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Kosovo, sognando una vita all’estero

Nonostante il Kosovo sia ancora sulla "lista nera" di Schengen, molti suoi cittadini sognano di un futuro all’estero. Tra le categorie professionali più qualificate, come i medici, si può già parlare di fuga di cervelli

19/12/2018, Majlinda Aliu - Pristina

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Le speranze dei cittadini del Kosovo di viaggiare liberamente nell’UE entro la fine di quest’anno sono nuovamente svanite quando Johannes Hanh, Commissario UE per la politica di vicinato e l’allargamento, in una visita a Pristina all’inizio di dicembre ha dichiarato che la liberalizzazione dei visti per il Kosovo non potrà avvenire nemmeno nel 2019.

Eppure, la necessità della popolazione di muoversi liberamente al di fuori del paese è evidente. Pochi mesi fa, un annuncio per 2.000 posti di lavoro in Germania ha suscitato grande interesse a Prizren, nel Kosovo sudoccidentale. Migliaia di persone si sono radunate nel centro culturale della città per fare domanda per i posti di lavoro, che sarebbero stati offerti all’aeroporto di Amburgo. L’annuncio si è poi rivelato un errore, ma può essere considerato un test per misurare l’interesse delle persone a lasciare il paese.

Il tasso di disoccupazione del Kosovo (30,6%) è tra i più alti dell’Europa sud-orientale, afferma un rapporto della Banca mondiale, e molti kosovari sognano di trasferirsi all’estero alla ricerca di migliori opportunità, nonostante il Kosovo sia l’unico paese balcanico ancora nella "lista nera" di Schengen.

Anche per chi ha trovato lavoro, la vita in Kosovo è dura. L’edilizia, ad esempio, è fra i principali datori di lavoro nel settore privato, ma le condizioni sono pessime con orari lunghi, salari bassi, lavoro in nero e insicurezza. Solo quest’anno 12 persone hanno perso la vita sul posto di lavoro: la maggior parte di loro erano operai edili.

Le cose vanno un po’ meglio nel settore pubblico, che offre salari più alti e condizioni di lavoro leggermente migliori. Secondo l’Agenzia di statistica del Kosovo-ASK, lo stipendio lordo medio nel settore pubblico è di 660 euro, mentre nel settore privato è di 371.

Secondo Fatlum Gashi, specializzato in migrazioni all’Università di Oxford, oltre alla disoccupazione e alle condizioni di lavoro ci sono altri fattori politici e sociali che incoraggiano l’emigrazione. "Le persone possono decidere di migrare dopo aver considerato una serie di fattori, ad esempio salari, accesso a prestazioni sociali, assistenza sanitaria", afferma Gashi.

I medici del Kosovo vanno in Germania

La cardiologa Gertruda Dyla ha deciso di migrare in Germania nel 2011, avendo perso la speranza di un futuro migliore in Kosovo. Ha iniziato il suo lavoro come medico di base nel 1999 e ha dato un contributo significativo alla salute pubblica nel paese. Ha lavorato come specialista presso il Centro Clinico Universitario del Kosovo e come docente presso la facoltà di Medicina.

Dyla spiega che le condizioni di lavoro nelle istituzioni sanitarie pubbliche in Kosovo erano e rimangono difficili e inadeguate. "Non penso ci sia una ragione più forte che ci ‘costringe’ a lasciare la nostra patria della mancanza di possibilità di vivere la nostra vita con dignità e la mancanza di speranza in un futuro e prospettive migliori per noi stessi e le nostre famiglie", dice.

Inoltre gli ambienti di lavoro, specialmente nelle istituzioni pubbliche del Kosovo, mancano spesso di meritocrazia ed etica. Dyla si è scontrata con tali difficoltà mentre lavorava in Kosovo: il suo diritto a fare domanda di specializzazione, ad esempio, è stato arbitrariamente negato per tre anni consecutivi. Una volta trasferitasi in Germania, ha dovuto superare di nuovo l’esame di ammissione e l’esame di specializzazione, perché la sua specializzazione kosovara non è stata riconosciuta.

Purtroppo, Gertruda Dyla è solo uno dei tanti medici che lasciano il Kosovo: 100 solo negli ultimi 8 mesi.

La cardiologa considera la fuga dei cervelli un disastro per il futuro del Kosovo. "È una tragedia per un paese di due milioni di persone perdere 400 medici in cinque o sei anni", aggiunge.

Secondo Fatlum Gashi, se questa situazione dovesse continuare, il paese dovrà fare i conti con la mancanza di imprenditori, la diminuzione dei lavoratori qualificati, il declino di sanità e istruzione e la perdita di progetti innovativi. Aggiunge che i lavoratori qualificati sono carenti in molti paesi UE, il che facilita il processo di migrazione dai paesi in via di sviluppo. "Molti paesi UE hanno bisogno di persone provenienti da determinati background nella sanità e nel settore hi-tech. Di conseguenza, c’è maggiore domanda, e spesso maggiori benefici marginali, per chi ha questi background. Usando i salari più alti come incentivo, questi paesi UE sono in grado di attrarre più persone per migrare lì e lavorare in quei settori", dice.

I richiedenti asilo rimangono a casa

Al contrario, il numero di richiedenti asilo dal Kosovo nell’Europa occidentale è crollato negli ultimi tre anni: nel 2015 erano 73.240, con solo 1.005 domande accettate. Nel 2017, tuttavia, era sceso a 7.575 secondo EUROSTAT. A novembre 2018, il numero di richiedenti asilo provenienti dal Kosovo era pari a 120: cinque volte in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Suad Sadullahi si è trasferito in Svezia nel 2014, con la sua famiglia, per motivi di sicurezza. La sua domanda di protezione è stata rifiutata, ma ha ricevuto un permesso di lavoro in Svezia. Nel periodo in cui il Kosovo attraversava momenti difficili, poiché un numero considerevole di persone si stava unendo all’ISIS in Siria, Sadullahi si era trovato nei guai.

"Ho aiutato mia cugina a riportare indietro suo figlio dalla Siria, e quell’anno ho avuto problemi con le autorità del Kosovo, che cercavano di costringermi a non parlare di quel caso, poiché volevano tutto il merito", sostiene Sadullahi. Prima di trasferirsi in Svezia, lavorava per l’Ufficio assicurazioni del Kosovo (KIB) a Pristina come direttore del centro informazioni. "Le condizioni di lavoro erano buone e gli stipendi erano e sono ancora molto buoni", aggiunge, ma aveva bisogno di una vita in pace. Ora vive a Malmö, in Svezia, con sua moglie e i suoi figli, e lì gestiscono una piccola azienda.

Nel 2017, il numero di cittadini del Kosovo registrati in tutti i paesi dell’UE era superiore a 200.000, di cui la metà (128.000) in Germania.

L’inclinazione a migrare verso i paesi occidentali è sempre stata una costante per i cittadini del Kosovo. Nell’esodo della fine degli anni ’90 durante la guerra, circa un milione di albanesi del Kosovo lasciò il paese. Quando la guerra finì nel 1999, molti di loro tornarono, sognando di costruire un futuro nello stato appena costituito. Per molti, però, quel sogno oggi non è altro che un doloroso ricordo.

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