Keljmendi, il boss dei Balcani

E’ stato arrestato in Kosovo lo scorso 5 maggio, dopo essere fuggito da un’operazione della polizia bosniaca un anno fa. Naser Keljmendi è accusato di traffico di droga ed omicidio ed avrebbe reti estese in tutti i Balcani. Un approfondimento

09/05/2013, Cecilia Ferrara -

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Nel giugno scorso Naser Keljmendi (o Kelmendi) aveva avuto l’onore di essere oggetto di una lettera di Barack Obama inviata ai membri del Congresso. Si trattava di un “Kingpin act ”, atto emesso dal presidente degli Stati Uniti per proibire a individui o compagnie USA qualsiasi tipo di transazione con persone non statunitensi individuate come ‘significativi trafficanti di droga’. Fino ad oggi sono stati solo 97 i ‘kingpin’ sanzionati dagli USA: a giugno Keljmendi è stato bandito assieme nientemeno che a José Antonio Soto, detto “El Tigre”, leader del cartello di Sinaloa in Messico e a Sayer Visir detto Shar, ritenuto uno dei più grossi signori della droga in Afghanistan.

Un parterre di tutto rispetto quello condiviso dal cittadino bosniaco-kosovaro ma, solo domenica scorsa, il 5 maggio, si è arrivati al suo arresto, a Pristina, in Kosovo.

Naser Keljmendi è considerato uno dei narcoboss più potenti nei Balcani. Sfuggito ad un’operazione di polizia – “Lutka” (bambola) – condotta lo scorso settembre dalla polizia federale bosniaca, in cui erano state arrestate 18 persone a Sarajevo, si era rifugiato in Kosovo, passando dal Montenegro. Del resto Keljmendi è da lì che veniva, da Peč/Peja, prima di entrare in contrasto con l’uomo d’affari Ekrem Luka, molto vicino ad Haradinaj e prima di diventare cittadino bosniaco nel 1998.

Da Peč/Peja, secondo ricostruzioni investigative, il clan legato a Keljmendi continuava a far affari illegali di ogni sorta ed in particolare gestiva il traffico di eroina verso l’Europa occidentale: macchine guidate da disperati che arrivavano in Svizzera imbottite con una media di 10 kg di ‘brown’ a veicolo per 5000 euro di ricompensa a viaggio.

L’arresto

“L’arresto di Keljmendi di domenica è una conseguenza dell’operazione ‘Bambola’ Lutka – racconta a OBC Azhar Kalamujić redattore di CIN, Centro per il giornalismo investigativo che dal 2009 segue il presunto ‘kingpin’ – che ha coinvolto diverse figure criminali in Federazione e in Republika Srpska che sono sospette di molti omicidi e altri crimini. La Procura bosniaca ha prove di queste connessioni. In particolare Keljmendi è sospettato di aver ingaggiato dei sicari dalla Republika Srpska per assassinare Ramiz Delalić detto Ćelo (ucciso nel 2007, ndr), gangster di Sarajevo”.

“L’operazione Lutka è cominciata un anno fa – racconta ancora Kalamujić – sono stati arrestati numerosi sospetti criminali compreso l’ex capo della dipartimento anti-narcotici del SIPA (State Investigation and Protection Agency) che era la loro talpa. Come sospetto Keljmendi ha lasciato il paese e fino a oggi la polizia non era riuscita a capire dove si trovasse”.

Sarajevo amore mio

Naser Keljmendi, secondo una sua deposizione al procuratore cantonale Oleg Čavka del 2007, era arrivato nella capitale bosniaca nel 1988 per poi lasciarla allo scoppio della guerra, nel 1992, e ritornarci in seguito. Aveva iniziato con un negozio da gioielliere e uno di pellicce in centro, ma il quartier generale era un Hotel ad Ilidža chiamato “Casa Grande” rimasto nelle cronache perché una volta un amministratore di Ilidža con un lapsus lo chiamò “Cosa Nostra”. I maligni pensarono che il lapsus fosse molto azzeccato. Ma il controverso businessman che nel 2007 veniva interrogato dal magistrato sull’omicidio di Ćelo continuava a dichiarare di essere “pulito davanti alla legge e davanti a Dio”.

Come racconta la ricostruzione della vita – criminale – di Keljmendi fatta da CIN, il cantone di Sarajevo avrebbe compilato circa 13 denunce contro la famiglia del presunto narco-boss. I figli Elvis, Lindon e Besnik sono stati accusati di  vari reati, dal porto d’armi illegale alle percosse e si sono fatti anche brevi periodi di prigione. Naser in Bosnia non è mai stato processato, mentre da giovanissimo negli anni settanta era stato un anno e mezzo in prigione in Kosovo per tentato omicidio.

Al posto della vecchia guardia

Anche nel caso dell’omicidio di Ramiz Delačić ‘Celo’ – uno dei boss locali nonché uno dei difensori di Sarajevo nelle prime ore della guerra – Keljmendi ne uscì pulito. Secondo le supposizioni di allora Keljmendi si era legato al gangster locale Muhammed Ali Gaši. Gli albanesi, dunque avrebbero preso il potere negli affari illegali della capitale bosniaca dopo aver sopraffatto la vecchia guardia che difese, ma anche taglieggiò Sarajevo, durante la guerra: Ismet Bajramović ‘Čelo’, Ramiz Delačić ‘Ćelo’, Musan Topalović ‘Caco’ e Jusuf Pranzina ‘Juka’.

Muhammed Ali Gaši attualmente è in carcere con una condanna a 20 anni per estorsione e tentato omicidio.

Influenza regionale

Ma gli interessi di Keljmendi andavano molto al di là della tutto sommato ristretta ‘piazza’ di Sarajevo. Nel 2008 il SIPA preparò un dossier per l’Interpol in cui delineava l’organizzazione criminale di cui sarebbe a capo Kaljmendi coinvolta in traffico di droga, di sigarette, riciclaggio ed usura. L’influenza del clan si sarebbe spinta in Montenegro, Kosovo, Macedonia, Croazia, Serbia, Germania e negli USA. Secondo il report avrebbe legami con un altro presunto trafficante, il montenegrino Safet "Sajo" Kalić.

Molte le proprietà che Keljmendi avrebbe sparse in tutta la regione: a Sarajevo ha tre case, due appartamenti e il Casa Grande Hotel. In Montenegro possiede varie proprietà immobiliari. Ha aziende in Bosnia, Serbia e Kosovo. 

“È il più grande criminale in Europa” afferma Dubravko Čampara, procuratore del dipartimento per il crimine organizzato e la corruzione in Bosnia Erzegovina che ha condotto l’operazione Lutka, “lo dimostra il fatto che è anche nella lista nera degli USA”-

Ma come afferma il Centro per il Giornalismo Investigativo, “Keljmendi è un grosso mistero sia per gli investigatori che per i giornalisti e non dovrebbe sorprendere che il suo nome sollevi ogni sorta di speculazione”. In alcuni media si trova il suo nome collegato al narcoboss di Pljevlja Darko Šarić, tutt’ora latitante, e all’uomo forte di Mitrovica Nord, Zvonko Veselinović.

La fissa delle auto

Eppure a parte qualche sparatoria che si svolgeva di quando in quando nell’Hotel Casa Grande e qualche problemuccio con la legge dei propri figli per violenza e armi, Naser Keljmendi fino ad oggi aveva goduto di una vita molto regolare con un particolare vizio: quello di comprare almeno 10 auto all’anno dalle più lussuose alle utilitarie.

Questa relativa tranquillità (il compare Ali Gaši non ne ha goduta altrettanta) viene collegata ad entrature molto importanti nell’ambiente politico bosniaco. In particolare il presunto boss è da sempre associato al magnate dei media e oggi politico, Fahrudin Radončić, editore del quotidiano più letto in Bosnia-Erzegovina, il Dnevni Avaz.

La compagnia Avaz e Keljmendi si sarebbero scambiati terreni e appartamenti a Sarajevo e Zenica, e Avaz avrebbe comprato una jeep blindata dal bosniaco-kosovaro.

Radončić ha sempre negato di conoscere Keljmendi, ugualmente si sono sollevati molti dubbi quando è diventato ministro della Sicurezza nel giugno del 2012, proprio quando usciva il Kingpin Act di Obama contro il trafficante di Peć/Peja.

Estradizione?

Ora il tycoon bosniaco afferma che Keljmendi dovrebbe essere estradato in Bosnia Erzegovina e processato nel proprio paese.

Secondo il suo stesso giornale, Avaz, il ministro Radončić sta lavorando per l’estradizione di Keljmendi. Estradizione piuttosto problematica perché Sarajevo non ha riconosciuto il Kosovo e non può aprire procedimenti di estradizione con un paese che non ritiene esistere.

Molte cose sono quindi ancora da chiarire rispetto al caso dell’arresto del ‘più grande criminale d’Europa’.

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