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A Skopje la rivoluzione si fa a colori

In risposta alla lunga crisi istituzionale, in Macedonia i cittadini scendono in piazza al grido "Senza giustizia, non c’è pace". Un reportage

27/06/2016, Paolo Riva -

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Originariamente pubblicato da Q Code Magazine 

Accanto a una gigantesca bandiera gialla e rossa, un’imponente statua equestre proietta sulla sede del Parlamento una grande ombra, un po’ minacciosa. A difendere l’edificio, è schierato un cordone di agenti di polizia in tenuta antisommossa. Di fronte a loro, un drappello di giovani armeggia con una catapulta artigianale, creata con dei grandi elastici e uno scolapasta. Caricano, lanciano e, quando i proiettili di colore raggiungono l’obiettivo imbrattando la facciata del Parlamento, la folla accorsa in piazza esplode in un grido di approvazione e soddisfazione. Benvenuti a Skopje, nel bel mezzo della Colorful Revolution macedone. I segni di questo movimento di protesta, cresciuto di pari passo con l’evolversi della crisi istituzionale che attanaglia il paese dalla fine del 2014, sono evidenti in tutto il centro città.

Quest’area della capitale, profondamente rinnovata dal controverso progetto urbanistico Skopje 2014, è un concentrato di nuovi edifici e monumenti, tra cui fontane e statue, numerosissime e onnipresenti. Quasi tutti gli interventi sono stati realizzati con fondi pubblici, generando numerose critiche per la scelta di investire oltre 600 milioni di euro in questo ambito anziché in altri più strategici e per le modalità clientelari con cui son stati assegnati i lavori. Con queste premesse, è stato quasi naturale trasformarli nel bersaglio della Colorful Revolution che, negli ultimi mesi, con una serie di azioni, li ha segnati con grandi e vivaci macchie di colore. “Inizialmente lanciavamo delle uova, forse perché eravamo vicini a Pasqua. Non era nulla di originale. Poi siamo passati alla vernice bianca e, a quel punto, alcuni designer che fanno parte del movimento hanno proposto di farlo con tutti i colori. E da lì abbiamo cominciato”, spiega uno degli organizzatori mentre la manifestazione passa accanto alla statua di un leone con punte di giallo e rosa.

È la sera di lunedì 20 giugno e, nonostante un’afa insopportabile, partecipano parecchie migliaia di persone. “Potremmo essere 20mila”, ipotizza un altro tra quelli che hanno preparato l’evento. Difficile dirlo e poco utile affidarsi ai resoconto di buona parte dei media che, secondo Reporter Sans Frontieres, sono i meno liberi dell’Europa sud-orientale. Quel che è certo è che le persone che hanno preso parte a questa ennesima protesta sono molto eterogenee: per estrazione sociale, per età, anche per etnia. Nel lungo corteo che ha attraversato il centro della capitale al suono di fischietti, vuvuzela e trombette, con diverse bandiere nazionali, alcune della comunità rom e praticamente nessun vessillo di partito, ci sono giovani e anziani, designer e operai, artisti e pensionati, rappresentanti della minoranza albanese e della comunità Lgbt.

Quando arrivano di fronte alla sede del governo, un edificio di marmo bianco anch’esso colpito da ripetuti colpi di colore, iniziano a cantare "Nikola, vedi quanti siamo?!"

Si rivolgono all’ex premier Nikola Gruevski del partito conservatore VMRO-DPMNE, al potere dal 2006. Dimessosi a gennaio nell’ambito di un’intesa tra i principali attori politici, il cosiddetto Accordo di Pržino, Gruevski è accusato di impedire la riforma dei media e la verifica delle liste elettorali, indispensabili per delle consultazioni eque e credibili. E così le elezioni, che inizialmente erano previste per il 24 aprile e poi per il 5 giugno, son state rimandate dalla Corte costituzionale a data da destinarsi. Con quest’incertezza sullo sfondo, la Colorful Revolution è tornata in piazza per far sentire la propria voce, scandendo, tra gli altri, il coro “Nessuna giustizia, nessuna pace”. È uno slogan che, per quanto generico, rivela il malcontento per la gestione della cosa pubblica, il rifiuto di clientele e corruzione, il distacco dai partiti e una forte rabbia alimentata anche da alcuni specifici episodi.

Uno è quello legato alla morte del ventiduenne Martin Neskovski , ucciso nel giugno del 2011 durante i festeggiamenti per la vittoria elettorale di VMRO. Sembra che a lasciare a terra esanime il giovane di Skopje sia stato un poliziotto e che le forze dell’ordine abbiano tentato di insabbiare il caso. L’omicidio, che già aveva causato una serie di proteste nelle settimane successive alla scomparsa di Neskovski, è tornato ad infiammare le piazze a maggio dello scorso anno, quando il leader dell’opposizione socialdemocratica Zoran Zaev ha diffuso una serie di intercettazioni secondo le quali anche il premier Gruevski avrebbe avuto un ruolo nel coprire l’agente colpevole. Non erano le uniche.

Dal febbraio 2015, il partito di Zaev, anche se non è ancora chiaro in che modo le abbia ottenute, ha diffuso molte altre registrazioni di ministri, funzionari e politici che porterebbero alla luce corruzione diffusa, abusi di potere, pressioni sulla magistratura e media, brogli elettorali e molti altri reati. 

È a tutto questo che si riferiscono i manifestanti della Colorful Revolution quando, tutti insieme, gridano “la mafia in galera”. Lo gridano pensionati con la sigaretta in bocca e signore di mezzà età truccate, giovani in bicicletta e adulti palestrati impegnati nel servizio d’ordine. Tanti di loro indossano orgogliosamente la spilla con il logo della rivoluzione, un pugno alzato cosparso di chiazze colorate, ovviamente. Tutti ce l’hanno con i loro governanti, colpevoli di pensare al potere e alle statue invece che a sviluppare un paese che ha un Pil pro capite di quasi 5.500 dollari l’anno (dati 2014 della Banca Mondiale) e molti dei suoi giovani all’estero a cercare fortuna.

Anche alla manifestazione si incontrano alcuni di questi espatriati che, rientrati per le vacanze, non hanno perso l’occasione di portare il loro contributo. C’è un giovane sbarbato che vive negli Usa ed è impiegato al Dipartimento di stato, una ragazza bionda che insegna design in Thailandia e una sua amica mora che lavora a Francoforte. Conoscono e salutano calorosamente i loro coetanei, la maggior parte tra i trenta e i quarant’anni, che sono tra gli organizzatori della protesta. “Dopo alcuni episodi – racconta uno di loro – i media di stato ci hanno definito hoolingans. Lì per lì non ci ho fatto più di tanto caso dal momento che certi organi di stampa sono da sempre schierati su posizioni decisamente filogovernative”. “Poi, ho pensato che non avevo mai conosciuto degli hoolingans tra i quali ci sono medici, architetti, artisti, designer, docenti universitari, dottorandi e così via”, aggiunge ridendo.

Per quanto la partecipazione sia trasversale, si vede che dietro al movimento c’è una certa organizzazione che i suoi componenti descrivono come "orizzontale". C’è chi si occupa di decidere le azioni con i colori da svolgere in piazza, chi segue gli account sui social network e chi gestisce le relazioni con i media. Sono tre compiti strettamente legati perché, proprio per la natura delle sue azioni, la Colorful Revolution risulta essere una protesta estremamente adatta alla comunicazione contemporanea, sia quando viene esercitata sia per i segni che lascia. Fotografi e operatori video hanno parecchio da immortalare per non parlare dell’efficacia su Facebook e Twitter delle immagini arcobaleno di Skopje. Se poi questa efficacia si sposterà dal piano comunicativo a quello politico è difficile da prevedere, persino per gli esperti dell’area. “Dire oggi se questo movimento troverà uno sbocco politico è complicato perché c’è una forte disillusione nei confronti di tutti i partiti tradizionali”, dice Marzia Bona, di Osservatorio Balcani e Caucaso.

Nel frattempo, però, un primo risultato la rivoluzione dei colori potrebbe averlo ottenuto. Il 7 giugno, il Presidente della repubblica Gjorge Ivanov ha annullato l’amnistia che, creando grande indignazione, aveva concesso il 12 aprile a cinquantasei persone, tra i quali molti politici indagati dopo la pubblicazione delle intercettazioni. Il Presidente, considerato vicino a VMRO, ha dichiarato tramite un comunicato che il suo gesto è stato mal interpretato mentre, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto “contribuire alla riconciliazione nazionale e offrire una via di uscita alla crisi politica che attraversa il paese”. A giudicare dalle presenze in piazza il 20 giugno, molti suoi concittadini hanno una visione diversa della situazione. E così la Colorful Revolution continua…

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