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10 anni di poesia a Sarajevo

Si è tenuta a Sarajevo la decima edizione degli Incontri Internazionali di Poesia dedicati a Izet Sarajlić. 19 poeti da 16 Paesi e 3 continenti hanno ricordato “Kiko” nel grande festival che lega l’Italia alla Bosnia Erzegovina. I rappresentanti della Casa della Poesia di Baronissi, iniziatori del progetto, temono tuttavia che questa possa essere stata l’ultima edizione

30/09/2011, Mario Boccia - Sarajevo

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Sergio Jagulli, di Casa della Poesia di Baronissi , chiama sul palco Raffaella Marzano, che accetta di raggiungerlo. E’ la prima volta che accade, in dieci edizioni del festival dedicato a Izet Sarajlić. Insieme salutano il pubblico del Kamerni Teatar di Sarajevo, visibilmente commossi. E’ l’ultima immagine, prima che le luci si spengano sul festival.

“Con questa decima edizione degli Incontri Internazionali di Poesia a Sarajevo si chiude un ciclo e un progetto”. Sergio non avrebbe potuto essere più chiaro, sia nel suo discorso d’apertura che in quello di commiato.

Il saluto dell’Ambasciatore italiano Raimondo de Cardona è stato altrettanto chiaro, ma diceva l’opposto. De Cardona ha sottolineato “l’impegno crescente” profuso dall’Ambasciata italiana nel sostegno all’iniziativa e espresso l’auspicio che gli Incontri Internazionali di Poesia proseguano.

Chiunque tra i presenti non ha potuto fare a meno di notare la dissonanza tra il discorso di Jagulli e quello dell’Ambasciatore, tra il realismo di chi si batte nella carenza di fondi per la continuazione di un’importante iniziativa culturale che lega la Bosnia all’Italia e le intenzioni dell’Ambasciata che (per ora) restano tali.

Ma cos’è stata la decima edizione degli Incontri Internazionale di poesia di Sarajevo di cui stiamo parlando?

Questi i numeri: diciannove poeti arrivati da sedici paesi e tre continenti, accompagnati da quattro straordinari musicisti. Un pubblico misto, italo-bosniaco (tra i quali circa cento “viaggiatori consapevoli” italiani), che per tre sere e due pomeriggi ha affollato la sala (e il bar) del Kamerni Teatar, a pochi metri dalla "fiamma eterna" che celebra la liberazione della città nella Seconda guerra mondiale.

Rispetto alle scorse edizioni, c’è stata una leggera flessione del pubblico locale, ma la scarsa produzione di materiale informativo (niente poster e un depliant poco diffuso in città) sicuramente non ha aiutato. La sala è stata comunque sempre piena.

Paradossalmente, è questo successo che dura da dieci edizioni che può essere considerato il problema principale, questa volta non tecnico ma decisamente “politico”.

Perché, nonostante la qualità letteraria dei poeti amici di Izet, i gruppi più allineati e conformisti degli establishment dei Paesi coinvolti (Italia e Bosnia Erzegovina) dovrebbero sostenere una manifestazione così politicamente radicale? Infatti, al di là delle parole, hanno smesso di farlo.

Dal lato bosniaco, forse il discorso è anche più prosaico. In questo interminabile dopoguerra, congelato dagli accordi di Dayton, dove nulla cambia perché a chi è incollato alle poltrone sta bene così (in entrambe le entità costitutive) una manifestazione “senza portafoglio” come questa semplicemente non interessa.

Dal punto di vista di chi ha costruito questo progetto, l’impegno preso nel 2002 è stato mantenuto ed ha avuto successo. L’elaborazione del lutto per la perdita di Izet “Kiko” Sarajlić, poeta del mondo, nato a Sarajevo, presidente di “Casa della poesia” e cittadino onorario di Salerno, non poteva avere un percorso diverso. Sul palco degli Incontri Internazionali di Poesia, si sono incontrati almeno cento poeti. E’ stata una festa internazionale dei versi, sullo sfondo dell’amicizia particolare di Kiko con l’Italia.

Tra chi ha creduto e ha lavorato per realizzarli, sul lato istituzionale, è impossibile non ricordare il ruolo dell’addetto culturale e dell’Ambasciatore di allora: Gianluca Paciucci e Alessandro Fallavollita.

Un’immagine che spiega molto è quella di Füsun Fallavollita, moglie dell’ex ambasciatore, prima confusa tra il pubblico e poi nascosta in cabina di regia a controllare che i testi tradotti della poetessa turca Yeşim Ağaoğlu fossero proiettati correttamente, seguendo la progressione della lettura (Füsun è turca). Un esempio di passione disinteressata.

La celebrazione della memoria di Izet Sarajlić è stata (e deve essere) un confronto in positivo, più che uno sguardo nostalgico. Un’occasione d’incontro su nuove produzioni letterarie, più che un confronto di antologie. Perché la poesia di Sarajlić è stata allegra, anche quando era triste. Mai retorica, più vera che bella (quindi bellissima), lucida e tagliente, come la sua intelligenza. Nessuno come Sinan Gudžević poteva concludere meglio, con i suoi distici elegiaci, questo progetto. E’ stato giusto finire sorridendo.

Nella prima serata, Jack Hirschmann ha letto l’appello dei “100mila poeti per il cambiamento” del World Poetry Movement. Sarajevo è entrata nella lista delle 550 città (in 95 stati) dove il 24 settembre ci sono state letture pubbliche di poesie.

Tra i contributi video proiettati, quello di Erri de Luca, fratello di Izet negli anni più duri, e quello di Lawrence Ferlinghetti.

Anche Margaret Mazzantini ha mandato un video messaggio di saluti. Una dichiarazione d’amore per la poesia e la città, mentre a Sarajevo sono iniziate le riprese del film tratto dal suo romanzo “Venuto al mondo”.

Il ricordo in video dei poeti morti è stato importante nelle serate di Sarajevo. Essere poeti è anche questo: vivere intensamente, morire troppo presto e lasciare un buon ricordo di sé. Vivere nel ricordo degli amici è un’alternativa laica all’aspirazione all’immortalità dell’anima (“la cosa chiamata morte non esiste”, scriveva Ferlinghetti).

Così abbiamo bevuto vodka con Ken Smith e dondolato sulle note della nenia blues di Janine Pommy Vega (“capace di tirare fuori poesia anche dai carcerati colpevoli di reati terribili”, ricorda Jack Hirshmann) e immaginato il generale Jovan Divjak (in sala con sua moglie) ballare il tango, dalla voce di Izet.

Il 2012 sarà l’anno del ventesimo anniversario dell’inizio dell’assedio. Una data che sarà vissuta in modi diversi. Sarà occasione commerciale per la sfilata monotona di chi verrà per dire “io c’ero” (e passare all’incasso di visibilità), ma anche un momento per riflettere su che vuol dire “essere un popolo” oggi. Una “nazione” è un patto tra uomini liberi o un’identità di sangue tramandata?

Il 2 maggio del 2012 saranno dieci anni che è morto Izet Sarajlić. Non è possibile che questa data non sia ricordata come merita. Nella poesia di Izet ci sono anche tutti gli elementi per capire la resistenza civile di Sarajevo e il principio della cittadinanza moderna. “Dobbiamo fare qualcosa, sicuramente!”, dice Sinan Gudžević, l’amico di sempre.

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