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Iraq, dov’è la verità?

Un appassionato commento di Biljana Vankovska, intellettuale macedone, sulla guerra in Iraq. Tra profonda delusione, sofferenza e volontà di guardare in faccia la verità.

16/04/2003, Redazione -

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C’è un accordo sulla guerra in Iraq. Sembra che ciascuno preferisca una realtà virtuale a quella reale: questo accade ad esperti militari, a politici, ma anche all’opinione pubblica! Si dice spesso che la verità è la prima vittima di ogni guerra, ma mi chiedo che senso abbia accada anche nella Macedonia dei giorni nostri. Perché la gente preferisce non ascoltare la verità? E’ forse possibile che la maggior parte delle persone accetti in modo rilassato l’inganno e la disinformazione di questa guerra, nella quale noi siamo membri onorabili dell’Alliance of the Willing? Come è possibile, in un paese la cui popolazione si è dichiarata all’80% contro questa guerra? Le persone sono forse oneste solo se sicure di un anonimato poco rischioso? Sono così pochi quelli pronti ad affermare qualcosa che non è così politically correct, non è desiderabile o può causare forse conseguenze rischiose? O forse le nostre piccole anime non vogliono essere disturbate, e le nostre coscienze evitano di vedere la reale immagine della guerra alla quale, per scelta dei nostri politici, prendiamo parte? Dopotutto perché un cittadino di un paese povero e depresso come la Macedonia dovrebbe occuparsi delle sofferenze di altri esseri umani, perché dovrebbe interessarsi ai veri motivi di una guerra che si svolge così lontano? Possiamo accontentarci di dire: non ci riguarda? I nostri nonni affermavano che ogni montagna ha il suo peso, e qui in Macedonia abbiamo quotidianamente problemi grandi come montagne da affrontare quali quelli legati ai traumi del dopoguerra, alla povertà, all’insicurezza, alla corruzione, alle bugie ed agli scandali. E, dopotutto, come potrebbe la nostra voce cambiare le cose in questioni globali, così lontane dalle nostre volontà individuali?
Riferendosi al dramma iracheno ho difficoltà a definirlo ‘guerra’ anche perché i due contendenti non sono mai stati neppure lontanamente sullo stesso piano e tutto assomiglia troppo alla vicenda biblica di Davide contro Golia. Solo che questa volta Golia rappresenterebbe il bene, giusto e minacciato. Senza una ragione esplicita mi ritornano spesso alla mente le immagini del conflitto in Macedonia nel 2001. Nella primavera di quell’anno, per noi qui a Skopje, era forte la tentazione di uscire con gli amici, la sera, per allontanarsi dalle notizie difficili da accettare che la TV propinava dal fronte, situato a meno di 40 km di distanza. Un tentativo futile di trovare per un momento l’oblio: per dimenticare che tutto stava accadendo qui ed ora e non in qualche posto oltre le colline… Proprio perché ancora non abbiamo affrontato con onestà la verità per quanto riguarda il nostro stesso conflitto ora, come abitanti del villaggio globale, non abbiamo nessun diritto morale a tenere il nostro occhio cieco di fronte a questi altri eventi che stanno cambiando il mondo, che lo stanno rendendo più brutto, meno sicuro e più ingiusto. La verità in merito a quanto sta accadendo in Iraq è la verità sul nostro futuro e su noi stessi.

Come accaduto nel 2001, anche ora sono spesso oppressa dalla sensazione di impotenza ed incapacità: essere un’esperta, essere capace di prevedere le conseguenze tragiche di quanto sta accadendo, essere certa del futuro terrore che ci attende che non può essere giustificato con nessuna argomentazione legale, morale o politica che sia, non mi serve a nulla. Non riesco a fare nulla per prevenire tutto questo. Se almeno ascoltassero e comprendessero quelli che ti trovi intorno … Ma la maggior sconfitta di questi giorni è stata il fallimento degli intellettuali macedoni, e dei Balcani in generale, di riunirsi e firmare una dichiarazione contro questa guerra. Due estensori, io ed una collega di Belgrado, hanno collaborato con l’Osservatorio sui Balcani nel tentativo di riunire le nostre voci contro la guerra in Iraq, contro la violenza, contro chiunque utilizzi il terrore e la forza, siano questi il regime di Saddam o gli Stati Uniti. Abbiamo cercato di fornire una via d’uscita alla falsa trappola impostaci da chi affermava che dichiararsi contro la guerra significava schierarsi dalla parte del regime di Baghdad. Abbiamo fallito miseramente. Molti di noi intellettuali dei Balcani, rappresentanti di popoli che hanno attraversato l’orrore della guerra inter ed intra-statale hanno fallito nell’individuare un terreno comune, una posizione comune contro la guerra e la violenza, a prescindere da chi fosse originata e da chi la giustificasse. Siamo ancora ostaggi delle nostre divisioni e dei nostri odi, pregiudizi e traumi. E’ triste constatare come sia emerso in modo evidente che non siamo ancora in grado di curare le nostre stesse ferite e di offrire l’abbraccio della comprensione e della riconciliazione e quindi abbiamo miseramente fallito nell’offrire alla popolazione irachena il nostro sostengo morale, la nostra comprensione, la nostra empatia.
In un momento di disperazione un mio collega ed amico, saggio e pieno d’esperienza, mi ha ben descritto il ruolo dei ricercatori sulla pace che assomiglia al fato subito da Cassandra, che ottenne da Apollo la dote profetica in cambio del suo amore ma che fu condannata a non convincere gli altri: nessuno credeva alle sue profezie. Ciononostante evocare la sindrome di Cassandra riferendosi alla tragedia irachena non è sufficiente, sarebbe pura esagerazione. E’ stato così facile prevedere ed identificare i veri motivi di quest’invasione, una facilità quasi vergognosa nell’individuare le vere spiegazioni a quanto stava avvenendo … Tutto questo non ha fatto altro che accentuare la frustrazione in merito alla maggior parte degli ‘intellettuali’ che hanno distolto il loro sguardo dalle bugie e dalla farsa, ed hanno scelto la parte ‘giusta’ sul palcoscenico politico e pubblico delle rispettive società.
Per settimane ho iniziato le mie giornate leggendo gli ultimi aggiornamenti sull’Iraq, leggendo notizie sulla più grande guerra del nuovo millennio. E, costantemente, un pensiero mi occupava la mente e mi faceva nascere alcune domande: ehi! Aspettate un attimo! Cosa sta accadendo con l’Afghanistan? Con la prima guerra del 21° secolo? Cosa sta accadendo a quelle povere persone riempite di bombe e pane e poi così generosamente salvati dagli Stati Uniti? Riempiti di promesse che dopo la caduta del regime dei Talebani un futuro splendente attendeva dietro l’angolo, che vi sarebbe stata una vita dignitosa per persone dignitose, che vi sarebbe stato progresso e democrazia, diritti per le donne … Anche sotto la pressione dei nuovi accadimenti non voglio e mi rifiuto di dimenticare le persone che hanno pagato con la vita la propria liberazione. 10.000 morti di effetti collaterali. E’ semplicemente ingiusto ed immorale dimenticarsi di loro ed abbandonare la gente dell’Afghanistan in un nuovo caos ed in nuove disperazioni. Com’è altrettanto ingiusto dimenticarsi delle vittime dei nostri conflitti nei Balcani e dei ‘rimedi’ internazionali …
Però i media di tutto il mondo invocano sangue e notizie fresche … Ma davanti a noi continua una sorta di miracolo: si continua a creare questa realtà virtuale fatta di cartine interattive dove si chiarisce cosa stia avvenendo in Iraq, fatta di analisi strategiche e seri report militari. I media chiedono ai propri giornalisti di non riportare troppe storie penose dei danni collaterali e degli sfortunati errori. Non sarebbe infatti in sintonia con il diritto internazionale umanitario. Tutto d’un tratto dopo la più evidente violazione e disprezzo del diritto internazionale, qualcuno si è ricordato che ne esiste uno e che esiste la Convenzione di Ginevra!? Che ipocrisia!
Sembra illecito ed ingiusto impedire ad una lacrima di cadere, almeno una lacrima per un bambino, il cui nome ho conosciuto grazie ai reportage di Robert Fisk da Baghdad. In questi articoli ho potuto ascoltare le urla della gente, la disperazione, il loro sangue gocciolare da ogni colonna scritta … Ed è una testimonianza che non insulta, che non rappresenta una caccia al sensazionalismo di un reporter ambizioso. Ha rappresentato invece una delle uniche voci che ha fatto sentire quella degli iracheni, rappresenta un gigante morale che ha avuto il coraggio di vedere la verità, il coraggio di scriverla, il coraggio di disturbare la Casa bianca, Westminister, il Presidente macedone (che, in ogni caso, è un prete, un uomo timorato di Dio!).
Ma come fare in modo che queste voci vengano ascoltate in un piccolo paese dove la maggioranza della gente non legge l’inglese e raramente legge anche i giornali locali? Nonostante tutto ogni giorno inizio la mia giornata mandando un pensiero materno a quel bambino conosciuto grazie agli articoli di Fisk. Se smettessi di fare questo non riuscirei ad affrontare la giornata, i miei piccoli e grandi problemi quotidiani (se posso chiamarli, permettermi di chiamarli problemi …). Il minimo che posso fare è tradurre ad alta voce questi articoli alla mia anziana madre, perché nella mia solitudine intellettuale sento fortemente il bisogno di qualcuno con cui condividere i miei pensieri, i miei dolori. Quando leggo la mia voce inizia a tremare e poi si scioglie in un pianto. Da brava donna mia madre non può stare inerte di fronte al mio crollo e mi prega allora di smettere di leggere perché questo mi fa così tanto soffrire. Mi dice che non va bene per la mia salute. Povera donna, non riesce a capire che è la cosa più ‘sana’ che possa fare per il mio star bene morale e mentale. Continuo allora a leggere l’articolo sino alla fine mentre le lacrime cadono sulla tastiera del mio computer.
Nel vasto oceano di cosiddette informazioni sulle mosse strategiche, sugli assedi, sugli urbicidi, sull’uso di nuove e sconosciute armi (ma anche alcune ben conosciute, come i missili all’uranio impoverito, bombe a grappolo, ecc), su atti eroici in guerra nei quali è stata salvata una soldatessa americana, vedo chiaramente che non vi è alcuna vera informazione. L’unica informazione che ha un certo senso ed è contemporaneamente orribile è, come descrive Fisk, la constatazione dell’immoralità e del fallimento totale dello spirito umano, della sua umiliazione, della sua degradazione. Ma quanti ve ne sono come lui? Quanti osano andare oltre i rapporti ufficiali, oltre le avanzate militari della Coalizione (alleati soli ed isolati, alleati solo con se stessi e con l’inganno della guerra)? Vedo solo dei giganti solitari rappresentati da coloro i quali non hanno paura a guardare negli occhi i bambini in agonia, a sentire le grida mute dei loro genitori, coloro i quali non hanno paura a dirci che sono fratelli ed esseri umani! Quando penso ai civili penso anche all’incolumità di Fisk. Come apparirebbe questo mondo senza giornalisti di quel tipo, senza uomini di questo tipo e senza le loro voci?
Perché è così difficile comprendere che anche i soldati hanno un nome, che sono esseri umani, giovani reclute e non personaggi di qualche vignetta americana? Non è per nulla eroico affermare di aver causato migliaia di vittime al nemico, soprattutto se si è così superiori militarmente. L’obiettivo del diritto internazionale umanitario è di umanizzare la guerra, l’obiettivo della quale dovrebbe essere quello di rendere innocuo l’esercito del nemico e non di distruggerlo totalmente. Per non parlare delle vittime tra i civili … I danni collaterali nel vocabolario del diritto internazionale vengono chiamati crimini di guerra.
All’inizio di questa guerra i media si sono affrettati ad avere alcune opinioni di esperti sulla sua possibile durata, sui possibili sviluppi, sui suoi possibili risultati. Era senza dubbio una domanda assurda: la guerra era iniziata molto prima che il primo missile venisse sparato, ed era già persa dagli iracheni sul piano militare mentre la Coalizione l’aveva già persa dal punto di vista politico e morale. Attualmente le indagini dei media sono addirittura peggiori: vogliono documentare la vittoria e la vera fine di questa guerra. Si sono accalcati per mostrare le gioia degli iracheni ‘liberati’ e riconoscenti, agli iracheni che applaudivano la distruzione dei simboli del regime e non hanno invece riportato nulla sulla distruzione di musei, del patrimonio culturale della nazione irachena. Ancora solo un’unica voce che parla dal lato oscuro di quella vittoria, che parla della vergogna sui vincitori, delle forze occupanti che girano un orecchio sordo nei confronti delle convenzioni di Ginevra. Le ‘eroiche’ truppe inglesi ed americane si preoccupano molto di più della propria sicurezza ed in modo codardo e vergognoso parlano della necessità di proteggere i ‘loro ragazzi’ lasciando tutt’intorno il caos ed il disordine.
Ci sarà una fine a questa guerra? Ci sarà un risultato visibile? Sì, le conseguenze sono davanti ai nostri occhi: si chiama irresponsabilità, immoralità ed inettitudine! Si chiama avarizia, codardia e caos. Non è forse abbastanza dopo un’unica guerra? Ma la storia non è ancora finita: le porte di un secondo Vietnam sono state aperte ed un onda di riflusso si farà sentire in tutta la regione mentre una comunità internazionale ipocrita, divisa ed impotente rimarrà oziosa. E vi saranno nuove storie di sofferenze di innocenti descritte da Fisk o da altre persone coraggiose. Decenni passeranno prima che la gioventù irachena sarà in grado di riprendersi da un quarto di secolo di regime di Saddam, da dodici anni di genocidio con tanto di benedizione delle Nazioni Unite e da numerose settimane di campagna militare ‘vittoriosa’ da parte degli eserciti più potenti della storia. Ciononostante mi chiedo quanto tempo dovrà passare prima che gli Stati Uniti riescano a recuperare questa caduta morale: riuscirà la società americana a raccogliere le forze per denunciare ed affrontare la verità sui crimini commessi dai ‘nostri ragazzi’? Se l’esperienza balcanica ci insegna qualcosa è che sarà un processo doloroso e molto lungo.
Biljana Vankovska

Biljana Vankovska è nata nel 1959 ed è professoressa di Scienze politiche e diritto militare presso l’Università di Skopje, Macedonia. E’ inoltre docente alla Facoltà di Filosofia, sempre dell’Università di Skopje, presso un programma di studi di pace e studi europei. Fa parte di numerose associazioni internazionali quali l’ISA, l’IPRA, l’IPSA, TFF e lo IUS. La sua attività di ricerca è in particolar modo concentrata sul rapporto militari-civili, sulla sicurezza nell’area dei Balcani e sulla peace research.

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