Intervista con Boris Milićević, presidente del Belgrade Pride
A seguito dei disordini in Kosovo e Serbia del marzo scorso, i membri del Belgrade Pride hanno ritenuto opportuno rimandare la prevista Parata di quest’anno, la seconda nella storia del Pride belgradese. Ne parliamo col presidente dell’Associazione
Osservatorio sui Balcani: So che il 17 luglio dovreste organizzare il secondo Gay Pride della storia belgradese. Il primo è finito piuttosto male, ma senz’altro è stato un atto di coraggio. Ci puoi ricordare cosa è accaduto e come pensate di organizzare il prossimo?
Boris Milićević: L’Associazione per la promozione dei diritti umani delle differenze sessuali, denominata "Pride", ha deciso dopo le manifestazioni estremiste a Belgrado, lo scorso 17 marzo, quando è stata incendiata l’unica moschea della nostra città, di rimandare il Gay Pride di quest’anno. I filmati delle moschee incendiate da parte di migliaia di dimostranti, con l’osservazione tacita della polizia, che non ha fatto nulla per impedire quanto stava accadendo, ci hanno resi consapevoli che non esistono le condizioni per svolgere il Pride di quest’anno. Nonostante abbiamo creato contatti diretti e qualitativi con l’amministrazione della polizia di Belgrado, consideriamo che non sia sufficiente ad impedire il ripetersi dell’incresciosa situazione verificatasi durante il Pride del 2001, quando circa un migliaio di hooligans, appartenenti ai movimenti skinhead, al Partito radicale serbo, e altri estremisti, hanno fatto irruzione durante la manifestazione di un centinaio di lesbiche e gay, una ventina dei quali sono stati feriti.
In poche parole, senza un chiaro messaggio politico da parte dei vertici di governo, dal premier e dal ministro della polizia, non siamo sicuri che i poliziotti difendano per strada i membri della manifestazione. Saremmo stati anche pronti al rischio, se fossimo riusciti a raccogliere dei mezzi per organizzare una sicurezza privata, ma non abbiamo ricevuto il necessario supporto da parte delle fondazioni internazionali.
OB: Vi aspettavate partecipanti anche dall’estero?
BM: Alla Parata avrebbero dovuto partecipare qualche centinaia di partecipanti dall’estero, prima di tutto dai paesi confinanti, e abbiamo avuto riposte positive anche dalla Germania, dall’Austria, dalla Svizzera, dalla Francia, dall’Italia, dalla Danimarca, dalla Gran Bretagna, dal Canada e da altri paesi.
OB: Che relazioni avete con i movimenti e le organizzazioni degli altri Paesi, e in particolare con i paesi confinanti?
BM: Abbiamo creato una comunicazione molto buona con i LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali) e le altre organizzazioni che si occupano di diritti umani, degli altri paesi, in particolare con la Germania e l’Austria. I gruppi LGBT di Amnesty International della Germania e dell’Austria hanno organizzato una serie di incontri, in Germania e Austria, della durata di un mese e mezzo, dove i nostri membri hanno parlato della situazione dei diritti umani delle persone LGBT in Serbia e Montenegro.
La collaborazione tra i movimenti LGBT nei Paesi della ex Jugoslavia è ad un livello invidiabile. Sarebbe una buona cosa se esistesse una comunicazione di questo tipo anche nelle altre sfere della vita dei cittadini un tempo in guerra. Si può dire tranquillamente che questa comunicazione non si è mai interrotta durante la guerra. Lo scambio di informazioni non è mai cessato. Partecipiamo gli uni e gli altri ai vari eventi che organizziamo, e in progetto ci sono diverse iniziative regionali, come per esempio un portale web comune, una campagna sui media, la formazione per gli attivisti, ecc.
OB: Esiste una qualche discussione politica sui diritti dei LGBT?
BM: I politici a lungo hanno evitato di parlare delle questioni riguardanti i LGBT. Di ciò i media si sono occupati solo sporadicamente e in modo sensazionalistico. Possiamo dire che, di contro all’alto prezzo pagato, in realtà la prima Parata del Pride ha fatto da apri pista a queste questioni. La quantità di espressioni di odio nei confronti delle persone LGBT ha gettato per un breve periodo questa questione sulla scena politica. La maggior parte dei politici, i quel momento aveva tentato di evitare di rispondere alle richieste di libertà delle persone LGBT. L’unico fu il defunto premier Zoran Ðinđić, che a quel tempo, dichiarò di accettare tutte le differenze, ma disse che evidentemente la società serba non è ancora pronta per riconoscere i gay e le lesbiche.
Un altro momento in cui si è contributo parecchio alla circolazione delle questione sui diritti delle persone LGBT, è stata la campagna di un gruppo anonimo di attivisti gay-lesbiche, autonominatisi Gayrilla. Questi attivisti, alla fine del 2002, hanno disegnato graffiti per tutta Belgrado, con scritte come "Gay è Ok" e "Gayrilla è stata qui". I media su questo hanno costruito una grande storia, e molto velocemente hanno fatto dell’intero movimento una sorta di leggenda urbana.
Ovviamente di grande importanza è pure il tentativo di organizzare la seconda Parata del Pride. Il solo annuncio dell’evento ha interessato parecchi media, ma quanto ciò sia importante lo dimostra pure l’offerta del Partito liberale della Serbia di iscriverci nelle liste delle scorse elezioni parlamentari.
Però, tutto questo non è sufficiente per fare in modo che i politici inizino apertamente a chiedere l’appoggio degli elettori gay. Tuttora la situazione è tale che ogni politico che appoggiasse i gay e le lesbiche, perderebbe molti più voti tra la popolazione etero, di quanti ne guadagnerebbe tra i gay e le lesbiche. Così siamo giunti al paradosso che le stesse dichiarazioni del candidato filoeuropeo alla presidenza, Boris Tadić sono state più negative nei confronti dei gay e delle lesbiche, di quanto non lo siano state quelle del candidato del nazionalista e estremamente conservatore Partito radicale serbo, Tomislav Nikolić. Entrambi passati al secondo turno elettorale.
Così che Tadić ha detto "Non appoggio la legalizzazione dei matrimoni omosessuali e in politica seguo quella linea che mi fa interessare alle politiche che abbiamo un’utilità per la vita. Non credo che i matrimoni omosessuali siano quell’ambiente familiare nel quale un bambino possa essere stimolato. Con la legalizzazione dei matrimoni omosessuali si affianca subito la possibilità che queste coppie adottino dei bambini. Ai bambini e alle bambine sono necessari sia la mamma che il papà, questi sono i motivi per cui non appoggio la legalizzazione di questi matrimoni".
Nikolić, però, è stato più morbido: "Sono contrario a ciò. Sono stato educato in modo che se esiste un matrimonio, teoricamente deve esistere la possibilità che da esso ci sia una discendenza. Nel matrimonio omosessuale non c’è discendenza, e il matrimonio è un’istituzione fondata per far sì che ci sia una discendenza. Si potrà chiamare diversamente, forse vita in comune, ma matrimonio proprio no. Non mi interessa chi vive con chi, ma lo Stato non può riconoscere questo come una famiglia o un matrimonio".
OB: Alle ultime elezioni, lo hai nominato prima, i liberali di Dušan Mihajlović apertamente si sono dichiarati dalla pare degli omosessuali, ma se non erro le organizzazioni LGBT hanno rifiutato l’appoggio dell’ex ministro dell’interno. Perché e quali sono i vostri politici di riferimento?
BM: L’offerta dei Liberali non era poi così seria per far sì che la accettassimo. Per prima cosa, è giunta quasi all’ultimo minuto, circa 48 ore prima della chiusura delle liste dei candidati. In realtà, non ci hanno dato sufficiente tempo per pensare all’offerta. Secondo, è giunta in modo molto informale attraverso alcuni loro membri gay. Terzo, il movimento gay in Serbia è nato da poco e qualsiasi relazione con un’opzione politica influirebbe in modo significativo sull’appoggio che abbiamo dalla pur sempre debole comunità gay, dal momento che anche in essa ci sono sostenitori di differenti opzioni politiche, persino alcuni di estrema destra che apertamente attaccano i gay e le lesbiche. E, infine, non di poco conto è l’aver valutato che i Liberali della serbia non avevano alcuna possibilità di entrare al parlamento.
OB: Secondo te, esiste la possibilità che in Serbia un politico si dichiari omosessuale?
BM: Questo potrebbe succedere solo nel caso in cui terminasse la sua carriera politica.
OB: In alcuni Paesi dei Balcani solo di recente sono stati tolti gli articoli del codice penale che punivano gli omosessuali. Come è la situazione in Serbia?
BM: Il sesso tra due persone maggiorenni (oltre i 18 anni) dello stesso sesso è stato decriminalizzato anche in Serbia e Montenegro nel 1994. Fino ad allora era un reato penale per il quale si poteva passare un anno in carcere. Tuttavia, si deve ricordare che i cittadini della Serbia possono avere relazioni eterosessuali a 14 anni compiuti. Inoltre, la sola decriminalizzazione dell’omosessualità non ha migliorato in modo particolare la posizione delle persone LGBT in Serbia. La discriminazione e le violenze contro le persone LGBT si manifestano continuamente: i gay e le lesbiche si rifugiano nei loro luoghi di incontro, hanno paura a dichiarare questi casi alla polizia perché sono frequenti i casi in cui la polizia, non solo non fa il proprio dovere, ma li offende, dicendo che se la meritano. I gay e le lesbiche vengono licenziati dal posto di lavoro, allontanati dalle famiglie, non gli si permette l’iscrizione a scuola, e di frequente accade che non gli venga concesso di fare i donatori di sangue, ecc.
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