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Kosovo: famiglia, procreazione e politica

La consapevolezza su salute, procreazione e parità di genere è un componente imprescindibile di ogni politica di pianificazione familiare. Il dibattito in Kosovo

19/03/2015, Shqipe Gjocaj -

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(Pubblicato originariamente da Kosovo 2.0 il 5 marzo 2015, tit. orig, "Planifikimi Familjar, riprodhimi dhe Stavileci")

Una situazione economica difficile spesso è affiancata da una situazione sociale precaria e spesso tutto questo è un indicatore di quanto bassa sia la consapevolezza tra uomini e donne delle problematiche legate alla salute riproduttiva ed a altre tematiche collegate. Quanto questo sia rilevante nel nostro paese dovrebbe essere evidente a tutti, soprattutto al ministro competente per lo sviluppo economico. Quando un ministro, o qualsiasi altro pubblico ufficiale (in particolar modo se conosciuto per modi eccessivi e poca sincerità) si arroga il ruolo di predicatore di morale, la pazienza dei cittadini viene spinta oltre i limiti.

In una delle trasmissioni televisive più seguite in Kosovo, Interaktiv, in onda su KTV, il ministro dello Sviluppo economico Blerand Stavileci ha recentemente parlato di inadeguata pianificazione familiare in Kosovo e mancata educazione in campo finanziario come alcuni dei problemi cruciali con cui si scontra il paese. “Penso che nel XXI secolo coloro che guadagnano 300 euro al mese non debbano avere sette figli“, ha dichiarato il ministro, suscitando la forte reazione dell’opinione pubblica.

Nel tentativo di affrontare la questione della pianificazione familiare, il ministro non solo ha mancato di sottolineare l’importanza di questo tema con modalità che avrebbero potuto incoraggiare come minimo un dibattito sulla necessità di investire risorse su politiche adeguate, ma si è arrogato il ruolo di giudice etico ricorrendo alle prediche del tipo "niente sesso, niente droghe, niente alcol".

Uno si aspetta questo tipo di discorso al massimo da un familiare o da un amico, anche se tali consigli “pratici“ si dimostrano quasi sempre superficiali. In ogni caso, non è un discorso da essere pronunciato da un ministro, né ad un tavolo ufficiale, né in TV. Far parte del potere esecutivo è un privilegio che comporta la responsabilità di trovare soluzioni ragionate ed umane ai problemi esistenti, evitando di proporre frasi fatte. Questo giudizio che arriva dall’ ”alto” – con un ministro che giudica i cittadini per il loro “comportamento primitivo“ – trova il suo corrispettivo anche all’interno delle stesse coppie, dove il preoccuparsi della contraccezione resta un dovere che incombe esclusivamente sulla donna.

Storicamente, sono le ragazze che venivano educate a non entrare in relazioni premature con i ragazzi, per non essere tacciate di "pocodibuono" e per non essere "fregate" nel fare sesso che (tra le altre cose) rischia di portare ad una gravidanza, con le loro vite condizionate da questo “atto vergognoso”. D’altra parte, i ragazzi vengono quasi incoraggiati a sfruttare al massimo la loro sessualità, semplicemente ai fini di valorizzare il proprio essere maschi, e nel contempo sollecitati ad essere cauti, per non trovarsi nella situazione di dover assumere responsabilità da adulti.

Non c’è da stupirsi quindi se questi doppi standard, una volta assimilati in età giovanile, rimangano vigenti nei rapporti di coppia. In società arretrate o sottosviluppate, la prevenzione della gravidanza è un dovere attribuito esclusivamente alla donna che, nel caso partorisse una bambina, viene spesso castigata o nei casi più estremi abbandonata. Quindi, nonostante l’uomo sia ovviamente parte in causa, viene di fatto ritenuto irresponsabile per qualsiasi gravidanza non desiderata. Ad essere giudicate e criticate per negligenza e irresponsabilità sono sempre le donne.

Le stesse regole vigono anche nell’ambito lavorativo. Secondo i dati ufficiali, in Kosovo il 79% delle donne sono inattive, l’8% disoccupate e solo il 13% ha un lavoro. Il quadro della partecipazione maschile al mercato del lavoro è nettamente diverso dato che il 40 per cento degli uomini che è inattivo, il 16 per cento disoccupato, mentre il 44 per cento ha un impiego.

Quanto alla tutela delle lavoratrici in gravidanza, il congedo di maternità di solito viene percepito come una “vacanza“ di cui godono le donne a spese dei datori di lavoro, i quali, specialmente nel settore privato, non si limitano a negare alle donne in maternità un’indennità decente, ma ricorrono spesso anche ai licenziamenti. Tale atteggiamento patriarcale, ormai normalizzato all’intero del sistema capitalistico, è diventato quasi una regola sociale nel nostro paese, al punto da poter essere incorporato persino nella retorica di un ministro. Il modo in cui il ministro Stavileci si è espresso pubblicamente sulle problematiche in questione è infatti una prova innegabile della sua mentalità patriarcale nonché dell’incapacità di distanziarsi dal suo snobismo politico e esercitare la propria funzione pubblica in modo responsabile.

La pianificazione familiare è una questione politica che riguarda sia il rispetto dei diritti fondamentali sia la salute pubblica e, come tale, dovrebbe essere affrontata attraverso meccanismi legislativi e politiche responsabili. Non meno importante è il ruolo dell’educazione sessuale, le cui radici risalgono agli inizi del Novecento quando Margaret Sanger, attivista ed educatrice sessuale statunitense, aprì la prima clinica per la pianificazione familiare. La motivazione principale che la spinse ad una tale impresa, in aggiunta al destino di sua madre determinato da ben 18 gravidanze, fu il fatto di aver assistito, come infermiera ostetrica, a numerosi casi di parti difficili, gravidanze indesiderate e addirittura aborti autoindotti con esiti tragici. La sua visione dell’educazione sessuale era considerata stravagante dall’America ufficiale di quei tempi, ma la Sanger non si lasciò scoraggiare, sollecitando le donne ad alzare la propria voce “contro lo Stato, contro la Chiesa, contro il silenzio della professione medica e contro l’intera macchina istituzionale che semina morte“.

Al giorno d’oggi, la pianificazione familiare è una materia di cui si occupano diversi centri, cliniche e organizzazioni, presenti in tutto il mondo e impegnati, in stretta collaborazione con le istituzioni statali, a garantire alla popolazione, specialmente quella giovanile, un adeguato sostegno per quel che riguarda l’educazione sessuale. L’obiettivo è quello di offrire alla cittadinanza, attraverso apposite politiche sostenute da notevoli investimenti, un’ampia gamma di servizi relativi alla prevenzione della gravidanza indesiderata, protezione dalle malattie sessualmente trasmissibili e sensibilizzazione sul diritto all’aborto e sull’importanza della responsabilità verso il proprio corpo.

Nel Kosovo di oggi, le donne che si sentono in pieno controllo della propria vita e del proprio corpo costituiscono un’evidente minoranza. Affinché tale gruppo possa crescere devono essere implementati programmi di rafforzamento dei diritti delle donne (e uomini) in merito alla salute riproduttiva e questi ultimi devono essere utilizzati in modo interscambiabile con la pianificazione familiare.

L’accrescimento della consapevolezza dell’intera popolazione sulle problematiche legate alla sessualità, salute, riproduzione e parità di genere è una componente imprescindibile di ogni politica di pianificazione familiare. Di ciò dovrebbe rendersi conto, prima di tutti, il ministro Stavileci, il quale continua ad affrontare l’argomento come una questione di educazione finanziaria e capacità di calcolo, permettendosi persino di parafrasare un vecchio detto albanese secondo cui “si deve stendere le proprie gambe a seconda della lunghezza della coperta”.

Il modo in cui il ministro riduce il concetto di pianificazione familiare alla esclusiva responsabilità personale dei cittadini, nel momento in cui gli standard di vita estremamente bassi non permettono loro di prendere decisioni autonome, è sprezzante e cinico nello stesso tempo.

Per questo – a meno che il ministro Satvileci si informi in modo adeguato e capisca che pianificazione familiare non significa solo decidere di essere o meno genitore o non sia una questione di mera lussuria, ma bensì una questione di politiche adeguate e che deve essere affrontata con l’importanza istituzionale che merita – il minimo che possa fare è scegliere le sue parole con più attenzione per non far sentire i cittadini peggio di come già stanno.

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