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Kosovo, voglia di voto anticipato

La crisi politica aperta in Kosovo dalle dimissioni del presidente Sejdiu sfocia in elezioni anticipate. Ad accelerare sulla data del voto (12 dicembre) soprattutto il premier uscente Thaci, che vuole prendere in contropiede gli avversari per assicurarsi così un nuovo mandato

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Hashim Thaci si era già assicurato un posto nella storia del Kosovo nel febbraio 2008 , quando ha guidato il paese nel momento della dichiarazione di indipendenza dalla Serbia. Ora il leader del PDK diventa suo malgrado anche il primo premier kosovaro a subire una mozione di sfiducia e ad affrontare la successiva crisi di governo. Risultato: le prime elezioni del Kosovo indipendente, previste per il prossimo 12 dicembre.

Thaci, però, non è stato un semplice attore passivo della crisi. Lo scorso 2 novembre, quando la mozione di sfiducia è passata al parlamento di Pristina con 66 voti su 120, numerosi deputati del suo PDK hanno contribuito a far cadere l’esecutivo. L’operazione è stata benedetta dallo stesso Thaci, che l’ha definita come “l’unica via d’uscita” all’attuale crisi politica in Kosovo.

Tutto era cominciato lo scorso settembre, quando il presidente del Kosovo Fatmir Sejdiu è stato costretto alle dimissioni da una decisione della Corte costituzionale, che aveva giudicato anticostituzionale il suo doppio ruolo di capo dello Stato e leader politico dell’LDK, partner di minoranza del governo guidato da Thaci.

Le dimissioni di Seidju hanno minato gli equilibri dell’alleanza di governo tra LDK e PDK, portando i sei ministri espressi dal partito di Sejdiu a seguirne l’esempio, e a presentare le proprie dimissioni il 18 ottobre. Quest’atto ha ufficialmente segnato la fine del sodalizio, spesso scomodo, tra le due forze politiche dando così via alla crisi.

A tutte le forze politiche kosovare è risultato evidente che la soluzione dell’impasse doveva passare attraverso elezioni anticipate, e un accordo di massima per tenerle nel gennaio o febbraio 2011 sembrava a portata di mano.

Molti partiti dell’opposizione, però, non hanno nascosto la propria preoccupazione per la concentrazione delle principali cariche dello Stato di cui il PDK avrebbe goduto in questi mesi e in campagna elettorale. Alla fine, l’AKR del tycoon Behgjet Pacolli ha preso l’iniziativa, presentando in parlamento la mozione di sfiducia che ha segnato la fine del governo Thaci e ha anticipato la data delle elezioni alla prima metà di dicembre.

Secondo alcuni analisti, il partito di Pacolli, pur formalmente responsabile della crisi, ha in realtà come obiettivo primario quello di proporsi al PDK come possibile alleato dopo la chiusura delle urne.

Il partito di Thaci, tra l’altro, non ha nascosto la propria impazienza di mettere fine alla confusa crisi di questi mesi per presentarsi di nuovo al giudizio degli elettori, confortato dai primi sondaggi che al momento sembrano confermare un solido vantaggio rispetto agli altri partiti in lizza.

La decisione del PDK di “auto-affondare” il proprio governo è stata presa anche per sfruttare le difficoltà dei principali concorrenti politici e soprattutto quelle dell’LDK, l’alleato-avversario che dalla morte del suo storico leader, Ibrahim Rugova, nel 2006, ha accusato un forte processo di ridimensionamento e fratture interne, anche a causa di una leadership, quella di Sejdiu, considerata debole e spesso passiva.

Da domenica 7 novembre, però, l’LDK ha un nuovo presidente, l’attuale sindaco di Pristina, economista e professore universitario Isa Mustafa. Eletto a larghissima maggioranza dalla direzione del partito, Mustafa ha sconfitto proprio Seidju, promettendo di dare spazio nell’LDK a idee e volti nuovi. L’elezione di Mustafa potrebbe rivelarsi la novità più significativa in vista delle elezioni. I primi segnali fanno presagire un rafforzamento delle posizioni dell’LDK, che si candida ancora una volta ad essere il principale concorrente del PDK.

La data del 12 dicembre provocherà di sicuro non pochi problemi ad un altro dei principali concorrenti politici di Thaci, l’AAK di Ramush Haradinaj, attualmente detenuto all’Aja in attesa che si tenga l’appello del processo che lo vede accusato di crimini di guerra. Dal suo ingresso in politica, questa è la seconda volta che Haradinaj, già primo ministro del Kosovo, dovrà assistere da lontano ad una competizione elettorale.

Blerim Shala, attuale reggente del partito, ha usato parole dure contro Thaci, accusato di voler creare una “democratura”. Secondo Shala, la fretta di Thaci di andare alle urne è dovuta proprio alla volontà di  tenere Haradinaj fuori dai giochi. Secondo Shala i tempi sono ora così ristretti che nemmeno la commissione elettorale potrà essere pronta entro il 12 dicembre.

Nelle intenzioni del PDK, la crisi accelerata dovrebbe porre un freno anche all’emergere di nuovi concorrenti come i movimenti “Vetevendosje” e “Fryma e Re” (Nuovo spirito). Entrambi i soggetti stanno ancora creando una rete di sedi e comitati nelle varie circoscrizioni, e lo scarso tempo a disposizione non rende facili le cose. Nonostante tutto, però, “Vetevendosje” e “Fryma e Re” potrebbero conquistare seggi, sottraendo consensi e voti ai partiti tradizionali.

“Vetevendosje”, movimento storicamente guidato da Albin Kurti, che per la prima volta si presenta alle urne come partito politico, al momento viene accreditato di circa il 10% dei consensi. Il risultato elettorale del movimento sarà un indicatore importante degli umori dell’elettorato, visto che “Vetevendosje” punta ad attirare consensi con un programma dai toni nazionalisti, che non esclude una possibile unificazione tra Kosovo ed Albania.

“Fryma e Re”, partito presentato ufficialmente appena il 5 ottobre col contributo sostanziale di due analisti politici, Shpend Ahmeti e Ilir Deda, è stato definito dai suoi stessi fondatori come un partito di centro, attento ai temi economici, al welfare e all’integrazione europea del Kosovo.

Un discorso a parte, naturalmente, vale per la minoranza serba, che ancora non ha deciso se partecipare o meno alle consultazioni. La linea che divide le comunità a sud del fiume Ibar da quella che abita a nord di Mitrovica sembra essere più profonda che mai, con i primi orientati a partecipare al voto e i secondi decisi a boicottarlo. Anche da Belgrado, per il momento, non arrivano indicazioni né in un senso né nell’altro, anche se il governo di Tadic ha promesso di prendere posizione a riguardo in tempi rapidi.

La gestione della spinosa questione avrà sicuramente un impatto non indifferente su quella che si preannuncia come una priorità assoluta del prossimo governo di Pristina, e cioè la ripresa del processo negoziale con Belgrado, interrotto dalla crisi aperta dalle dimissioni di Sejdiu. Un processo negoziale preannunciato più volte, ma i cui contorni e le cui finalità restano ancora avvolti nell’incertezza.

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