Tipologia: Reportage

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Area: Turchia

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Istanbul e Slow Food. Un’anima di onde e sale

Il lüfer ( "pesce serra" in italiano) ad Istanbul è più che un pesce. E’ un simbolo del rapporto tra la città, il suo mare e la sua storia. Un simbolo che però oggi rischia di scomparire a causa della pesca indiscriminata. Ecco perché il convivium Slow food "Fikir Sahibi Damaklar", righello in mano, si batte perché la pesca sia limitata ai soli esemplari adulti

29/12/2011, Francesco Martino - Istanbul

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Istanbul cresce vorticosamente. E cambia. Oggi è una dinamica megalopoli di 13, forse 15 milioni di persone, che si allarga a macchia d’olio su Europa ed Asia. La sua anima, però, non cambia: è un’anima d’acqua, ancorata alle acque scure e insondabili del Bosforo. E’ sullo stretto che Istanbul si specchia e cerca se stessa, fin da quando si chiamava Bisanzio. Da qui trae le sue storie e le sue leggende. Anche quella del “lüfer”, naturalmente. Se mai un pesce e una città hanno avuto un rapporto speciale, quasi ombelicale, sono proprio Istanbul e il suo lüfer (“pesce serra” in italiano). Tanto che, caso unico al mondo, lo stesso pesce qui ha ben cinque nomi, a seconda delle sue dimensioni.

In realtà, in questa parte del globo il pesce serra si pesca anche nel Mar Nero, in quello di Marmara e nell’Egeo. E’ proprio sul Bosforo, però, che si trovano gli esemplari più pregiati. Dipende dalla salinità delle acque: il lüfer, carnivoro, trova prede differenti nei diversi specchi d’acqua, e il suo sapore si trasforma nel giro di qualche decina di chilometri. Naturale, quindi, che da secoli proprio la città imperiale, affacciata sulla striscia d’acqua che unisce e separa Europa ed Asia, sia diventata il centro di una vera e propria “cultura del lüfer”.

Si racconta che Solimano il Magnifico amasse alla follia pasteggiare con le guance di cinquanta pesci serra di grande dimensione, noti come “kofana”. Per generazioni sono state tramandate canzoni, usate dai pescatori dello stretto per attirare magicamente i banchi di lüfer riluttanti ad abboccare ai loro ami. In tempi più recenti è stato Ara Güler, mitico fotografo cantore di Istanbul, a imprimere sulla pellicola le mille barche che affollavano il Corno d’Oro a caccia del “tesoro del Bosforo”.

“Il lüfer ad Istanbul è più che un pesce. E’ un simbolo del rapporto tra la città, il suo mare e la sua storia. Per secoli è stato il cibo di imperatori e sultani. Ma anche e soprattutto della gente che ha abitato questa città da tempi immemorabili. Un simbolo che, purtroppo, adesso rischia di scomparire”. Defne Koryürek è una donna risoluta, che sprizza energia. E innamorata della sua città. E’ lei il motore del convivium “Fikir Sahibi Damaklar”, che da quasi due anni si sta battendo per salvare questo pezzo del mosaico culinario, culturale e storico della città sul Bosforo. “Nel passato recente, altri tasselli sono già stati perduti”, racconta Defne nella sede del convivium, uno spazio luminoso ed essenziale sulla Istiklal Caddesi, nel quartiere centrale di Beyoğlu. “Nel Bosforo si pescavano il tonno e il maccarello, ora scomparsi. Se non agiamo adesso, presto sarà il turno del lüfer”.

A livello mondiale la quantità di pesce serra pescato è sceso dalle 43mila tonnellate del 2002 alle 16mila del 2009. In Turchia, nello stesso periodo si è passati da 25 a 6mila tonnellate. E’ noto che la quantità di pesce presente nei mari segue un andamento ciclico. Una diminuzione di queste proporzioni, però, da il senso di problemi gravi e profondi.

“Il drastico calo è dovuto a ragioni diverse, intrecciate tra loro”, spiega Emre Orhan, giovane ed entusiasta ingegnere, uno dei membri del convivium più attivi nello studiare la scomparsa del pesce serra dal Bosforo. “Pesano il forte inquinamento, la cementificazione delle rive del Bosforo, la crescita vertiginosa del traffico marittimo negli stretti. A giocare un ruolo centrale, però, è l’overfishing, la pesca indiscriminata ed eccessiva”.

Nel 1950, la Turchia aveva 40 milioni di abitanti, e nel paese venivano pescate 35mila tonnellate di pesce. Oggi il paese ha raddoppiato la popolazione, ma decuplicato la quantità di pescato, arrivato a 400mila tonnellate all’anno. Ed è proprio sull’overfishing che il convivium ha deciso di concentrare le proprie energie. “Abbiamo studiato, cercato contatti con il mondo accademico”, prosegue Emre. “Alla fine, siamo arrivati a questa conclusione: per salvare lüfer la condizione minima è vietarne la pesca prima che raggiunga i 24 centimetri di lunghezza”.

La scelta non è casuale. Ventiquattro centimetri significa maturità sessuale, e quindi capacità di riprodursi. Perché oggi, il lüfer viene pescato quasi esclusivamente tra i 14 e i 18 centimetri, quando ad Istanbul è conosciuto col nome di “çinekop”. Ed anche per questo l’esemplare adulto, il “ lüfer” vero e proprio, è quasi sparito dai mercati e dai ristoranti di Istanbul. E quando si trova, il costo elevato lo rende un prodotto di lusso.

Nasce così il “Lüfer koruma timi” (Squadra di protezione del lüfer) del convivium, nata per sensibilizzare la città, e non solo, con una campagna diretta a consumatori, ristoranti, pescatori, governo di Ankara. Armati di righello, i membri del “timi” visitano i mercati del pesce, i locali del centro, suscitando sorpresa, ma anche forte interesse nei media e in molti cittadini di Istanbul. “Ho aderito subito, d’istinto. E ora non servo più il çinekop. Il lüfer è parte di Istanbul, parte di me. Salvarlo significa fare un piccolo gesto per dimostrare di amare questa città”, ci dice sorridente Didem Şenol, giovane chef e proprietaria del piccolo e invitante ristorante “Lokanta Maya”, a Karaköy, pochi passi dal Bosforo.

“Il sostegno ricevuto ci ha dato coraggio. Abbiamo portato la ‘questione lüfer’ in cima all’agenda degli organi politici di Ankara che si occupano di politiche ittiche. Ora il prossimo passo è organizzare un vero festival del lüfer da tenere ogni anno a fine ottobre, per riconnettere Istambul e il ‘suo’ pesce”, racconta ancora Defne Koryürek. “Per avere risultati concreti, però, è indispensabile coinvolgere chi sul mare (e sul lüfer) gioca la propria vita e quella delle proprie famiglie, i pescatori”.

Mufit Çıkrıkçıoğlu ha il viso segnato dalle onde e dal sole. Il Bosforo si è impresso sulla sua pelle e sulle sue mani indurite e vive. “La vita in mare non è facile. Faccio il pescatore da una vita, e in 35 anni le condizioni non sono migliorate, soprattutto per i piccoli come me”, racconta Mufit, mostrando su una mappa il tratto di mare in cui cerca ogni giorno fortuna. In tutto, lungo il Bosforo sono attivi duemila piccoli pescatori, più quelli impiegati dalle grandi compagnie di pesca industriale, con base nel Mar di Marmara. “Dobbiamo pescare il çinekop perché rende, e dobbiamo vivere. Molti fanno debiti per poter armare il proprio peschereccio, e i debiti non possono aspettare.”

Mufit, come molti pescatori, soprattutto i più piccoli, è consapevole che la scomparsa del lüfer, (che rende molto più del çinekop, con rapporto 1 a 25) significa una perdita grave, forse irrimediabile. “Per salvarlo, però, deve intervenire lo stato. I pescatori non possono sopportare tutto il costo sulle proprie spalle. Il lüfer è patrimonio di tutti, e tutti devono condividere la responsabilità di salvarlo”.

In una Istanbul che cambia, alcuni simboli restano uguali a se stessi. Come il Mısır Çarşısı, il colorato mercato delle spezie sulle rive del Corno d’Oro. Qui lavora Bekir, originario della città anatolica ti Erzincan, proprietario di “Taze Balık”, il più vecchio negozio di pesce del bazar.

“Quando ho iniziato questo mestiere, a Istanbul c’era una conoscenza storica del pesce, profonda. Oggi le comunità che allora pescavano e consumavano il lüfer, greci, armeni ed ebrei, sono quasi sparite da questa città. I nuovi arrivati, venuti dall’Anatolia in questi anni hanno poca dimestichezza col Bosforo. Dobbiamo imparare di nuovo a rispettare il mare, o sarà presto troppo tardi”, dice pensoso Bekir. “Non sarà solo la mia professione a morire allora. Morirà una parte di noi, una parte di Istanbul e della sua anima di onde e di sale”.

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