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Kosovo, sotto l’occhio del Grande Fratello

E’ in svolgimento “Shpija e Kosoves”, seconda edizione (in versione casalinga) del “Grande fratello”. Un programma in cui non è difficile riconoscere un tentativo di auto rappresentazione collettiva della società kosovara di oggi. L’analisi della versione kosovara di uno dei più noti format televisivi

03/03/2011, Zoe Salander -

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Anche se un reality show non può essere definito lo specchio di una società, di certo questo format può offrire un osservatorio interessante su comportamenti e tendenze collettive e culturali in diversi paesi. Da questo punto di vista, il celeberrimo “Big Brother” è paradigmatico. Il fatto di rinchiudere in un luogo dei concorrenti tra loro sconosciuti e di mettere sotto gli occhi delle telecamere e gli orecchi dei microfoni ogni loro interazione, crea le condizioni per evocarne gli schemi di relazione, pensieri, sentimenti, stereotipi e pregiudizi.

In Kosovo è in pieno svolgimento la seconda edizione della “Shpija e Kosoves 2”, una versione casalinga del format originale di Endemol. La Shpija, che significa “casa” nel dialetto ghego, è la parola che designa il luogo dove vengono ospitati i concorrenti e il Signore della Shpija (Zoti e Shpijes, in albanese Zot significa anche Dio) è colui che decide le regole, dà le punizioni, conferisce premi e gratificazioni e ordina le attività giornaliere.

Dodici partecipanti, sei uomini e sei donne, devono vivere reclusi per 90 giorni inseguendo l’obiettivo finale di vincere un appartamento di 60 metri quadrati a Pristina, oltre ad acquistare una ben più ambita notorietà e fama. Non solo presso il pubblico kosovaro, ma anche tra la diaspora, grazie al canale predisposto su internet dal provider nazionale Kujtesa, che trasmette dalla casa tutto il tempo e che, insieme a Ipko, è il secondo canale televisivo digitale a pagamento in Kosovo, con circa 80mila abbonamenti attivi nei maggiori centri urbani.

Particolarità della versione kosovara

La seconda edizione segue alla prima con alcuni cambiamenti, come preannunciato dallo spot “una casa più grande, con concorrenti più belli, più intelligenti e più pazzi”. Il riassunto quotidiano e lo show settimanale in prima serata vengono ora trasmessi non più da Canale 21, ma da KTV, che assieme alla più politicizzata RTK, rappresenta il canale nazionale più importante, e la cui indipendenza è garantita da Flaka Surroj, sorella del più noto politico ed intellettuale Veton.

Il pubblico, prevalentemente composto da giovani e giovanissimi, può seguire il programma anche attraverso un apposito canale digitale, commentando in diretta i personaggi preferiti e odiati e l’evoluzione dei loro comportamenti. Il regista principale del programma, Genc Dobroshi, racconta come l’idea di programmare un’edizione kosovara del Grande Fratello fosse nata dopo la proclamazione dell’indipendenza, per offrire al pubblico l’opportunità di rappresentarsi collettivamente come una nazione. La Serbia è già arrivata alla sesta edizione del “Veliki Brat” e quest’anno si è aperta la quarta edizione per l’Albania.

La pianificazione e l’organizzazione del programma è stata resa possibile dalla disponibilità economica della famiglia Muja, che ha offerto la location e tutte le condizioni per assicurare la copertura delle spese, insieme alle offerte degli sponsor, che possono utilizzare la Shpija come vetrina dei loro prodotti.

“La funzione della tv commerciale non è facile da comprendere in Kosovo”, spiega Genc, “poiché il concetto di business è limitato dalla forte propensione a restare legati al proprio territorio e a una rete di clienti conosciuti, piuttosto che affidarsi all’anonimato della televisione. Dall’altro lato la diffidenza degli sponsor dipende anche dal timore di essere associati con un programma dai contenuti ritenuti  immorali”.

In un paese che cerca fortemente di fondare e fortificare la propria identità, l’esaltazione dei valori morali, religiosi, della tradizione e della storia rappresenta un modo molto efficace di rappresentarsi, creando una sorta di paradosso rispetto alla forte internazionalizzazione della popolazione di quello che è considerato il paese più giovane in Europa, dove più della metà della popolazione ha meno di 25 anni (UNICEF 2010).

Quasi tutti i partecipanti sono giovani: per la seconda edizione la soglia di età è stata alzata a 21 anni. Ma la richiesta di adesione è molto condizionata dal genere: pochissime ragazze hanno chiesto di partecipare, perché quasi tutte sono fortemente sconsigliate dalla famiglia, anche se quest’anno Alkena, una ragazza di Pristina, insieme ad altri due ragazzi, figurano tra partecipanti al Big Brother Albania (arrivato, come detto, alla quarta edizione).

Genc sottolinea che molte ragazze chiedono di intercedere direttamente con le loro famiglie e specialmente con i loro padri, anche se i comportamenti sessuali ed erotici sono proibiti dal regolamento della “Shpija”, perché persino la vicinanza fisica tra uomini e donne può essere compromettente ed illecita per la morale sociale.

L’anno scorso il pubblico aveva decretato la vittoria di Fadil, 38 anni, che rappresentava la sintesi ideale del kosovaro tipico: bravo a cantare suonando la chitarra e nelle danze tradizionali, cuoco, amico fraterno e seduttore, ma che poteva contare sul supporto del suo popolatissimo quartiere nella periferia della capitale. Quest’anno appare difficile capire chi vincerà.

La scelta dei concorrenti ha privilegiato l’inclusione di persone provenienti da regioni decentrate del Kosovo, come Janita, albanese che vive nella parte serba della città divisa di Mitrovica, e Liridon, di Bujanovac, nella valle di Presevo, l’area della Serbia che ospita una cospicua minoranza albanese e che fu teatro nel 2001 di un breve conflitto.

Un altro aspetto riguarda l’accentuazione delle differenze tra urbans e katunari (contadini) e l’introduzione di concorrenti con lunghe esperienze di diaspora, come Adnan, che è stato in Svizzera e poi in Russia, Ledi a New York, Arijeta a Berna, Blerta in Italia.

La "Casa" come metafora della condizione politica del Kosovo

Guardando le vicende dei protagonisti della seconda edizione della Shpija è inevitabile pensare a come metaforicamente la “Casa” rimandi alla condizione politica di questo piccolo Paese, che è chiuso all’esterno perché ancora in attesa della liberalizzazione dei visti e sotto l’osservazione continua di ancora moltissimi internazionali, impiegati in numerose istituzioni e organizzazioni, tutte con una missione e un’ agenda differenti.

L’adattamento del format originale, in assenza di fondi adeguati, non può non far pensare all’auto-proclamazione dell’indipendenza e della propria legittimità, che attende ancora il riconoscimento dello status da parte di molti paesi. Pur non essendo possibile prendere i concorrenti e le storie degli abitanti della “Casa” come campione della giovane popolazione kosovara, il tentativo di animare un’auto-rappresentazione collettiva, sociale e culturale è visibile.

Quello che si osserva è certamente il ritratto di una realtà eclettica e sfaccettata, in cui la lentezza e la costanza della tradizione e dei valori religiosi si sciolgono del crogiolo dell’internazionalizzazione, evidenziando molti vuoti da colmare tra desiderio ideale e lo stato reale delle cose. Traspare in controluce la tentazione di trasmettere un nuovo messaggio, quello di premiare l’eccellenza rispetto alle divisioni localistiche e alla discriminazione tra urbans e katunari, per rafforzare il senso di unità nazionale.

Alla fine le esigenze dello spettacolo portano a mettere in scena giochi sadici e persecutori per esasperare il reality show, come i due Tarzan con i bastoni che rincorrono gli abitanti per picchiarli a ritmo di musica, i turni di guardia al pupazzo di neve ventiquattro ore su ventiquattro, l’eliminazione arbitraria e inspiegabile (anche se temporanea) di una concorrente.

Sono proprio questi giochi a svelare i fantasmi del passato conflittuale e doloroso di questo paese, quasi forse alla ricerca di una catarsi finale e risolutiva per tutti.

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