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A Roma la Post Jugoslavia

Dove va il teatro ex-jugoslavo? Cosa arriva al pubblico italiano e cosa si perde? Che contributo offre il teatro alla politica? Ce ne parla Giorgio Ursini Ursic, curatore artistico della rassegna ‘Post Jugoslavia’

24/10/2006, Giulia Mirandola - Roma

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‘Don Giovanni’ di Dramski Teatr

Post Jugoslavia è il titolo di una rassegna di teatro, musica e danza, svoltasi a Roma dal 25 settembre al 16 ottobre, organizzata da Teatro di Roma e dedicata a Croazia, Serbia, Macedonia, Bosnia e Erzegovina, Slovenia. Abbiamo incontrato il curatore della rassegna, Giorgio Ursini Uršič, in occasione di Helverova Noć (La notte di Helver), con il Kamerni Teatar 55 di Sarajevo diretto da Dino Mustafić.
Perché il titolo Post Jugoslavia?
Questa è una rassegna dedicata ai Paesi della ex-Jugoslavia. Non ai Balcani, ma a quei Paesi che una volta facevano parte della Jugoslavia, cioè Slovenia, Croazia, Serbia, Montenegro, Bosnia e Erzegovina, Macedonia. La Jugoslavia non esiste più, è un dato reale, adesso al suo posto ci sono sei Stati diversi. Se facevamo una cosa sui Balcani bisognava coinvolgere la Romania, l’Albania, la Bulgaria, l’Ungheria. Cosa sono i Balcani? Secondo alcuni anche la Grecia ne fa parte. Secondo altri, come dice Predrag Matvejević, i Balcani sono anche l’Austria.
Quali complessità ha comportato l’organizzazione di questa rassegna?
Non è stato facile trovare uno sponsor e chi avesse voglia di realizzare questa manifestazione. Ci è voluto un po’ di tempo. Si è reso possibile grazie al Teatro di Roma e al suo Presidente, Oberdan Forlenza, che si è innamorato subito del progetto. E il Teatro di Roma è il Comune di Roma.
L’idea della rassegna quando è nata?
Ci pensavo da tempo, da anni.
Da dove nasce la sua conoscenza dell’area ex-jugoslava?
Sono nato a Trieste e sono un triestino sloveno. Ho avuto un’educazione e una formazione, diciamo ‘verso est’. Ho fatto l’università a Praga e fin dall’adolescenza ho avuto rapporti molto stretti con la ex-Jugoslavia. Per quanto riguarda il teatro, sono trent’anni che seguo ininterrottamente quanto avviene in quell’area.
Qual è nel nostro Paese il grado di conoscenza del teatro ex-jugoslavo? A cosa è dovuto?
C’è una profonda ignoranza su quello che avviene in ex-Jugoslavia. Prevalgono le mode. È rarissimo che la nostra critica viaggi per principio. Vale anche per i nostri studiosi, forse qualcuno è stato al Bitef di Belgrado, forse rare puntate per eventi eccezionali o convegni. Altrimenti è molto difficile che si spostino e ciò accadeva anche quando c’era la Jugoslavia. Non si va nemmeno da Trieste a Lubiana, che significa 60 km, 40 minuti di autostrada, dal centro di Roma a Fiumicino.
Un fenomeno piuttosto paradossale, come evitarlo?
Cambiando la mentalità. L’esempio è qui. Questa rassegna dovrebbe rappresentare, seppur in modo parziale, quanto di più interessante avviene in quei Paesi. Dovrebbe se non altro incuriosire. Chi si è visto? A parte qualche raro critico, per il resto zero assoluto. Per la moda sì, per Pippo Delbono corrono tutti. Spero non sia la parola Jugoslavia ad alimentare la supponenza dei critici italiani.

Mirjana Karanovic e Ermin Bravo in ‘La notte di Helver’

In che termini il futuro dell’ex-Jugoslavia ci appartiene?
Lì il teatro è molto più vigoroso e interessante di quanto succede da noi. Per certi versi avremmo da imparare molto più noi da loro che viceversa.
A cosa si riferisce?
Hanno vissuto una guerra lunghissima, nessuno di loro ha dimenticato, né cercano di dimenticare. Tutti gli spettacoli in rassegna portano tracce di questa lacerazione. Però non sono sclerotizzati, c’è grande innovazione, alta professionalità, grande scuola attoriale.
Pur esistendo una drammaturgia ex-jugoslava, perché in Italia la si conosce così poco?
Prendiamo Biljana Srbljanovic. Tutti in Italia l’hanno letta perché scriveva su Repubblica. Ha scritto tantissimi testi, è molto rappresentata in Germania, in Francia, persino in Spagna. Da noi, a parte La Trilogia di Belgrado e altri testi (Giochi di famiglia, Supermarket) di Ubulibri, non la conosce quasi nessuno. Chi l’ha messa in scena? Il più importante teatro di Belgrado mette in scena ogni anno un suo testo, eppure da noi passa tutto inosservato. Ce ne sono tanti di autori contemporanei. C’è chi dice che questa rassegna è tutta monnezza, senza aver visto nulla.
Qual è l’energia propulsiva del teatro rispetto alla politica ufficiale o alla cooperazione internazionale in senso stretto?
Il teatro non cambia il mondo e non lo cambierà mai. Un esempio è il balletto di Belgrado: i ballerini sono sloveni, croati, serbi, bosniaci; il corpo di ballo è di Belgrado; il coreografo è un croato. Come prima della disgregazione, tutto quello che è uscito dalla porta, rientra dalla finestra. In parte è così. I registi serbi lavorano in Croazia, i croati lavorano in Serbia, tutto come prima, passaporti a parte. L’attore principale dello spettacolo Don Giovanni diretto da Aleksandar Popovski, presentato al Teatro India l’8 ottobre, è macedone e sta lavorando con il Teatro Nazionale del Montenegro; l’attrice sta lavorando in Bosnia; Mirjana Karanović, protagonista della Notte di Helver, è anche l’attrice principale di Grbavica, il film di Jasmila Zbanic, Orso D’oro al 56 Festival di Berlino, e ha debuttato pochi giorni fa a Belgrado con un testo di Bond.

L’artista Kadele espone ‘War Ballet’

Quanto recepisce la politica?
Sono dinamiche molto strane. La rassegna Post Jugoslavia è stata organizzata quando in Macedonia un mio carissimo amico era Ministro della Cultura. Ci sono state le elezioni, è cambiato il Ministro e nel giro di una settimana anche i direttori di tutti i teatri. Significa ricominciare da capo.
Che tipo di pubblico sta seguendo la rassegna romana?
Ci sono stati molti giovani, soprattutto al Teatro India. Chiedendo un po’, è l’idea della Post Jugoslavia che è piaciuta.
Che difficoltà avete avuto o state incontrando? Quali errori vi sembra di poter già evidenziare?
La mia idea era pagare un tributo a questi Paesi. Devo ringraziare la città di Roma che ha accettato di accogliere l’iniziativa con un impegno economico non trascurabile e in questo ci hanno aiutato anche tutti i governi. Forse è stato dato poco peso politico, la città non ha saputo capire esattamente come ‘usare’ un’occasione come questa e l’ha persa. Da questo punto di vista la città ha fallito completamente.
La notte di Helver porta in scena una regia di Dino Mustafić e il Kamerni Teatar 55 di Sarajevo. Ce ne può parlare?
Questa è una compagnia che ha una caratteristica: durante l’ultima guerra ha sempre recitato ogni sera, anche con i cecchini, anche senza luce o a lume di candela. La notte di Helver è un testo particolarmentre duro, già presentato in molti Paesi stranieri e pluripremiato. C’è sempre chi piange all’uscita. L’attrice protagonista, Mirjana Karanović, è strepitosa.
Dino Mustafić dirige anche il Festival Internazionale di Teatro MESS Sarajevo. Partendo da quest’esempio, possiamo almeno accennare ad alcuni festival teatrali in ex-Jugoslavia?
Mustafić ha rimesso in piedi uno dei più antichi festival d’Europa, appunto il MESS di Sarajevo. Aveva smesso di esistere nelle fasi più difficili dell’assedio di Sarajevo, ma è stato ripreso e comincia tra pochi giorni. Grossi festival sono il Bitef e il MESS. C’è un festival molto specifico sul teatro sperimentale che è l’Eurokaz a Zagabria, molti festival locali, il Cankarjev dom a Lubiana che fa una programmazione prettamente internazionale, da Peter Brook a Bob Wilson a Pina Bausch. C’è il famoso fesival di Dubrovnik in estate, Spalato ha un suo festival, Pola anche.
Lei parla dell’ex-Jugoslavia come di spazio insanguinato nel quale iniziare a disegnare il futuro. Che disegno ha in mente?
Potrebbe essere la nuova Mitteleuropa. Perché no?
Perché definisce quello ex-jugoslavo un laboratorio naturale?
Per ciò che lì è successo. La guerra è presente e sarà presente ancora per moltissimo tempo.

Link consigliati:
Kamerniteatar 55
Teatro di Roma

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