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Italiani di Turchia

Una ricognizione dei rapporti tra Turchia e Italia all’indomani dell’imponente spedizione del mondo imprenditoriale e politico italiano ad Ankara e Istanbul. L’Italia piace, il governo Erdogan è alla caccia di investimenti stranieri. Sullo sfondo le controverse privatizzazioni e i progetti faraonici nel sud est anatolico

16/12/2005, Fabio Salomoni -

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Negli ultimi giorni di novembre si è realizzato tra Ankara ed Istanbul quello che la stampa turca ha definito "lo sbarco degli italiani" e Luca Cordero di Montezemolo "il più grande sforzo organizzativo compiuto dall’Italia al di fuori dei propri confini".

Accanto al presidente di Confindustria, dell’ABI Sella e dell’ICE Vattani, sono arrivati in Turchia 600 imprenditori, in rappresentanza di 816 imprese. Ad essere rappresentate aziende piccole e medie ma soprattutto i nomi più prestigiosi dell’economia nostrana: ENI, ENEL, Fincantieri, Finmeccanica, IMI, Unicredito, Italcementi, FIAT e Pirelli.

Impressionante il calendario degli appuntamenti che ha visto la realizzazione, nello spazio di soli tre giorni, di circa tremila incontri bilaterali con il coinvolgimento di circa 1.200 imprese turche. Il vertice ha avuto poi il suo momento culminante nell’incontro organizzato dal Forum di Lavoro italo-turco giovedi 25 nel palazzo Ciragan ad Istanbul con la presenza anche dei ministri turchi dell’Industria Coskun e delle Finanze Unakitan.

La spedizione italiana non comprendeva però solo il gotha della nostra economia ma anche del mondo politico-istituzionale, il Presidente della Repubblica Ciampi ed il ministro Scajola.

La visita del Presidente Ciampi, che ha incontrato anche il Presidente turco Sezer, è stata la prima di così alto livello compiuta da un rappresentante di un paese dell’Unione dopo l’appuntamento del 3 ottobre. Nel suo discorso al palazzo Ciragan, Ciampi, dopo aver ricordato come le imprese italiane non abbiano abbandonato il paese nemmeno dopo la devastante crisi del 2001 mostrando fiducia nelle capacità di ripresa del popolo turco, si è soffermato sul futuro europeo della Turchia: "La Turchia si è assunta un compito difficile. Le condizioni poste dalla UE sono forzatamente rigide, valide per tutti e per nessuno sono previsti sconti".

L’obbiettivo più generale della tre giorni era quello di sancire la consacrazione dell’Italia "come principale partner europeo della Turchia". Sono state però le questioni economiche ad occupare il centro della ribalta. La visita è stata soprattutto l’occasione per mettere la firma a progetti di cooperazione bilaterale in grado di "produrre sinergie importanti", di discutere il potenziamento del volume degli investimenti e della presenza delle imprese italiane nel paese.

L’Italia è del resto già uno dei primi tre partner commerciali della Turchia e la presenza di imprese italiane è negli ultimi anni in crescita costante: se nel 1988 erano solamente 17 le società attive nel paese, attualmente hanno raggiunto quota 355. Di queste 106 sono arrivate nel paese durante il governo Erdogan, risultato tangibile del rapporto speciale instauratosi tra Berlusconi ed il suo omologo turco.

I più recenti esempi dell’attivismo dell’imprenditoria italiana sono rappresentati dall’acquisizione da parte di Unicredito della banca Yapi Kredi, della presenza di Telecom nel consorzio che ha acquisito la privatizzata TurkTelekom e di IMI che ha acquisito il 20% del gruppo Gayrimenkul Degerler. Senza dimenticare TIM che controlla Avea, la terza società di telefonia mobile del paese.

Decano degli investitori italiani nel paese è però la FIAT, fin dal 1968 presente insieme al Gruppo Koc nella fondazione della prima fabbrica di automobili turca, la TOFAS (Società per Azioni Fabbrica di Automobili della Turchia). Una presenza – ha ricordato Montezemolo – che ha comportato finora un investimento di 520 milioni di euro. Montezemolo ha anche colto l’occasione per dichiarare come "per poter continuare su questa strada è necessario avere prospettive favorevoli in termini di politiche fiscali".

Sono molteplici le ragioni che negli ultimi tempi hanno reso la Turchia un paese appetibile per gli investitori italiani: in primo luogo la presa di coscienza delle profonde trasformazioni che stanno coinvolgendo il paese: "Ora guardiamo alla Turchia con occhi diversi", ha ammesso il presidente Vattani. Ma anche le promesse rappresentate da un mercato di 70.000.000 di abitanti e soprattutto le occasioni contenute nell’accelerazione subita dal processo di privatizzazione. L’ENEL, interessata ad inserirsi nel mercato della distribuzione di energia elettrica, per bocca del suo rappresentante Okko Ziegler ha rivelato di seguire da vicino la possibile privatizzazione di sei aziende municipali fornitrici di energia.

Al processo di privatizzazione poi si accompagna un più generale processo di trasformazione ed ammodernamento della struttura economica del paese che promette di aprire spazi importanti. E’ il caso ad esempio delle banche, come ha sottolineato Roberto Lorenzon, vicepresidente di KocBank, partner turco di Unicredito: "La Turchia nel settore bancario racchiude un grande potenziale".

Non ultima l’importanza strategica della posizione geografica della Turchia: "Con investimenti comuni e cooperazione possiamo espanderci in Asia Centrale, nel Golfo Persico e in Medio Oriente. La Turchia rappresenta una porta verso questi paesi" ha sottolineato il ministro Scajola.

Nel corso degli incontri con le controparti turche i rappresentanti italiani hanno insistito sulla volontà di esplorare nuove strade verso cui indirizzare i propri investimenti. Anche in settori diversi da quelli tradizionali, magari il turismo o l’ambiente, ed in aree del paese lontane da quelle di consolidata industrializzazione: "Creiamo insieme nuove zone di investimento al di fuori di quella del Bosforo e dell’Egeo, ad esempio nel Sud-Est ed in particolare a Gaziantep", è stato l’invito del presidente Vattani. Un esplicito riferimento ai preparativi in corso da tempo per creare nella capitale economica del sud-est una zona industriale speciale destinata agli imprenditori italiani, sessanta dei quali hanno già visitato la città l’anno scorso. Stesso discorso per un’altra delle "tigri anatoliche", Kayseri, dove tra l’altro sarà italiana la metropolitana leggera cittadina.

Il desiderio di vedere investimenti italiani nel sud-est è stato espresso anche dal Presidente Erdogan. Incontrando i rappresentanti italiani ad Ankara, Erdogan ha fatto riferimento al controverso GAP (Progetto dell’Anatolia Orientale), un gigantesco progetto che attraverso la costruzione di dighe e centrali idroelettriche punta ad incrementare la produzione agricola ed elettrica. Un ambizioso progetto di modernizzazione della regione, interamente finanziato con capitali turchi, che da tempo vive una fase di stallo, impigliato in una serie di difficoltà, non ultime quelle finanziarie: "Attualmente abbiamo realizzato il 50% del progetto. Se ci fosse un serio flusso di capitali potremmo completarlo in breve tempo… Qui si potrebbero avere successi importanti in tema di agricoltura biologica".

Da tempo, proprio le scelte di politica economica del governo Erdogan sono però nell’occhio del ciclone. Sotto accusa un processo di privatizzazione che ha portato alla vendita di molti dei gioielli della proprietà pubblica, ultima in ordine di tempo la raffineria Tupras. Un attento economista come Ahmet Insel ha parlato di "feticismo del capitale privato". Anche l’attivismo del presidente, "il mio compito è quello di piazzare il paese sui mercati internazionali", nella caccia agli investimenti stranieri non cessa di sollevare polemiche. Di fronte all’ultima levata di scudi, in seguito alla presentazione di un faraonico progetto per la costruzione di due enormi grattacieli nel centro direzionale di Istanbul finanziati da una holding di Dubai, Erdogan si è difeso sbrigativamente accusando i suoi critici di razzismo.

Nonostante questo clima infuocato l’iniziativa italiana ha ricevuto molta attenzione e reazioni positive nei media e nei commenti del mondo politico. A spiegarlo non solo il sostegno fornito sul piano politico-diplomatico al cammino europeo della Turchia ma soprattutto la crescente popolarità e interesse per l’Italia e tutto ciò che è italiano.

Tracce di questa simpatia sono disseminate un pò dovunque nella vita quotidiana del paese.

Nelle pubblicità televisive, nelle quali i ragazzi si salutano in italiano, i cuochi assaggiando una nuova merendina commentano Benissimo! e i clienti soddisfatti esclamano Molto bene! Nelle migliaia di studenti che annualmente affollano i corsi di italiano negli istituti di cultura, nelle università e nelle scuole private. Nel numero crescente di giovani che guarda all’Italia come possibile meta per proseguire gli studi post-laurea, magari in design o architettura, dopo che per lungo tempo meta obbligata per un master sono stati gli Stati Uniti o tutt’al più l’Inghilterra. Negli itinerari turistici di una nuova classe media che si lancia timidamente alla scoperta del mondo esterno, dove non può mancare il trittico Venezia-Firenze-Roma. Per non citare la più scontata popolarità per la nostra cucina, il campionato di calcio e la moda.

Nel lungo e travagliato processo di modernizzazione le élites turche hanno spesso cercato ispirazione in modelli esterni, la Francia in epoca ottomana, l’Asia Centrale "mito fondatore" della Repubblica, oppure la Germania. Dopo una lunga fase di autarchia, a partire dagli anni ’80 sono stati gli USA il riferimento economico e culturale privilegiato. Nella fase attuale di avvicinamento all’Europa, i turchi stanno lentamente riscoprendosi come parte del mondo mediterraneo. E l’Italia, per la sua vicinanza geografica, gli intensi trascorsi storici, le sue caratteristiche culturali, di questo mondo mediterraneo rappresenta uno dei paesi più interessanti.

"Gli italiani ed i turchi si assomigliano, siamo mediterranei" è una delle frasi più ricorrenti che un italiano si sente ripetere in Turchia.

La storia e le caratteristiche della modernizzazione italiana vengono quindi percepite come vicine, familiari all’esperienza turca, capaci di rappresentare un modello rassicurante in grado di placare le paure legate a questa fase di grandi cambiamenti. La spedizione di novembre in Turchia è stata interpretata soprattutto come il riconoscimento da parte italiana di questo interesse e delle aspettative suscitate dal nostro paese. Un riconoscimento che però non può prescindere anche dalla consapevolezza delle responsabilità che tutto ciò comporta.

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