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Abdulah Sidran, l’anima di Sarajevo

Sarajevo, 20 anni dopo l’assedio. Colloquio con il celebre poeta, sceneggiatore e drammaturgo bosniaco sulla città che per secoli in Europa ha rappresentato l’incontro di fedi, nazioni, culture

03/07/2012, Andrea Oskari Rossini -

Quest’anno Sarajevo ricorda il ventennale dall’inizio dell’assedio. Che tipo di città commemora questo anniversario?

Dobbiamo ricordare che la Sarajevo di oggi è il risultato di un grande male, di un’immensa violenza perpetrata ai danni della nostra patria. Questa violenza non è stata prodotta da un’entità astratta venuta dallo spazio, ma dai nostri vicini di Oriente e in parte di Occidente. La comunità internazionale ha guardato questa violenza con indifferenza per 4, 5 anni. A Sarajevo, oggi, non funziona nulla. Di questo, però, i sarajevesi sono i meno responsabili.

Chi sono i responsabili?

Io credo che la comunità internazionale porti sulle spalle grandi colpe. Si comporta da osservatrice di una partita di calcio, come se non sapesse che qui bisogna arbitrare, non stare a guardare. La gente di Sarajevo non ha alcuna responsabilità per la distruzione che si è abbattuta su di lei, sul multiculturalismo della Bosnia Erzegovina. I responsabili sono gli aggressori e la comunità internazionale che ha premiato l’aggressore concedendogli le basi di diritto per creare la cosiddetta Republika Srpska. Questa è la cosa più importante che è necessario l’Europa sappia.

Cosa può cambiare, 20 anni dopo?

Abdulah Sidran (Foto Andrea Rossini)

Abdulah Sidran (Foto Andrea Rossini)

La cosa più importante è dire che oggi la comunità internazionale qui è diventata superflua e insolente, con la sua politica di osservazione… La frase che ripete all’infinito è: "Voi dovete mettervi d’accordo". Pretende di portare forze centripete e centrifughe a mettersi d’accordo e collaborare. Possono forze del genere mettersi d’accordo? Non è possibile. La comunità internazionale ha il dovere di dire: "Questi hanno ragione, e questi non ce l’hanno".

Un esempio molto semplice: non c’è altro luogo in Europa dove esistono due scuole sotto lo stesso tetto. Dove i partiti al governo e i genitori dei bambini dicono: "Non vogliamo che i nostri figli vadano a scuola con i bambini di altre nazionalità". L’Italia non permetterebbe che ciò accadesse sul proprio territorio. Così anche l’Austria, la Francia. A casa propria non permettono che si faccia ciò che invece permettono si faccia qui in Bosnia. Che ci lascino allora sprofondare fino alle fondamenta, perché la modalità con cui la comunità internazionale agisce è ipocrita. Non può rimanere qui 20 anni a osservare… Che si muniscano di telescopio allora e ci osservino dal cosmo. Questo è ciò che sento con grande amarezza.

Quanto è cambiata Sarajevo in questi anni?

La fotografia "etnica" della città è cambiata drasticamente, certo. L’anima di Sarajevo, il suo multiculturalismo, sono però una forza metafisica. È un qualcosa che non è possibile distruggere così facilmente e in fretta come si pensa. La parte di popolazione che è arrivata dopo la guerra da aree rurali è estremamente vitale, pronta a cambiare a velocità incredibile, ad assumere cultura e maniere di città. Lo si vede ad esempio nelle donne che, dopo tre mesi di vita in città, nascondono gli abiti di campagna per indossare quelli metropolitani. Se si fa una politica intelligente, credo possano accadere molte cose positive.

Dunque l’anima di Sarajevo è rimasta?

L’anima di Sarajevo oggi, ciò che è sopravvissuto del "mito" dell’animo sarajevese, è circoscritto a piccoli gruppi, che si frequentano come fanno gli studiosi dell’esperanto, gruppi minoritari. Quest’anima è viva, non è facile distruggerla, ma vive tra piccoli gruppi, come quella parte di giovani ad esempio che si ritrova nel bar che qui a Sarajevo porta il nome "Tito".

Ricordate il film "Fahrenheit 451", di Truffaut? I libri non esistono più e le persone imparano a memoria un romanzo, diventano quel romanzo, e in quel modo sopravvivono, lottano, non si danno per vinti. Noi però non possiamo farlo in questo sistema politico, il nostro, dove è possibile ufficialmente e regolarmente essere nazionalisti, voler escludere l’altro da sé… L’Europa sta a guardare questo regolare corso politico fascista che abbiamo, legittimato in partiti al governo. Questo è il problema. L’Europa permette che si faccia qui quello che nei propri Paesi non permette, è un’assurdità, un paradosso.

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