Kosovo: UÇK, la corte che divide
Unione europea e USA spingono per la creazione di una corte speciale in Kosovo, per portare luce sulle accuse di crimini di guerra e traffico di organi nei confronti dell’UÇK. Ma il nuovo tribunale divide politici e opinione pubblica kosovara
Le autorità kosovare sono sotto pressione internazionale per istituire un tribunale speciale che dovrebbe perseguire i presunti responsabili dei crimini commessi nel biennio 1998-1999 dall’allora Esercito di Liberazione del Kosovo (UÇK).
Unione Europea e Stati Uniti premono affinché le autorità locali istituiscano il tribunale all’interno del sistema giudiziario kosovaro, abbia pubblici ministeri e giudici internazionali e abbia la propria sede in Kosovo pur vedendo svolte all’estero le fasi processuali più delicate, incluse le udienze dei testimoni, al fine di garantire a quest’ultimi la protezione contro qualsiasi intimidazione o azione ostile.
Un procuratore statunitense, John Clint Williamson, in Kosovo su mandato UE, sta indagando su crimini di guerra di cui vengono accusati i guerriglieri albanesi. L’indagine è stata aperta dopo la pubblicazione di un noto e controverso rapporto da parte del rapporteur all’Assemblea del Consiglio d’Europa, lo svizzero Dick Marty, che ha chiamato in causa alti ufficiali dell’UÇK, con l’accusa di omicidio e traffico d’organi di prigionieri serbi e albanesi kosovari. Tra gli altri, anche il primo ministro kosovaro Hashim Thaçi figura tra gli accusati nel rapporto Marty.
Reazioni contrastanti
L’idea della creazione di un tribunale speciale per crimini di guerra in Kosovo ha provocato forti reazioni tra l’opinione pubblica, preoccupata per il danno d’immagine per il più giovane stato d’Europa.
Il presidente dell’Associazione Veterani della Guerra del Kosovo, Muharrem Xhemajli, ha bollato come inutile l’intero progetto di questo tribunale. “Continueremo a rifiutare questo tribunale, che non rispetta la dignità del nostro paese e nega la legittimità della guerra dell’UÇK. Una guerra che, una volta sostenuta dalla comunità internazionale, dagli Stati Uniti e da tutti quelli schierati a favore della libertà, oggi si cerca ora di mettere sotto processo”. Xhemajli sostiene che, a partire dalla fine della guerra in Kosovo, i militanti dell’UÇK abbiano dovuto far fronte a processi internazionali che hanno danneggiato l’immagine storica della loro lotta.
Il tribunale, suggeriscono le autorità occidentali, dovrebbe essere promosso dal Parlamento del Kosovo, viceversa sarà il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a pronunciarsi direttamente sull’argomento. A questo proposito, il direttore dell’Ufficio per gli Affari dell’Europa Centromeridionale del Dipartimento di Stato americano, Jonathan Moore, ha recentemente visitato il Kosovo e incoraggiato le autorità di Pristina a votare a favore di un tribunale che porti chiarezza circa le accuse di traffico d’organi nel paese.
Samuel Žbogar, capo dell’Ufficio europeo in Kosovo e Rappresentante speciale dell’UE, ha dichiarato che “queste accuse devono essere accantonate, oppure valutate attraverso la messa in stato d’accusa di quelle singole personalità che potrebbero aver commesso tali atrocità senza il consenso o il sostegno del popolo kosovaro”.
“Il Kosovo ritiene che non vi sia verità dietro queste accuse. Può essere vero”, ha aggiunto Žbogar. “Tuttavia, soltanto un processo appositamente istituito può far luce sulla questione. È possibile ottenere questo risultato attraverso un tribunale speciale che sia istituito nel modo più credibile, credibile sia per il Kosovo che per la comunità internazionale, ma soprattutto credibile in termini di giustizia”.
Nonostante le iniziali titubanze, le autorità kosovare sembrano infine voler superare le resistenze. Il Presidente del Kosovo, Atifete Jahjaga, ha offerto per prima la propria disponibilità a cooperare con i partner internazionali. “Questo è un processo contro individui, non una condanna dello sforzo collettivo del paese per la propria liberazione”, ha precisato la Jahjaga in seguito ad un colloquio telefonico con il diplomatico Jonathan Moore.
Segnali di apertura
Il presidente ha affermato che il Kosovo ha dimostrato coraggio e determinazione nel saper affrontare il proprio passato e enfatizzato il fatto che il paese continuerà a prodigarsi a favore dello stato di diritto.
Per diverse settimane il primo ministro Hashim Thaçi ha eluso pubbliche dichiarazioni riguardanti il tribunale speciale, ma in un’intervista al quotidiano Koha Ditore ha sottolineato che al Kosovo è concessa un’unica opzione, quella di “collaborare con Stati Uniti ed Europa alla creazione di questo tribunale speciale, che sarà sotto la giurisdizione del Kosovo”.
Thaçi, il cui nome compare nel rapporto di Dick Marty, considera questo documento pura speculazione e sostiene che la guerra dell’UÇK fu pienamente legittima. Secondo la sua opinione, la creazione di un tribunale speciale non è accettabile per crimini di guerra in Kosovo, ma è giustificata invece dalla necessità di far chiarezza sulle accuse di traffico d’organi internazionale.
Secondo il portavoce del Parlamento Jakup Krasniqi, il tribunale danneggerà profondamente l’immagine del Kosovo e dichiara che i leader e le varie forze politiche dovrebbero adottare una posizione comune sulla questione.
Secondo i partiti d’opposizione, il Kosovo si trova in una posizione di debolezza, senza avere il potere di opporsi all’istituzione del tribunale. “Bruxelles ritiene che ci sia bisogno di un processo credibile, mentre invece si alimenteranno i dubbi dell’opinione pubblica internazionale sulla sua imparzialità e professionalità”, ha dichiarato a OBC il parlamentare del partito Alleanza per il Futuro del Kosovo, Burim Ramadani.
L’obiezione più forte all’istituzione del tribunale speciale proviene da un altro partito d’opposizione, Vetëvendosje (Autodeterminazione). Il suo parlamentare, nonché vicepresidente del Parlamento, Glauk Konjufca afferma che l’istituzione di un simile tribunale dovrebbe avvenire in Serbia, non certo in Kosovo. Con tutta probabilità il parlamento di Pristina inizierà a discutere sulla possibile creazione della corte speciale questa settimana, forse già giovedì 17 aprile.
Con un così alto numero di persone che ha iniziato a manifestare diffidenza verso questo tribunale e la paura delle possibili conseguenze, il rappresentante dell’Ufficio europeo per il Kosovo, Samuel Žbogar, ha tentato di stemperare gli animi con un comunicato volto a spiegare quali saranno i compiti del tribunale.
“Questa corte non intende processare il Kosovo o l’Esercito di Liberazione del Kosovo. I processi non cambieranno la storia: la discriminazione degli albanesi kosovari nell’allora Jugoslavia, le persecuzioni e l’allontanamento dai posti di lavoro, dalle scuole e dalle proprie case. Non cambierà la verità delle sofferenze dei civili durante la guerra. Il tribunale giudicherà rispetto ad accuse mosse contro specifici individui che hanno o non hanno commesso gravi reati. L’interesse del Kosovo deve prevalere sull’interesse di questi presunti criminali”.
“So che in molti temono per l’immagine del Kosovo”, ha poi aggiunto Žbogar. “Ritengo, tuttavia, che far chiarezza sulle accuse servirà a spazzar via la nube d’oscurità che ha avvolto il paese. La proposta di un tribunale speciale è il modo più rapido per andar oltre il rapporto Marty. Può, alla fine, migliorare la reputazione del Kosovo”.
Un’eredità pesante
Durante la guerra in Kosovo nel 1998-1999 furono uccise più di 10mila persone e si persero le tracce di oltre cinquemila, 1.700 delle quali risultano ancora disperse. Il Tribunale Penale Internazionale ha perseguito diversi criminali, ma terminerà quest’anno il proprio mandato. Anche la missione europea per lo stato di diritto in Kosovo (EULEX) ha affrontato alcuni casi. Esperti internazionali sostengono che, in relazione ad alcuni casi delicati come quelli di cui si fa menzione del rapporto Marty, il Kosovo abbia bisogno di un meccanismo giuridico specifico.
Un analista politico, Enver Robelli, sostiene che tutti coloro che hanno commesso crimini, anche quelli che vestirono l’uniforme dell’UÇK, devono essere perseguiti. Retoricamente, si domanda perché il Kosovo dovrebbe essere rappresentato da persone sospettate di aver rapito, torturato o ucciso civili nel corso delle ostilità.
“Fino ad ora, l’autorità giudiziaria kosovara non ha fatto luce su alcun grave crimine commesso durante la guerra. Anche quando i giudici locali vennero affiancati a giudici EULEX, essi o hanno adottato un basso profilo o hanno preso distanza dalla sentenze su casi di grande rilevanza, ad esempio quando il giudice Rrahman Ratkoceri sconfessò la sentenza contro il cosiddetto Gruppo Llapi”, sottolinea Robelli, sostenendo che il tribunale vada istituito prima possibile.
Belgrado, a sua volta, ha positivamente accolto il progetto di istituzione di un tribunale per i crimini di guerra in Kosovo. Secondo il viceprocuratore serbo per i crimini di guerra Bruno Vekarić, la sua istituzione rappresenta un passo importante nel cammino verso la giustizia e la riconciliazione nei Balcani.
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