Addio alle armi
Era un diritto riconosciuto sin dalla costituzione del 1992. Previsione di legge a lungo rimasta inapplicata. Da cinque anni però anche in Serbia è possibile optare per il servizio civile. Giovani obiettori di coscienza ci raccontano come sta andando
Mentre i media qualche giorno fa mandavano in onda la dichiarazione ottimistica del presidente serbo Tadić secondo il quale l’Esercito è un fattore chiave per la stabilità dello stato moderno, la situazione attuale in cui si trovano le Forze armate serbe è tutt’altro che rosea.
Inoltre, è in costante aumento il numero di ragazzi che scelgono di fare il servizio civile. Non tutti sanno che già dal 1992 esisteva la possibilità di svolgere il servizio civile. La Costituzione della Repubblica Federale Jugoslava all’articolo 137 prevedeva infatti la possibilità per tutte le persone che per "motivi religiosi o altri" non vogliono portare le armi di assolvere gli obblighi verso lo Stato svolgendo il servizio civile.
All’epoca, la prassi non concordava con la legge e le persone che avevano scelto l’obiezione di coscienza erano purtroppo assegnate alle unità militari non combattenti. Alcuni di loro che non volevano obbedire a queste decisioni sono stati condannati a una media di un anno o due di carcere.
Dopo i cambiamenti democratici del 2000, una delle priorità del nuovo governo è stata la creazione di una "Legge sull’amnistia" che ha permesso a quasi tutti i membri dei vari gruppi religiosi di poter uscire dalle carceri dove si trovavano in quanto obiettori di coscienza.
L’ingresso nel Consiglio d’Europa nel 2003 ha poi imposto alla Serbia (e Montenegro) di introdurre la facoltà di scelta tra il servizio civile e quello militare. Questa opzione è stata resa possibile lo stesso anno grazie al Decreto del Consiglio dei ministri sull’adempimento dell’obbligo militare. Fino alla fine del 2003 circa 850 persone avevano scelto di svolgere il servizio civile nelle istituzioni sanitarie, nelle organizzazioni generali di soccorso, nelle università o in altre istituzioni proposte dal ministero della Difesa.
Nella misura in cui il numero di ragazzi che optavano per l’obiezione di coscienza aumentava, anche la percentuale dei neo-cadetti presentatisi all’appello nelle caserme diminuiva. Nel giugno 2003 le reclute presenti all’appello erano il 74% del totale convocato, l’anno dopo il 61%, per arrivare ai minimi storici nel 2005 col 49%. Gli assenti sono diminuiti nel 2006 (52% reclute presenti) e nel 2007 rappresentavano solo il 10% del totale.
È particolarmente significativa l’elevata percentuale di assenze se si tiene conto delle ripercussioni di tale atto. Le conseguenze probabili infatti sono un anno di carcere ed il divieto assoluto di uscire dal Paese.
I timori di presentarsi all’appello sono anche legati ai numerosi scandali che hanno attraversato l’Esercito negli ultimi anni. Ricordiamo il caso di due soldati morti il 5 ottobre del 2004 in circostanze non ancora chiare, anche se si suppone che avessero incontrato e riconosciuto il generale Mladić,uno dei principali criminali di guerra ricercati dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia.
"Anche se il servizio militare dura solo sei mesi, rispetto ai nove che ho passato facendo il servizio civile (solo fino a un anno fa erano tredici), sono sicuro di aver impiegato il mio tempo rendendomi utile", spiega all’Osservatorio sui Balcani Slobodan Acketa, oggi all’ultimo giorno di servizio civile presso il Fondo per la Salute Pubblica della Vojvodina, che si occupa del controllo e della prevenzione delle malattie. "Sono un obiettore di coscienza e non capisco in generale la politica delle forze militari, il cui unico scopo è insegnarti ad uccidere, ad essere un killer al servizio della difesa della patria, dei suoi sacri confini o di altre sciocchezze del genere".
La scelta delle modalità con cui assolvere agli obblighi di leva porta con sé una frattura quasi netta tra la popolazione più o meno istruita, oltre che tra gli appartenenti ai vari schieramenti politici. La matrice politica dei ragazzi impegnati nel servizio militare è perlopiù quella del Partito radicale, del Partito Democratico Serbo oppure o di altri gruppi minori a forte ispirazione nazionalista. In futuro, secondo l’esperto di politiche militari Aleksandar Radić, ci sarà sempre meno gente, col crescere del tasso di istruzione, disposta a fare il servizio militare.
"L’esercito per me non evoca l’immagine di uccisioni, di fucili o di bombe, ma di malnutrizione e d’igiene precaria", racconta Bosko Sukilovic, uno dei 12.000 ragazzi che svolge in questo momento il servizio civile. "L’altra cosa preoccupante è la scarsa libertà di espressione, soprattutto sui temi politici, dovuta al modello predefinito del soldato-eroe imposto dalle gerarchie militari."
Tuttavia, un buon esempio di collaborazione tra il servizio civile e quello militare si è verificato nel 2005 durante l’emergenza causata dalle inondazioni nella regione del Banato, nella Vojvodina orientale.
"Quando il governo ha proclamato lo stato di emergenza, nonché il pericolo per gli abitanti, sono stato trasferito al Dom zdravlja (ASL) di Secanj", dichiara Konstantin Pankaricean, allora impegnato con il servizio civile. "Il mio compito era guidare l’ambulanza del pronto soccorso, trasportare i cittadini rimasti senza tetto ai centri di permanenza e di fare i turni con la Squadra mobile di Novi Sad, venuta qui per aiutarci. Questa è stata una delle esperienze più forti della mia vita: ho imparato e lavorato tantissimo. Tuttora sono rimasto in contatto con molti settori della società civile e mi impegno ancora nelle politiche locali."
La riforma delle Forze armate introdotta con la nuova Legge sull’Esercito, in vigore dal primo gennaio del 2008, oltre a dimezzare il numero di dipendenti (21.000 rispetto a 45.000 attuali), prevede il passaggio completo ad un esercito professionale entro il 2010, quando scomparirà anche il servizio civile.
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