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Introduzione ai lavori

Francesco Ferrante, Direttore generale di Legambiente

31/12/2003, Redazione -

Prenderò un po’ di tempo per spendere qualche parola su che cos’è Legambiente, perché credo sia utile per gli amici di questa parte dell’Europa.

Legambiente è nata circa vent’anni fa, con i suoi 100.000 soci , è l’associazione ambientalista più diffusa in Italia la cui peculiarità, e da questo punto di vista potrebbe costituire un modello di associazione, è la sua diffusione sul territorio, abbiamo circa 1000 gruppi locali sparsi su tutto il territorio italiano, gruppi che conservano una capacità autonoma di intervento, di scelta delle priorità, che fanno riferimento ad un’entità unica. Legambiente non è nata, come molte altre associazioni, su una tradizione conservazionista della natura, nasce invece su un’impostazione per cui la difesa e la valorizzazione dell’ambiente sono una chiave importante per un cambiamento generale della società. Noi non pensiamo che sia possibile affrontare un qualsiasi problema ambientale in maniera separata e distinta dai problemi sociali. La giustizia sociale, i diritti dei cittadini sono valori assolutamente fondamentali, che, se non ne teniamo conto, non si può pretendere di risolvere i problemi ambientali. Questo nesso tra degrado ambientale e degrado sociale è ancora più evidente quando incontriamo popoli che vivono in parti meno fortunate del mondo, ad esempio, basta pensare alle battaglie , che in Sud America sono fortissime, dei popoli indigeni per il mantenimento delle proprie tradizioni che molto spesso s’intrecciano con battaglie contro progetti di grandi dighe, per fare un esempio, che distruggerebbero quei territori, allora quel nesso tra questioni ambientali e questioni sociali c’è, ed è molto forte, questo è il punto fondante dell’azione di Legambiente.

Noi diciamo che la difesa dell’ambiente è sicuramente un vincolo da rispettare, in alcuni casi ci sono delle aree da proteggere su cui non bisogna intervenire, ma oltre ad essere un vincolo per l’economia, di cui l’economia deve tenere conto, può anche essere un’opportunità di sviluppo sostenibile e un’occasione di crescita delle comunità locali.

Marta Szigeti Bonifert faceva un esempio di un’area in Ungheria in cui nel periodo della transizione aveva abbandonato delle attività industriali di forte impatto sul territorio, e si è creata una situazione in cui in quelle aree adesso l’inquinamento è sì minore, ma c’è una forte condizione di degrado sociale in quanto non c’è più occupazione e c’è un forte inquinamento del suolo e delle acque, questo è un caso di studio in cui l’intervento per bonificare l’ambiente per ristabilire una situazione di equilibrio è insieme anche un intervento che dovrebbe dare a quelle popolazioni condizioni di vita, condizioni sociali, migliori. Questa è la sfida che noi lanciamo e che vorremmo verificare con le organizzazioni non governative di questa parte dell’Europa e capire come insieme possiamo lavorare nel campo dell’educazione, della lobbing positiva nei confronti dei governi, nel campo del controllo delle azioni delle aziende. Da questo punto di vista l’allargamento della comunità europea è una chance da cogliere, per noi italiani ha funzionato; gli standard ambientali europei sono stati rispetto a quelli italiani degli standard molto più avanzati, più positivi, l’Italia si è dovuta mettere in pari, è stato uno sforzo, ma è stata un’occasione positiva. Credo che i dieci paesi dell’allargamento sono per molti aspetti in questa situazione, cioè dovranno fare degli sforzi per adeguarsi agli standard ambientali che sono stati fissati e questi sforzi possono significare sicuramente un miglioramento delle condizioni ambientali ma anche una chance di sviluppo sociale, però è giusto dire anche che all’interno dell’unione europea ci sono delle forti contraddizioni ad esempio per quanto riguarda il tema dell’acqua si prospetta questa situazione: se da una parte l’applicazione degli standard sulla qualità delle acque porta di certo a risultati positivi, dall’altra parte l’unione europea ha imboccato una strada in quest’ultimo periodo, che pensa di più l’acqua come un servizio da erogare, un bene da poter commercializzare e non come ad un diritto inalienabile di tutti i cittadini del mondo senza alcun tipo di distinzione e senza alcuna barriera economica alla possibilità di accesso a questo diritto.

Questo è un problema molto serio che sta diventando gravissimo in molte parti del mondo, specialmente in quelle più povere, dove l’intervento di poche aziende private, sta modificando radicalmente, la distribuzione, la disponibilità, la possibilità di avere acqua potabile, in paesi in cui avere almeno dieci litri di acqua potabile al giorno è un obiettivo impossibile da raggiungere, ma inizia ad essere un problema molto grave anche in Europa.

Il problema della gestione della risorsa acqua, ovunque nel mondo, non può che essere affrontato con uno sviluppo fortissimo della gestione territoriale e del controllo democratico della risorsa nel proprio bacino da parte dei cittadini, è questa la scelta, poi le forme con cui verrà applicata saranno diverse tra i vari paesi, ma il punto fondamentale è che va assicurato il controllo democratico dell’acqua invertendo alcuni principi di base su cui finora si è gestita, ad esempio; non bisogna più pensare "di quanta acqua ho bisogno in questo territorio", bensì pensare, "quanta acqua ho su questo territorio, come la gestisco".

Oggi abbiamo un sistema di gestione delle risorse idriche che è folle; continuiamo ad utilizzare acqua potabile per usi in cui essa è sprecata, ad esempio ogni volta che tiriamo lo sciacquone ne sprechiamo dai cinque ai dieci litri! Allora bisogna intervenire nel modo in cui si gestisce partendo da quel principio fondamentale che è il controllo democratico da parte dei cittadini attraverso le organizzazioni non governative, per cui credo che sia questo il punto su cui oggi si debba discutere.

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