Kosovo: dialogo senza dialogo
Il primo dialogo ufficiale è stato utilizzato dalle delegazioni di Priština e Belgrado per la loro lotta politica interna. Da Belgrado scrive Željko Cvijanović
L’inizio del dialogo tra i più alti rappresentanti di Belgrado e di Priština sulla questione del Kosovo non è riuscito ad avvicinare le incompatibili posizioni dei Serbi e degli Albanesi kosovari, quando in questione c’è il futuro dell’ancora irrisolto status della regione.
Nonostante negli ambienti internazionali l’incontro sia stato valutato come un passo avanti – per il fatto che i rappresentanti di Pristina e di Belgrado si sono incontrati ufficialmente per la prima volta dopo la guerra in Kosovo nel 1999 – si è trattato di un incontro decisamente freddo, durante il quale i partecipanti non si sono nemmeno scambiati in via cerimoniale la mano.
L’incomprensione delle delegazioni sulla maggior parte delle questioni ha dimostrato che il futuro status del Kosovo molto probabilmente non sarà il risultato delle loro trattative politiche.
Piuttosto, ciò mostra che il futuro del Kosovo, secondo l’occasione, sarà definito con un discreto arbitraggio delle forze maggiori della comunità internazionale, dalla quale dipendono per intero, sia politicamente che economicamente, sia il governo serbo che quello kosovaro.
A causa di ciò la seduta del 14 ottobre tenutasi a Vienna è stata intesa nei circoli di entrambe le delegazioni meno come una chance per un dialogo interpersonale e più come un’occasione per mostrare i propri argomenti di fronte alla comunità internazionale.
Ecco perché la parte serba ha insistito sulle questioni tecniche e sulla sicurezza delle minoranza serba in Kosovo, la quale, nonostante il protettorato internazionale sulla regione, ormai da quattro anni si trova esposta agli attacchi degli estremisti albanesi.
"Speravo che i leader albanesi invitassero di nuovo i Serbi e gli altri non albanesi a poter liberamente vivere nelle proprie abitazioni (in Kosovo)", ha dichiarato insoddisfatto alla fine della seduta il premier serbo Zoran Živković.
Il vicepresidente del governo serbo Nejboša Čović, che è anche incaricato per le questioni del Kosovo, dopo l’incontro ha detto che la parte serba è pronta a dialogare sullo status della regione solo quando sarà garantita la sicurezza alla minoranza serba.
Sull’altro versante, gli Albanesi hanno insistito sulla questione dello status, avendo presente che, nonostante il protettorato internazionale, hanno ottenuto l’amministrazione del Kosovo dal momento che le forze serbe nel giugno del 1999 hanno abbandonato la regione a seguito delle bombe della NATO.
Ecco perché il presidente del Kosovo, Ibrahim Rugova, ha detto che "l’indipendenza è un processo irreversibile".
"Gli abitanti del Kosovo sono pronti a pagare qualunque prezzo democratico per raggiungere questo obiettivo", ha dichiarato il presidente del parlamento del Kosovo Nexhat Daci, il quale ha definito la Serbia un "paese confinante".
Il maggiore problema per il futuro status del Kosovo, su cui il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha dichiarato il protettorato nell’estate del 1999 dopo lo scontro tra la NATO e l’esercito jugoslavo, riguarda il fatto che la regione è rimasta formalmente parte di Belgrado nonostante il suo governo sia retto dagli Albanesi e dalla comunità internazionale.
Dall’altra parte, all’interno della comunità internazionale non esiste una piena concordanza sul futuro status del Kosovo.
Se riavessero il controllo sul Kosovo, i Serbi screditerebbero la decennale politica di apartheid che il regime di Slobodan Milošević ha condotto nei confronti della maggior parte degli albanesi della regione.
Allo stesso tempo, l’indipendenza del Kosovo non riconoscerebbe il costante pericolo per i Serbi esposti agli attacchi in Kosovo e l’impossibilità dei profughi serbi di far ritorno nella regione.
Il problema delle difficoltà riguarda le significative lotte politiche interne sia a Belgrado che fra gli albanesi di Priština, che impossibilitano alle élite di governo di sostenere, senza rischiare la propria posizione, un compromesso politico.
Ecco perché a Vienna Rugova, che i suoi più estremi oppositori accusano di arrendevolezza, non ha voluto dialogare seriamente su altro al di fuori dell’indipendenza della regione.
"Belgrado non comprende la nuova realtà che il Kosovo è già indipendente e manca solo la dichiarazione ufficiale, che presto giungerà", ha detto Rugova.
Dall’altra parte il Kosovo, centro dello stato serbo medioevale, è sempre più un problema là dove il governo riformista serbo vuole convincere l’opinione pubblica che la sua cedevolezza nei confronti dell’Occidente e della collaborazione col tribunale per i crimini di guerra dell’Aia non deriva da un abbandono del patriottismo.
L’analista belgradese Djordje Vukadinović afferma che il potere serbo post Milošević all’inizio era più pronto a confrontarsi con la realtà che il Kosovo fosse controllato dalla maggioranza albanese.
"Ma sul versante interno il governo, a causa dei numerosi scandali, in generale ha perso quell’appoggio dei cittadini che gli consentirebbe di affrontare seriamente il problema del Kosovo", sostiene Vukadinović.
Quest’ultimo, inoltre, afferma che né la comunità internazionale né Belgrado hanno una chiara posizione sul futuro status del Kosovo, mentre presso i partiti albanesi esiste un netto consenso sull’indipendenza della regione.
Nonostante la mancanza di una chiara posizione, non ci sono segni che facciano pensare che Belgrado possa mollare, a maggior ragione per il fatto che il governo è alla fine del suo mandato e per il fatto che lo scottante problema del Kosovo verrà lasciato ai suoi successori.
Questo è il motivo per cui a Belgrado sono così rare le posizioni come quella che ha avanzato Miroljub Labus, leader del partito riformatore di opposizione G17 plus, il quale sostiene che Belgrado "non avrà mai più potere sul Kosovo"
Ma Labus, che discretamente è favorevole alla divisione della regione in una grande parte albanese e una piccola parte serba abitata dalla maggioranza serba di Kosovska Mitrovica, viene accusato da Živković di sostenere Hashim Thaci, uno dei leader estremi degli Albanesi kosovari.
Invece, la divisione del Kosovo – come ha detto all’Osservatorio sui Balcani una fonte vicina al governo serbo – in alcuni ambienti internazionali figura sempre più come una delle soluzioni dello status della regione.
"Nei primi contatti i rappresentati della comunità internazionale erano categoricamente contrari a tale soluzione, ma adesso ci sono anche indicazioni contrarie", ha detto la nostra fonte.
Come altra possibile soluzione compare la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, per la quale la Serbia sarebbe ricompensata con denaro e con una forte azione di lobby per l’ingresso in UE.
Inoltre, verso la metà di marzo due uomini del congresso repubblicano Philip Krein e Frank Wolf, insieme con lo studio legale "Venable" di Washington, hanno preparato una proposta secondo la quale Belgrado "accetterebbe la completa indipendenza politica, economica e sociale del territorio del Kosovo".
In cambio, si afferma in quella proposta, riceverebbe circa due miliardi di dollari.
Prima dell’incontro di Vienna, con un’idea simile si è presentato a Belgrado e Priština l’ex diplomatico americano Richard Holbrook, che ne ha discusso con i politici serbi e albanesi.
"Il Kosovo non è l’Alaska" ha detto Nebojša Čović a proposito di questo progetto.
Il patto, tuttavia, è che la posizione della comunità internazionale è tale che gli Albanesi del Kosovo non avranno l’indipendenza finché non garantiranno la sicurezza della minoranza serba e finché non apriranno le frontiere al rientro dei profughi serbi.
La terza possibilità riguardante lo status del Kosovo è una sorta di status quo: gli Albanesi avrebbero un potere di fatto, mentre la regione rimarrebbe formalmente agganciata a Belgrado.
E mentre l’idea sulla divisione del Kosovo soddisferebbe Belgrado, e quella sull’indipendenza Pristina, lo status quo non soddisferebbe nessuna delle parti in causa, benché entrambe dichiaratamente sostengano la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 1999 che definisce tale situazione.
Tutto ciò indica che, a dispetto dell’inizio dei colloqui, la soluzione definitiva dello status del Kosovo è lontana.
Ma entrambe le parti sanno che la lotta per essa è iniziata tempo fa e cercano di presentare i propri argomenti alla comunità internazionale, nelle cui mani, e tutti ne sono coscienti, si trova la chiave del problema.
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