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2004-2014: l’allargamento e l’uomo delle caverne

Che ne sarebbe oggi dell’Europa senza il grande allargamento del 2004? Ha senso dubitare se festeggiarlo o meno? Un editoriale dell’European Stability Initiative

09/05/2014, ESI -

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(Pubblicato originariamente da European Stability Initiative il 30 aprile 2014)

Dopo il crollo del comunismo nell’Europa centrale, 25 anni fa, alcuni “realisti” si aspettavano che la nuova Europa sarebbe stata simile a quella vecchia, quella precedente alla Guerra Fredda. John J. Mearsheimer scrisse, nell’agosto del 1990 in “Why we will soon miss the Cold War:

"La pace: è meravigliosa. La amo tanto quanto il mio prossimo e non ho alcun desiderio di essere pessimista in un momento in cui l’ottimismo abbonda sulla futura forma che prenderà il mondo. Ciononostante la tesi in questo mio saggio è che rimpiangeremo presto la Guerra Fredda”.

I primi anni ’90 non sono stati un periodo di grande trionfalismo europeo ma piuttosto di grande ansia. E’ stato il tempo di libri come “Lo scontro di civiltà” (un ampio articolo in merito è stato pubblicato da Samuel P. Huntington nel 1993 e poi l’omonimo libro è arrivato nel 1996, ndt) o di “Blood and Belonging” (1993, Micheal Ignatieff). Un periodo nel quale il generale canadese Louis MacKenzie, a capo della missione di pace Onu in Bosnia, affermò presso il Congresso americano, nel maggio del 1993, che la legge della giungla era la vera legge dell’umanità: “L’uso della forza ha ottenuto ricompensa sin da quando il primo cavernicolo ha preso in mano una clava, ha occupato la caverna del suo vicino e se ne è andato con sua moglie”. In effetti, molti fatti succedutisi dalla fine della Guerra Fredda apparvero corroborare tale teoria.

Conflitti scoppiarono nel sud del Caucaso (Armenia, Azerbaijan, Georgia), in Moldavia, nell’ex Jugoslavia, nel nord del Caucaso. Nel sud-est dell’Anatolia vi fu una controffensiva con decine di migliaia di morti. Da allora vi sono state guerre in Georgia e in Ucraina. Per Mearsheimer, niente di questo è stato una sorpresa:

“Vi è poco spazio per la fiducia tra gli stati perché ciascuno stato è difficile che da solo riesca a sopperire all’eventuale tradimento della fiducia accordata e ciascuno stato deve garantire la propria sopravvivenza dato che nessun altro provvederà alla sua sicurezza. Gli stati quindi tentano di sopravvivere nell’anarchia massimizzando il loro potere relativo nei confronti degli altri stati. Il potere relativo, e non quello assoluto, è la cosa che importa di più agli stati. L’aggressione è una modalità per accumulare potere alle spese dei rivali”.

L’allargamento

Nonostante questo, vi è stata una cosa che i realisti non avevano previsto. Un evento che ha trasformato la storia, che molti europei occidentali rimangono ancora dubbiosi se festeggiare o meno il primo maggio del 2014: l’allargamento.

Prendete una cartina geografica dell’Europa. Segnate tutti i conflitti che sono scoppiati nel Continente dal 1989. Noterete che nessuno è avvenuto in un paese che era o membro dell’UE o della NATO o tra due paesi che desideravano far parte delle due alleanze.

La politica della deterrenza non è tornata dominante in Europa occidentale. Al contrario: la politica di un’integrazione pacifica ha esteso una Pax Europae attraverso una nuova vasta area.

Mearsheimer però aveva ragione in merito a quel mondo che si estendeva poco fuori dai confini dell’integrazione. Rimane ancor oggi una giungla politica, con paesi che si guardano l’un l’altro con grande sfiducia.

E’ in questo contesto utile ricordare come il grande allargamento sarebbe anche potuto facilmente non accadere.

Cosa sarebbe potuto essere…

Nel 1996 Vaclav Havel, scrittore, ex dissidente, ex prigioniero politico e poi presidente della Repubblica ceca ha tenuto una lezione ad Aquisgrana, patria di Carlo Magno, al confine tra Germania e Francia. Il Ventesimo secolo andava a concludersi e Havel vedeva una grande opportunità per l’Europa:

“L’Europa ha ora una possibilità mai avuta nella sua storia precedente: può costruire un suo ordine attraverso un accordo tra tutti quanti ne sono coinvolti in base a principi di equità e cooperazione democratica e pacifica”. Allo stesso tempo Havel ammoniva: “I demoni che hanno così fatalmente tormentato la storia europea – nel modo più disastroso durante il 20mo secolo – stanno solo prendendo tempo”. Per poi sottolineare: “Il fallimento nel cogliere quest’occasione aprirebbe la porta, in entrambe le metà dell’Europa, a coloro i quali preferiscono scontrarsi piuttosto che dialogare, a coloro che definiscono gli altri come avversari piuttosto che come vicini. Non è un bene fare finta che persone di questo tipo non esistano. So che né l’Unione e neppure l’Alleanza atlantica possono aprirsi da un giorno all’altro a tutti coloro i quali aspirano all’ingresso… Sei lunghi anni sono trascorsi dalla caduta della Cortina di ferro e non ha senso negare che – nonostante alcuni primi passi promettenti – poco è poi accaduto in questa direzione”.

Al tempo vi erano molti scettici. Nel suo libro “To the Castle and Back," Havel scrisse nel gennaio del 1995 di un incontro con il diplomatico statunitense Richard Holbrooke dove lui fece capire che gli Stati Uniti vedevano nella Germania “il maggiore ostacolo” per l’ingresso nella Nato della Repubblica Ceca. Holbrooke, sottolineò Havel, “vede il nostro ingresso nell’Ue come una questione di lungo termine e forse dal punto di vista strategico meno importante”.

Proviamo ad immaginare per un istante che il grande allargamento non sia mai avvenuto. Che nella primavera del 2014, mentre gli sforzi russi di destabilizzare l’Ucraina causano panico in tutta l’Europa orientale, stati baltici, Polonia, Romania, Bulgaria non fossero allineati, né membri della NATO né dell’Unione europea. Attualmente la diplomazia russa riesce addirittura ad avere amicizie di estremisti anche nell’Ue (dal Fronte Nazionale a Jobbik). Sarebbe stato certamente più facile e destabilizzante farlo in un’Europa centrale non allineata.

In breve, non vi era nulla di normale nel pensare un’Europa in pace. Era una visione maiuscola e rivoluzionaria. Contrariamente all’idea che l’Occidente non vedeva l’ora di espandersi dopo la fine della Guerra Fredda, la maggior parte dei leader europei è stata “trascinata” a farlo, mentre scalciavano ed urlavano, perché non volevano accettare di aprire le loro istituzioni a nuovi membri.

La prima vera breccia avvenne nella primavera del 1999. In quella data si tenne una cerimonia nella Biblioteca Truman di Washington. Vi presero parte i ministri degli Esteri di Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria, i primi paesi ex comunisti ad entrare a far parte della NATO. Il ministro degli Esteri polacco Bronislaw Geremek, anche lui, come Vaclav Havel, un ex prigioniero politico, dichiarò: “L’allargamento NATO è stato il più grande evento accaduto alla Polonia dalla nascita della cristianità”.

Alla cerimonia prese parte anche il Segretario di Stato USA Madeleine Albright, i cui genitori di famiglia ebraica fuggirono da Praga nel 1938, che aggiunse: “Alleluja, mai più i vostri destini verranno giocati come chip su un tavolo di scommesse. L’allargamento della NATO sta cancellando la linea tracciata in Europa da Stalin con i suoi stivali sanguinanti”.

Vi era Ron Asmus a lavorare in modo infaticabile all’allargamento NATO e che ha poi successivamente descritto la scena:

"Ho guardato alle delegazioni della Polonia, della Repubblica Ceca e dell’Ungheria. Molti di loro erano stati imprigionati sotto il comunismo per la loro lotta per la democrazia e la libertà. Hanno sempre sognato il giorno in cui avrebbero potuto unirsi all’Occidente… Quando questi polacchi, cechi e ungheresi avevano inizialmente chiesto di aderire alla NATO molti in Occidente li definirono degli inguaribili romantici. Ma loro hanno perseverato. Hanno sempre fatto parte dell’Occidente nello spirito. Ora stavano entrando nella sua alleanza militare. Era il compimento dei loro sogni e allo stesso tempo il loro trionfo. Molti di loro erano in lacrime”. A posteriori e guardando all’Ucraina discendere verso la guerra, non è difficile comprendere queste lacrime di gioia. La questione per il prossimo decennio è se qualcuno dei partner orientali riuscirà a seguire la repubblica Ceca… e forse, un giorno, gioire per un simile risultato acquisito. Come scrisse Vaclav Havel, nel 2005, guardandosi indietro: “… il paese è parte di un sistema così solido di relazioni internazionali e garanzie che qualsivoglia forma di soggiogamento che viene dall’esterno ora sembra virtualmente fuori questione. Penso che non abbiamo mai avuto, nell’intera nostra drammatica storia, gioito di questa certezza prima”.

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