Accordi di associazione UE-Ucraina: 4 anni dopo
Quasi quattro anni fa la mancata firma degli Accordi di associazione Ue-Ucraina segnò un punto di non ritorno. Poi gli accordi sono stati firmati, ma sarebbe un errore pensare che il paese è saldamente ancorato al treno europeo. Un’analisi
La mancata firma degli Accordi di Associazione (AA) tra Unione Europea e Ucraina è stata la goccia che, quasi 4 anni fa, aveva fatto traboccare il vaso colmo della politica ucraina. Il famoso summit di Vilnius, dove Kiev aveva rifiutato di siglare l’accordo volto a promuovere una più stretta cooperazione economica e politica con Bruxelles, è divenuto fatale, come sappiamo, per l’ex presidente Yanukovich e ha segnato un punto di non ritorno per il paese.
Una questione di ‘politica estera’ si è trasformata tra le barricate di Maidan Nezalezhnosti in un aperto conflitto in ‘politica interna’ e in un moto di protesta contro la corruzione, il governo oligarchico e, più in generale, contro tutta la classe dirigente del paese. Sotto il nuovo corso politico a Kiev gli Accordi di Associazione sono entrati in vigore in maniera provvisoria il 1 gennaio 2016 e nella loro forma definitiva lo scorso settembre .
Tra questioni politiche ed economiche
Gli Accordi di associazione riguardano prevalentemente questioni economiche, ma è la loro parte politica ad avere provocato la polarizzazione internazionale alla base dello scontro frontale tra Bruxelles e Mosca. La cosiddetta idea di “integrazione senza membership” e la sua vaga formulazione è stata un comprensibile tentativo di Bruxelles di premiare l’Ucraina dopo la rivoluzione arancione del 2004.
La reazione di Mosca è iniziata con l’embargo commerciale nei confronti dell’Ucraina a partire dal luglio 2013 e si è poi sostanziata con l’annessione della Crimea e la guerra ibrida nel Donbass. Ma la formulazione della parte politica degli accordi e il paradigma dell’integrazione senza membership non ha provocato solo la reazione del Cremlino ma anche una serie di membri dell’UE hanno espresso la loro preoccupazione per l’ambiguità di questa parte del documento. I tentennamenti dell’Olanda che ha ritardato la ratifica finale per quasi tre anni ne sono un esempio. I temi sul tavolo sono politici e riguardano le prospettive di futura adesione, la libera circolazione della forza lavoro, la difesa comune e l’accesso ai fondi strutturali europei . Tutti argomenti che, in un’Unione politicamente frastagliata e senza una chiara strategia comune, rappresentano inevitabilmente elementi di frizione.
Le conseguenze per l’Ucraina non sono da sottovalutare. Se Bruxelles non può offrire prospettive di ulteriore integrazione futura e fondi di aggiustamento necessari per l’adattamento del sistema economico-industriale agli standard europei, i costi dell’implementazione degli Accordi di associazione per gli attori locali e per la società più in generale potrebbero risultare troppo alti e non bilanciati da trade-off di carattere politico ed economico.
Il libero scambio
Gli Accordi di associazione sono divisi in sei capitoli, e quello relativo al libero scambio è sicuramente il più importante (e meno vago). Comunemente noto come “Deep and Comprehensive Free Trade Agreement” (DCFTA), è volto a promuovere la convergenza degli standard economici dei firmatari con l’obiettivo di facilitare ed aumentare le relazioni commerciali. Ovviamente, si tratta dell’adeguamento del sistema economico, industriale e legislativo dell’Ucraina alla regolamentazione UE in materia.
I vantaggi a lungo termine per Kiev sono innegabili e le varie analisi e previsioni differiscono solo nei numeri e non nella qualità degli effetti positivi per l’economia Ucraina . Questo però non dovrebbe far dimenticare i rischi che sorgono in una prospettiva di breve periodo e che potrebbero rallentare la trasformazione del sistema economico del paese.
Prima di tutto il DCFTA promuove la rimozione dei dazi doganali per i prodotti ucraini. In questo capitolo i passi sono stati rapidi e l’economia ucraina può già beneficiare dell’annullamento dei dazi sull’84% di prodotti agricoli e 95% di quelli industriali. La parte restante sarà rimossa nei prossimi 10 o 15 anni. Molti produttori locali, specialmente nel settore agricolo, hanno già approfittato dell’opportunità, affacciandosi con successo sul mercato europeo.
Il DCFTA prevede, però, il sistema delle quote all’importazione che stabiliscono la quantità massima di prodotti importabili sotto il regime preferenziale (senza dazi). Le quote riguardano soprattutto il settore agricolo, limitando così un possibile ulteriore aumento delle esportazioni di zucchero, cereali e farina, pomodori, mais, pollame e burro. Tutti prodotti che hanno sempre raggiunto o superato la quota da quando il DCFTA è in vigore. Nuove quote su alcuni prodotti sono state introdotte dall’UE lo scorso settembre, ma rappresentano comunque una soluzione temporanea .
Se lo scambio commerciale tra Ucraina e UE ha registrato comunque un miglioramento, adesso si attendono da Kiev passi in avanti nel complesso processo di adeguamento e armonizzazione degli standard produttivi e della legislazione in materia. La nuova legge del 2015 prevedeva la sostituzione della regolamentazione tecnica precedente entro il 2019, ma l’adeguamento agli standard UE è un processo lento e, considerando i costi di breve periodo ed i numerosi problemi che continuano ad affliggere la vita politica del paese, non garantisce automaticamente la modernizzazione e la competitività.
Via dalla Russia per sempre?
Se le statistiche degli scambi commerciali con l’UE appaiono a prima vista estremamente positive, le cose non sono in verità così semplici. Le statistiche, come sempre, vanno interpretate. Se la quota dell’export verso l’UE è aumentata di recente dal 25% al 37% delle esportazioni totali ucraine , in termini assoluti dal 2012 al 2016 si è verificato un calo da 17 miliardi a 13.8 miliardi. La causa non sembra solo la guerra. La perdita del mercato russo, in un certo senso intrinseca nella scelta della creazione del libero scambio con l’UE, ha avuto un impatto significativo sull’economia del paese. Questo non significa solo il calo degli scambi commerciali tra Kiev e Mosca (dal 24% nel 2013 al 9,9% del 2016 delle esportazioni), ma anche una significativa riconfigurazione del sistema economico ucraino. Proprio la Russia, infatti, rappresentava il principale partner nel settore manifatturiero, tecnologico ed industriale. Il 40% dell’export totale ora è rappresentato dai prodotti agricoli, mentre il settore con il maggiore valore aggiunto da un punto di vista economico, quello dei macchinari e attrezzatura ad alto contenuto tecnologico, non trova sbocco sul mercato europeo e rischia una grave crisi dall’ampio impatto sociale.
L’Ucraina ha davanti a sé un lungo percorso di riforme costellato da una difficile situazione interna ed internazionale. Oltre alle facili speculazioni, secondo le quali con la firma degli Accordi il paese sarebbe saldamente ancorata al treno europeo, il farraginoso documento cela luci e ombre e richiede un costante lavoro da ambo le parti. Non solo Kiev, ma anche Bruxelles deve impegnarsi in questo percorso ponendo attenzione non solo ai lati positivi, ma anche alle problematiche economiche e sociali, spesso sottovalutate, che il libero scambio può causare. Altrimenti il rischio di vedere il più grande paese europeo trasformarsi in un semplice fornitore di pollame e grano potrebbe essere davvero concreto.
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