentazione del recente conflitto. Anche in alcuni dei miei lavori precedenti ho fatto questa scelta: Mama , il lavoro con il quale mi sono diplomato alla Sarajevo Film Academy, è un cortometraggio che parla della violenza in famiglia.

Spero che il pubblico sarà incuriosito da questo film che tratta un argomento insolito. La Bosnia è vittima dell’immagine con la quale viene abitualmente presentata, che non trova riscontro nella realtà del paese stesso e non rende giustizia alla sua complessità. Penso che una storia così leggera e a tratti comica possa aiutare il pubblico a considerare la Bosnia in un altro modo. Oltre a non trattare il tema del conflitto, ho voluto lasciare fuori anche temi spesso abusati come le differenze religiose ed altri elementi che vengono usati dalla politica e dai media per alimentare il discorso nazionalista. La pervasività di questi temi finisce col determinare un effetto di contagio, perché anche chi non condivide una visione nazionalista ne viene alla fine talmente circondato che non ne può rimanere immune. E io penso che con il porno possiamo vincere questa visione stereotipata.

La pornografia è un tabù, nella Bosnia di oggi? Quanto ha a che vedere con il processo di ri-tradizionalizzazione della società?

Pink Elephant parla della vicende di una famiglia bosniaca. La mia idea qui non è di fare generalizzazioni, ma di rappresentare una fra le tante famiglie borghesi che vivono oggi a Sarajevo. Anche per questo la famiglia rappresentata nel corto non avrà alcuna caratterizzazione che permetta di identificarla come famiglia appartenente a uno specifico gruppo etnico o religioso. Non è mia intenzione che quanto emerge dalla storia che vedrete si applichi, o dica qualcosa di generalmente applicabile all’intero paese nel quale il film è ambientato. Io parlo di una famiglia in particolare, e parto dal presupposto che ciascuno di noi sia diverso, anche all’interno della stessa famiglia.

Hai iniziato la tua carriera di regista a Sarajevo e ora lavori a Roma. Potendo mettere a confronto queste due realtà, come sta il cinema bosniaco?

Qualche mese fa stavo discutendo con un amico che lavora per il ministero dei Beni Culturali a Roma, e che si occupa di cinema. Quando gli ho chiesto quanti film si girino in Italia in un anno, lui ha risposto: “Più di cento”. In Bosnia se ne fanno uno o due. Questa è la differenza principale. Purtroppo con la politica che abbiamo tutto è molto difficile, e per questo ogni sostegno da fuori per questo piccolo, meraviglioso paese, è benvenuto e quanto mai necessario. Abbiamo bisogno del sostegno di istituzioni da fuori, anche se a livello locale ci sono iniziative ed energie positive in grado di dare vita a iniziative notevoli: proprio nei giorni scorsi si è tenuto il Sarajevo Film Festival, che è un’occasione enorme per chi lavora nel cinema nel nostro paese. Ora ho quest’opportunità di realizzare un film a Roma con attori bosniaci, per me è una grande sfida e un’opportunità di mettere in relazione questi due contesti.

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