Tipologia: Intervista

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Area: Kosovo

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Kosovo, utilizzare al meglio le potenzialità dell’innovazione

Il Kosovo sta crescendo velocemente nel campo dell’innovazione, ma le potenzialità esistenti al momento non vengono sfruttate quanto meriterebbero. Ne abbiamo parlato con Uranik Begu, direttore dell’Innovation Center Kosovo

17/11/2022, Ornaldo Gjergji -

Che cos’è, in breve, l’Innovation Center Kosovo? 

L’Innovation Center Kosovo (ICK) è una organizzazione no-profit fondata nel 2012, con il supporto del ministero degli Esteri norvegese. L’obiettivo è quello di creare una nuova economia attraverso start-up tecnologiche. 

Negli anni, l’ICK ha dimostrato che supportare la creatività e lo spirito d’innovazione dei giovani del Kosovo era la via giusta. Con noi, i giovani hanno modo di dimostrare il loro talento, testare le loro idee, fare nuovi amici, trovare soci, dimostrare il loro potenziale, e di conseguenza creare nuove opportunità per loro e la comunità in cui vivono. 

Che tipo di attività svolge il Centro? 

L’ICK opera oggi seguendo tre pilastri. Il primo è il cosiddetto Startup Support: lavoriamo direttamente con le imprese durante la loro fase di ideazione e raccolta fondi. Supportiamo startup e aziende che hanno sino ai due anni di attività alle spalle. Attraverso questo primo pilastro offriamo uffici, servizi, consulenze, servizi di tutoraggio, promozioni B2B, ma anche finanziamenti monetari per idee innovative. In questo contesto opera anche l’Innovation Found con cui sosteniamo le piccole-medie imprese che intraprendono il processo di digitalizzazione per rimanere competitive. 

Il secondo pilastro è lo Skills Department and Talent Program, con il quale proviamo ad immettere nuove persone nel mercato del lavoro. Alcune entreranno come dipendenti, altri diventeranno imprenditori, lavoratori autonomi o freelancer. Finora abbiamo formato 8500 persone; non siamo un centro di formazione accreditato, quindi ci focalizziamo su soluzioni veloci per l’industria, che non cerca spesso diplomi ma un impatto economico. Ha funzionato finora e sta continuando a funzionare. 

Il terzo pilastro sono gli eventi comunitari, perché vogliamo rendere questo paese interessante. Vogliamo far restare i giovani in Kosovo e nei Balcani. Finora, penso che siamo riusciti a portare in Kosovo circa 50 collaborazioni internazionali. 

Come finanziate le vostre attività? 

Al momento, otteniamo fondi da un’agenzia di sviluppo svedese, nostra principale sostenitrice, ma abbiamo accordi anche con agenzie di sviluppo internazionali e con i programmi di alcuni ministeri degli Esteri (Norvegia, USA, Svezia, Germania, Unione Europea, Austria, Lussemburgo). Lavoriamo poi anche con l’ONU, l’UNICEF, il Programma per lo sviluppo dell’ONU e l’ONU women. Abbiamo progetti anche con istituzioni governative. Tutte queste attività si basano su progetti. 

Operate esclusivamente in Kosovo? 

Abbiamo varie start-up provenienti dalla Macedonia e dall’Albania. Anche startup internazionali da Francia e Germania vengono qui. Allo stesso modo, operiamo in tutti i Balcani attraverso varie collaborazioni. 

Pensa che l’ICK, considerate le vostre attività, possa ampliare la propria scala di attività anche ai Balcani Occidentali o ad livello europeo? 

Il problema dei Balcani è che sono estremamente frammentati, anche l’Europa ha la stessa “sindrome della frammentazione”. Succede per molte ragioni: barriere linguistiche, confini fisici, a volte anche la valuta rappresenta un problema. Quindi non è facile dire quanto di ciò che facciamo sia scalabile. 

Per esempio, in Albania c’è un crescente interesse per una nostra eventuale presenza, considerati i nostri contatti e la nostra influenza. Ci chiedono di partecipare a molte attività. Penso però che sia troppo presto, dobbiamo ancora combattere per la nostra sopravvivenza e visto che la nostra sostenibilità si basa sulle donazioni, penso sia troppo presto per spingersi fuori, ma potrebbe certamente capitare. 

Qual è il profilo medio del personale all’interno delle start-up che affiancate? 

Difficile da dire, di solito queste organizzazioni assumono circa 14 persone di media, ma altre sono più grandi, fino a 25-30 persone. Riguardo al genere, c’è ancora una predominanza maschile, circa un 60-40, ma andiamo verso un 50-50. Abbiamo anche  programmi ben strutturati che hanno il fine di avvicinare donne e ragazze alla tecnologia. Uno dei programmi è chiamato “sviluppatore”, abbiamo donato oltre mezzo milione di euro in borse di studio per incoraggiare le donne alla programmazione informatica. Abbiamo seguito 61 donne e ragazze: tutte sono state assunte ora e questa è una delle nostre attività di cui andiamo più orgogliosi. 

Pensa che sia un problema trattenere giovani e valide competenze lavorative in Kosovo? Le persone vogliono andare all’estero dopo aver acquisito competenze? 

Questa domanda mi fa pensare alla definizione di “fuga di cervelli”. Dal mio punto di vista la fuga di cervelli non ha molto a che fare con la presenza fisica, o dove si vive. Ma in come e a favore di chi vengono utilizzate le proprie competenze. Ad esempio attualmente molte persone che vivono in Kosovo in realtà sono coinvolti nell’”outsourcing” e difatti stanno lavorando per aziende estere e risolvendo problemi non della comunità del Kosovo.

Quindi si, siamo esposti alla fuga dei cervelli, non tanto per quanto riguarda persone che lasciano il Kosovo, ma piuttosto per come e per chi utilizzano il loro cervello. E questo è principalmente dovuto alla mancanza di capitale privato e pubblico nei Balcani che possa sfruttare le loro competenze, creare opportunità per i giovani che hanno idee. 

Pensa che ci sia una chiara strategia politica in Kosovo per supportare l’innovazione? 

Nel corso degli anni il governo ha fallito nel settore tecnologico. E’ un settore ciononostante in crescita, che si finanzia da solo per le opportunità date dalla crescente domanda per i servizi digitali globali. 

Come pensa che i governi locali e nazionali possano supportare attività come la vostra e più in generale l’intero settore? 

Devono essere più coinvolti nelle collaborazioni tra pubblico e privato. Devono essere più aperti mentalmente. Devono iniziare a creare soluzioni. Generiamo dei dati, questi dati servono per entrare nel mercato, per creare soluzioni ai cittadini. Devono vedere la digitalizzazione e i servizi informatici come qualcosa in grado di far crescere il loro benessere e generare servizi per la loro stessa gente. 

Visto che il governo è in grado di spendere molto, potrebbe anche incentivare chi fornisce servizi locali per dare soluzioni al posto loro. Tutte le persone che creano soluzioni per aziende straniere, grandi università, governi esteri, potrebbero essere riportate in Kosovo per tentare di risolvere alcuni problemi sociali cruciali quali salute, giustizia, amministrazione pubblica, educazione e così via. 

Il sistema educativo del Kosovo riesce a promuovere il pensiero innovativo e imprenditoriale? 

I percorsi educativi non sono competitivi e non supportano lo spirito d’innovazione e imprenditorialità. E’ ancora una comunicazione a senso unico. Le classi sono numerose, gli insegnanti sono ancora gli unici conduttori. Anche se parliamo di nuove metodologie, i libri non sono all’altezza. La scuola dovrebbe ripensarsi e ridefinirsi da sola, non solo in Kosovo. E abbiamo bisogno di collaborazioni più strette tra pubblico e privato. 

Dall’altra parte, in Kosovo c’è stata per molto tempo una cultura in cui l’amministrazione pubblica era il settore che attirava di più. Molte persone aspirano ad ottenere una posizione all’interno dell’amministrazione pubblica perché si ha la sensazione di avere un lavoro per tutta la vita. E’ stato veramente difficile sfidare questo modo di pensare. Solo il settore delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione e la correlata industria hanno iniziato ad entrare nella testa delle persone, a creare nuovi posti di lavoro, a fornire assicurazioni, cure mediche e così via, offrendo anche competitività per i giovani. 

Ovviamente, il settore dell’innovazione richiede una nuova serie di capacità e le persone possono iniziare a fare questi lavori formandosi o riaddattandosi, visto che non hanno bisogno di un diploma ufficiale, come invece richiesto dall’amministrazione pubblica. 

Quali sono, secondo lei, i principali limiti e potenzialità per le imprese innovative in Kosovo? 

Vedo molto potenziale, ma sfortunatamente non lo stiamo utilizzando. Non sto dicendo che non sta accadendo niente, ma se potessimo portare nuovi significati e strumenti nell’ecosistema, potremo fare molto di più di ciò che già facciamo. Nel mentre, il tempo è contro di noi, i giovani vogliono lasciare il paese, non vedono opportunità. 

L’ecosistema delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, dell’innovazione, delle startup e dell’imprenditorialità, dovrebbe essere il portatore 

di questa trasformazione, creando nuove opportunità per i giovani, ma allo stesso tempo utilizzando la tecnologia per risolvere alcuni dei nostri problemi che abbiamo localmente, migliorando così la qualità di vita attraverso l’offerta di nuovi servizi. Abbiamo bisogno di collaborazioni con governi esteri, agenzie, ma abbiamo anche bisogno del nostro governo per fare sostanziali passi avanti. 

L’Unione Europea sta facendo abbastanza per supportare l’innovazione in Kosovo? 

Onestamente, sono molto critico verso l’Unione Europea e il modo con cui hanno trattato l’argomento fino ad ora. Hanno dato così tanti soldi alle infrastrutture del Kosovo per tante cose correlate principalmente al passato. Parliamo di musei, gallerie d’arte… dobbiamo invece focalizzarci sul futuro digitale, dando spessore ad organizzazioni già esistenti come l’ICK, in grado di dare potere ai giovani. L’Unione Europea ha già fatto scelte molto buone in posti come l’Armenia, dove hanno creato fondi di capitale privato, hanno concesso finanziamenti e così via. Possono farlo ancora. Significherebbe molto.

 

Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto "La mobilità del capitale umano dei e dai Balcani: quando l’innovazione riesce a frenare la fuga di cervelli" cofinanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI). Il MAECI non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto. La responsabilità sui contenuti è unicamente di OBC Transeuropa. Vai alla pagina del progetto

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