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Kosovo: disastro EULEX

A metà ottobre la Corte dei Conti europea ha pubblicato un rapporto molto critico sui risultati (non) ottenuti dalla missione EULEX in Kosovo. Ma secondo Andrea Lorenzo Capussela i fallimenti sarebbero ancora maggiori di quelli evidenziati. Un editoriale

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La Corte dei Conti europea ha recentemente pubblicato un rapporto sui risultati ottenuti dall’Unione Europea nel rafforzamento dello stato di diritto in Kosovo. Il rapporto è stato ampiamente discusso sui media, sia locali che internazionali, discussione a cui ha contribuito anche chi scrive. Vorrei però soffermarmi su alcuni aspetti della vicenda che, a mio modo di vedere, non hanno ricevuto l’attenzione che meritano.

Il rapporto approfondisce il ruolo e gli esiti di EULEX, la più grande missione mai schierata dall’UE e oggi vero portabandiera della politica comune di sicurezza comune e difesa. La conclusione principale della Corte è che l’attività consultiva di EULEX (in passato riassunta nell’acronimo "MMA" – controllo, guida e consulenza – e ora definita "rafforzamento") è stata generalmente inefficace e non ha prodotto risultati esattamente dove ve n’era più acuto bisogno.

Criminalità organizzata e corruzione sono i principali ostacoli allo sviluppo democratico, sociale ed economico del Paese, ma oggi le autorità del Kosovo sono altrettanto inerti che al novembre 2008, data di apertura ufficiale della missione (dopo un lungo e complicato processo di insediamento durato ben nove mesi). Poiché circa il 70% del personale della missione ha lavorato proprio su monitoraggio di polizia e giustizia, ci si potrebbe fermare qui e dire: EULEX ha fallito.

Ma continuiamo: la relazione elogia il lavoro di EULEX in materia doganale, definito "un grande successo". La base di questa conclusione, tuttavia, è molto debole. È vero, come afferma la relazione, che le entrate doganali sono cresciute del 32% tra il 2007 e il 2010, ma nello stesso periodo le importazioni sono cresciute esattamente della stessa percentuale. Poiché le entrate doganali dipendono dalle importazioni, questo significa che EULEX non ha peggiorato né migliorato il servizio doganale, così come ha fatto nei settori di polizia e giustizia.

La vera ragione di quel successo, infatti, è che già nel 2007 i servizi doganali del Kosovo funzionavano piuttosto bene, molto meglio di magistratura o polizia investigativa. E dovevano funzionare bene, visto che, a partire dal 1999, la maggior parte delle entrate di bilancio sono raccolte alla frontiera: senza un efficiente servizio di dogana, non ci sarebbero abbastanza soldi nemmeno per amministrare il Kosovo, figuriamoci per eventuali investimenti per la crescita.

È per questo che negli ultimi dieci anni l’UE (lavorando inizialmente all’interno della missione dell’ONU in Kosovo – UNMIK) ha dedicato molta attenzione alle dogane, riuscendo entro il 2007 a costruire un istituto piuttosto ben funzionante, mentre l’amministrazione fiscale è decisamente meno efficiente: un problema serio, perché il bilancio non può continuare a dipendere dalle importazioni, ma deve trovare una più ampia base nella raccolta fiscale all’interno dei confini del Kosovo.

Quindi, la vera domanda, che la relazione non pone, è: perché EULEX ha deviato parte delle sue scarse risorse sul sistema doganale? Proprio perché, risponderebbe puntualmente l’efficiente ufficio stampa della missione UE, le entrate doganali sono così importanti per il bilancio. Questo è vero, ma le entrate pubbliche non sono a rischio solo quando il denaro si raccoglie, ma anche quando si spende: se il servizio doganale del Kosovo raccoglie ogni anno 700 milioni di euro, infatti, i funzionari ne spendono in appalti un centinaio di più (quasi 800 milioni, secondo il rapporto).

E il sistema degli appalti in Kosovo è profondamente corrotto e inefficiente, così come lo era già nel 2007. Il risultato è che i soldi raccolti al confine, sotto gli occhi attenti di EULEX, vengono rubati qualche giorno dopo in una proporzione variabile dal 10% al 90%, secondo i dati più recenti dello stesso revisore generale del Kosovo: a leggere queste cifre, vengono in mente Sisifo e il suo mitico sforzo senza speranza.

L’errore strategico, dai gravi costi, non è stato scegliere fra servizi doganali, appalti o fiscalità, ma dividere le forze. I due generali che hanno guidato la missione avrebbero dovuto ricordare i loro manuali militari e concentrare tutte le risorse sul rafforzamento della più debole fra le istituzioni del Kosovo: la lotta a crimine, criminalità organizzata e corruzione. Poiché la corruzione è un fenomeno trasversale, uno sforzo deciso contro di essa avrebbe avuto effetti positivi su tutti i servizi pubblici: dogana, appalti, riscossione delle imposte, sanità, istruzione e così via.

E le funzioni esecutive? Purtroppo non sono state incluse nella relazione: una scelta caritatevole, poiché i kosovari (e i lettori di OBC) sanno bene quale cattivo uso la missione ne abbia fatto.

Mi limito a ricordare l’arresto dell’innocente governatore della banca centrale, che ha danneggiato senza motivo la migliore delle istituzioni kosovare, il fallimento di due anni di indagini sulla sistematica corruzione negli appalti stradali, lo stesso risultato per quelle sugli assassini politici e l’assenza di qualsiasi seria indagine sui fascicoli da me inviati su PTK (la società di telecomunicazioni nazionale), PAK (privatizzazioni), KEK (energia), un enorme appalto autostrade, altri appalti al ministero dell’Istruzione, e su personaggi eminenti dell’élite locale come Ekrem Luka e il compianto Dino Asanaj.

Il bilancio sembra chiaro. Funzioni consultive: zero risultati e un errore strategico. Poteri esecutivi: EULEX ha preso qualche pesce piccolo, ma per il resto abbiamo osservato solo inazione, fallimenti ed errori andati in gran parte a beneficio del premier Hashim Thaçi e del suo entourage, e quindi a scapito del Kosovo e, aggiungerei, anche dell’Unione europea.

Ma c’è di più. Tre anni fa EULEX ha incarcerato tre agricoltori serbi di Novo Brdo (una delle poche realtà ancora etnicamente miste del Kosovo) per crimini di guerra commessi contro albanesi nel 1999. Si è trattato di un’operazione speciale in piena regola: irruzione all’alba, porte distrutte, fucili automatici, grida, tenebre, colpi, manette. Questa accadeva il 23 settembre 2009, quando il governo e l’opinione pubblica del Kosovo erano molto arrabbiati per il protocollo di polizia che EULEX aveva appena firmato con la Serbia.

Coincidenza? Ne dubito, perché gli arresti hanno ricevuto un’ampia copertura mediatica che ha contribuito a ripristinare l’immagine della missione in un momento difficile. Ma non posso dirlo con certezza, perché in questo caso – e solo in questo caso – il sito EULEX ha pubblicato solo il dispositivo della sentenza che ha ritenuto gli accusati del tutto innocenti: senza leggerne le motivazioni, non posso verificare se le accuse fossero plausibili e avessero almeno qualche fondamento. Ma sono scettico: quanti criminali di guerra serbi che ancora vivono in Kosovo sono stati arrestati negli ultimi dieci anni? Nessuno, credo.

E perché queste persone vivrebbero ancora nel loro villaggio, in pace con i loro vicini albanesi, se fossero criminali di guerra? Non sto dicendo che EULEX ha inventato le accuse: forse ci sono state segnalazioni, magari risalenti al 1999, magari inviate da qualcuno che voleva mandarli via dal Kosovo e prendere la loro terra. Quello che sospetto è che EULEX abbia riportato alla luce quel caso solo per segnare una vittoria d’immagine.

In breve, salvo lievi eccezioni, la linea della missione UE è stata quella di essere utile a Thaçi, debole con i forti e forte con i deboli. Ma anche se pensate che esageri, concorderete che l’esclusione delle funzioni esecutive dalla revisione è stata una benedizione per EULEX, che però se ne rammarica con la stampa, dando a intendere che ciò avrebbe impedito ai revisori di vedere il buon lavoro svolto. Tale disonestà intellettuale è riprovevole, ma forse giustificabile nel contesto di una tale missione.

Un po’ meno l’astuta campagna mediatica che avrete senz’altro visto: prima appare la frase "EULEX non ha fatto nulla contro la corruzione", poi un punto interrogativo rosso, seguito da alcuni fatti e cifre che dovrebbero portare a respingere questa affermazione. Quella campagna è iniziata quando EULEX già conosceva le conclusioni della relazione: stava preparando il terreno per la difesa. Ma nell’interesse di chi è stata lanciata: quello dell’Unione europea, dello Stato di diritto, o di EULEX? Questa campagna non è stata che un cattivo uso di denaro pubblico.

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