Italia-Slovenia: il raccordo ecologico
A cavallo tra Italia e Slovenia vi sono due parchi naturali che dialogano da anni. Abbiamo intervistato Antonio Andrich, direttore del Parco Naturale delle Prealpi Giulie
Grazie alla lunga esperienza di collaborazione con il Parco nazionale del Triglav in Slovenia, il Parco Naturale delle Prealpi Giulie è stato coinvolto come partner di progetto nel progetto Adrion Interreg Dinalpconnect . Le attività del parco si concentrano nell’area pilota a cavallo tra Italia e Slovenia, un’area particolarmente importante in quanto “raccordo” tra le montagne dinariche e le Alpi. Abbiamo intervistato il direttore del Parco Antonio Andrich.
Di cosa si occupa il progetto Dinalpconnect e cosa significa “connettività ecologica”?
Il progetto riprende alcuni aspetti di un progetto precedente che si era realizzato sull’arco alpino, ALPBIONET 2030 , calandolo però sulle montagne dinariche e collegandoci all’arco alpino attraverso la nostra zona pilota, tra Italia e Slovenia, che è un punto di raccordo, di frontiera.
Che cos’è la connettività ecologica? Nella sostanza il tema è quello di capire quali possono essere le barriere e gli ostacoli sia di natura fisica sia di natura gestionale che possono minacciare o impedire la “libera circolazione”, il movimento delle specie animali tra un territorio e l’altro.
Il progetto di fatto si concentra su questo all’interno di aree pilota che sono aree a cavallo tra vari stati. Questo tema della connettività ecologica è ovvio che si realizza in qualsiasi ambiente e in qualsiasi situazione, ma l’obiettivo è quello di cominciare a dialogare tra paesi che hanno ovviamente norme diverse, abitudini, regolamenti e una cultura anche magari gestionale diversa.
L’obiettivo è dire: bene se questa è la situazione che abbiamo da una parte e dall’altra del confine, se queste sono le caratteristiche, geografiche, geomorfologiche, naturalistiche di quest’area vediamo quali sono gli elementi critici che possono in qualche modo condizionare il fatto che ci sia una continuità ecologica.
Ad esempio la gestione della caccia magari è diversa tra un paese e l’altro quindi già quello potrebbe essere un problema; oppure la gestione forestale si basa su principi differenti, magari da una parte c’è la gestione della selvicoltura naturalistica, dall’altra vi è ancora il taglio produttivo a raso; magari una specie animale da un lato è considerata una specie autoctona e dall’altra invece una specie alloctona, cioè ci sono differenze anche abbastanza importanti…
In questo contesto l’obiettivo è quello di cominciare a dialogare e vedere se si riesce anche dal basso, anche attraverso i partner del territorio, a costruire delle reti di contatto e di condivisione di contenuti e di prospettive pur sapendo che in questo ci sono dei limiti perché poi certe decisioni vengono prese a determinati livelli politici: possiamo anche fare tante belle proposte, poi si sa che ci vuole sempre una volontà a livello macro, governativo.
Il Parco Naturale delle Prealpi Giulie da anni collabora, sul lato sloveno, con il Parco del Triglav…
Sì, e facciamo entrambi parte dell’Europarc Federation che è la Federazione europea dei parchi e delle aree protette che collega tutte le aree protette dei parchi d’Europa. Europarc ha individuato al suo interno una rete di parchi transfrontalieri, quindi parchi che pur da una parte e da un’altra di un confine collaborano e lavorano proprio nella direzione che dicevo prima cioè hanno cominciato anche in passato a fare attività di ricerca, di formazione, di informazione ambientale in modo sinergico sugli stessi temi che sono quelli legati alla gestione dell’area protetta. Nel nostro caso dal 2009 noi siamo riconosciuti come transboundary ecoregion delle Alpi Giulie, noi inteso come il territorio del parco più il territorio del parco del Triglav e anche della riserva della biosfera Alpi Giulie slovena, che è un’area ancora più ampia.
In più sempre all’interno di questa ecoregione abbiamo dal 2015 anche un altro riconoscimento che è quello della Carta europea del turismo sostenibile.
Nella vostra “area pilota” del progetto Dinalpconnect vi occupate di alcune specie animali particolari?
All’interno del progetto abbiamo cominciato a lavorare su delle linee guida che dovrebbero mettere in evidenza quelle che potrebbero essere le buone pratiche, le politiche che favoriscono la connettività con specifico focus sulla questione gestionale agricola forestale. In questo contesto abbiamo anche individuato delle specie su cui focalizzare l’attenzione: camoscio, stambecco e poi due specie di uccelli, gallo cedrone e l’allocco degli Urali.
Ad esempio per quanto riguarda lo Stambecco, che comunque è abbastanza stanziale, il tema forte tra noi e la Slovenia è che di qua non è cacciabile e di là lo è. Per quanto riguarda quest’ultimo e il camoscio ad esempio il lavoro che è stato fatto è stato quello di cominciare a condividere perlomeno le metodiche di monitoraggio, alla base delle politiche gestionali.
Come vengono definiti questi piani di azione?
La definizione dei piani d’azione avverrà attraverso workshop che facciano incontrare tutti gli stakeholder territoriali: ad esempio cacciatori, corpo forestale, chi si occupa di gestione dei boschi, uffici regionali che si occupano di biodiversità….
Come mettere in relazione attività economiche e tutela della connettività ecologica?
È un altro aspetto affrontato dal progetto. Siamo partiti da un’analisi territoriale per ogni area pilota su quali possono essere le attività che favoriscono la biodiversità, in inglese vengono definite le pro biodiversity businesses. Stiamo lavorando su una lista di queste attività economiche potenziali, ogni territorio deve individuare quali ritrova al suo interno, metterle in evidenza e creare una banca dati.
L’altro lavoro che intendiamo fare sarà quello di scrivere delle linee guida che dovranno in qualche modo creare una sorta di minimo comun denominatore tra i vari territori in cui si andranno ad identificare tutte queste attività, in che modo queste attività possono o sono a tutela della biodiversità, che caratteristiche devono avere, eventualmente che tipo di impegni o regole devono rispettare queste attività economiche per garantire questa tutela.
Faccio un esempio: in alcuni parchi come il nostro ma anche il Triglav e altri parchi italiani esistono già delle modalità di coinvolgimento di attività economiche. Noi abbiamo il marchio del parco che è un progetto nato tanti anni fa che va in qualche modo a riconoscere questo tipo di attività, che siano nel settore agricolo, che siano nel settore commerciale, che siano nel settore turistico. Altri territori magari questa tradizione non ce l’hanno e quindi l’intento del progetto è quello di pescare dalle esperienze che ci sono nelle diverse aree pilota e creare delle linee guida che possono essere di riferimento.
Quanto è importante la comunicazione per avvicinare le comunità locali, l’opinione pubblica, la cittadinanza ai temi della protezione della biodiversità?
Questa dimensione è sempre importante, poi si riesce ad essere efficaci a seconda della capacità dei vari partner di collegarsi alla propria realtà territoriale. Spesso, a meno che i progetti non abbiano ricadute molto concrete, come la protezione di una specifica specie, si fa fatica a fare interessare in senso generico i visitatori.
Il fatto di lavorare con gli stakeholder attraverso dei workshop, esula magari dal piano della comunicazione, però è efficace perché si incontrano persone, si fa capire loro su cosa si sta lavorando, si chiede cosa ne pensano, suggerimenti su quello che c’è da fare…
Dinalpconnect è per esempio difficile da comunicare ad un pubblico ampio… già parlare di connettività ecologica, è un concetto certo intuibile però poi declinarlo non è così immediato. Anche il tema della biodiversità porta con sé concetti non così banali… quindi certo faremo di tutto per promuovere anche dal punto di vista comunicativo il progetto però a mio avviso i risultati di questo progetto devono secondo me arrivare più di tutto a chi oggi si occupa del sistema territoriale.
Quali sono i vantaggi ed eventualmente gli svantaggi di collaborare con partner così diversi fra di loro per natura – università, parchi naturali, centri di ricerca?
Questo rapporto è stato condizionato inevitabilmente dalla pandemia. Non ci sono state tante occasioni per conoscerci. Lo scorso settembre abbiamo fatto il primo incontro in presenza, in Croazia, abbiamo visitato anche una delle aree pilota del progetto ed è stato un bel momento di contatto, di condivisione, questi sono momenti fondamentali.
Dal punto di vista delle possibilità di scambio di esperienze gestionali sostanzialmente non ne abbiamo avute, questo è un peccato perché anche per noi questa era tutta un’area con la quale non abbiamo mai lavorato: Albania, Grecia, Croazia, Montenegro … c’erano tanti motivi interessanti di scambio che non si sono fino ad oggi realizzati.
Sulla collaborazione con enti diversi, su questo devo dire che sostanzialmente il progetto lavora in modo molto preciso per aree pilota, nel senso che poi tutte le attività vengono declinate all’interno della propria area pilota e quindi – senza viaggi – vi è una possibilità limitata di vede ciò che viene fatto nelle altre aree pilota.
Del resto anche i temi su cui si è concentrata poi l’attenzione legata alla connettività ecologica sono diversi: noi ad esempio lavoriamo su specie faunistiche legate al bosco, da un’altra parte lavorano magari sui prati pascoli o su altri tipi di habitat, situazioni completamente differenti sia dal punto di vista ecologico che gestionale.
Per trarre le somme di questa di questa esperienza con il progetto Dinalpconnect, quali secondo lei le opportunità di sviluppo del territorio o anche lavorative che derivano da progetti come questo?
L’obiettivo del progetto è quello di arrivare a individuare azioni concrete da portare avanti in collaborazione soprattutto con chi sta dall’altra parte del confine e quindi le ricadute pratiche sul territorio sono soprattutto gestionali. Questo è chiaro che ha anche ricadute in termini occupazionali o economiche ma quest’ultima non è la priorità.
La parte più focalizzata su questo è quella volta all’individuazione di quello dei cosiddetti biodiversity businesses. Oggi determinate scelte di produzione, di prodotto, di comportamento attente all’ambiente pagano anche sotto il profilo della visibilità dell’azienda, della sua capacità di spendersi sul mercato: è in questa direzione che va per esempio anche il nostro marchio del parco, che intende dare valore a chi si impegna a rispettare e valorizzare l’ambiente.
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