Tipologia: Intervista

Tag: Cinema

Area: Romania

Categoria:

Ilinca Călugăreanu: Ceaușescu e i blockbuster americani

Videocassette pirata, dei principali film americani, doppiati in rumeno. Circolarono per tutta la metà degli anni ’80 sfidando il regime. Un film ora racconta la vicenda. Un’intervista alla regista

24/03/2016, Nicola Falcinella -

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Quest’anno è stato assegnato, al Trieste Film Festival, il primo "Premio Osservatorio Balcani e Caucaso". Se lo è aggiudicato il film “Chuck Norris vs. Communism” della romena Ilinca Călugăreanu, perché: “Riesce a colpire lo spettatore con una storia molto originale sulla Romania di Ceaușescu: alternando finzione e documentario questo film diverte il pubblico portando sullo schermo la vita quotidiana ed eroica di gente comune sotto il regime comunista, ancora poco conosciuto nel resto del mondo".

Un film su come, dal 1985 in poi, l’importazione e la diffusione clandestina di film americani abbia contribuito all’occidentalizzazione della Romania. Teodor Zamfir faceva entrare illegalmente dall’Ungheria i blockbuster hollywoodiani e li faceva tradurre e doppiare velocemente da Irina Nistor che lavorava alla tv nazionale e divenne presto una voce familiare per i romeni. Le cassette venivano duplicate e fatte circolare per tutta la Romania. Nacquero le cosiddette “video nights” nelle case di chi possedeva un videoregistratore, che chiamava a raccolta il vicinato. La Nistor doppiò circa 3000 lungometraggi fino all’89, mentre Zamfir divenne molto ricco e influente e continuò l’attività fino al 1992.

Ora il film è stato acquistato per l’Italia da Wanted Cinema che lo distribuirà nei prossimi mesi.

Come ha conosciuto questa storia? Qualcuno della sua famiglia o lei stessa partecipava a queste “video nights”?

Le mie prime esperienze di film hanno a che fare con Irina Nistor, l’eroina di “Chuck Norris vs. Communism”. Doppiò i film che vedevo da bambina, quando ero abbastanza fortunata da poter partecipare alle notti di visioni di vhs organizzate nei blocchi di appartamenti.

Anni dopo, ho incontrato Irina a un festival a Londra. L’ho sentita rispondere a una domanda durante un dibattito e ho riconosciuto la sua voce. Sono rimasta quasi paralizzata e cercavo di spiegare ai miei amici che si trattava della donna che aveva illegalmente tradotto migliaia di film durante il comunismo negli anni ’80. Fu il momento nel quale capii che si trattava di una grande storia e che doveva essere il soggetto del mio primo documentario lungo.

Come ha scelto le persone che compaiono nel film? Ha girato tante interviste?

Quasi tutte le persone che hanno più di 30 anni in Romania hanno delle storie legate alle “video nights”, le proiezioni di gruppo negli anni ’80 e ’90 quando guardavamo i film di Hollywood illegalmente. Ho cominciato con alcune interviste e poi ho utilizzato il metodo palla di neve, trovando sempre più persone da intervistare. Persino uno dei tassisti che incontravamo a Bucarest mentre trasportavamo le attrezzature ha finito con l’essere intervistato. Era cresciuto con la voce di Irina che riteneva essere stata una specie di babysitter video per lui e la sua generazione. Per i primi due anni di lavoro sul film abbiamo registrato interviste, cercando di trovare la struttura narrativa e il miglior modo per raccontare la storia.

Quando ha deciso di accostare la finzione e il documentario? E come mai? Avevate provato un altro approccio?

Fin dall’inizio, i miei sforzi erano rivolti a trovare un modo per raccontare una storia accaduta 30 anni fa e per farla vivere di nuovo, rendendola coinvolgente per un pubblico che potrebbe non conoscere la Romania o il suo particolare contesto negli anni ’80 con il comunismo. In un primo tempo avevo pensato di usare l’animazione, ma sono arrivata a un punto nel quale ho capito che la finzione o la drammatizzazione erano l’unico modo per proseguire.

Questo è un documentario sui film, sul potere della finzione nel colpirci e nello stimolare la nostra immaginazione, così sentii che usare la fiction e i riferimenti ai film che vedevamo allora era la soluzione naturale. Così le drammatizzazioni che abbiamo girato, e che sono un modo di spingere oltre le storie degli intervistati ed esplorare la loro soggettività, contengono elementi di quei film nel modo di filmare, nelle scenografie, nella musica e persino nella struttura narrativa che abbiamo creato in montaggio.

Quindi avete girato la parte di finzione dopo le interviste…

Sì, all’inizio abbiamo girato tutte le interviste per trovare la struttura del film. Poi ho selezionato le parti delle interviste che potevano essere sviluppate con la fiction.

Da dove viene il titolo? Per esempio, Rocky è più presente di Chuck Norris nel film…

Il titolo è arrivato molto presto. Stavo parlando con Irina degli attori più popolari dei film che aveva doppiato e ha menzionato la trilogia Chuck Norris, Van Damme e Bruce Lee. Come anche ora, i film d’azione erano molto popolari. Penso che Chuck Norris fosse quello che meglio incarnava l’eroe propriamente americano che sconfiggeva sempre i cattivi: molte volte combatteva gli eroi negativi comunisti e per questo meglio incarnava il senso del nostro film.

Come avete trovato la voce originale di Zamfir? L’avete incontrato?

Ho incontrato Zamfir all’inizio della produzione. Me l’ha presentato Irina. Non voleva apparire nel film ed è una persona molto discreta, però ha acconsentito a farsi intervistare e registrare la voce.

Ho molte ore di interviste con lui e si può sentire la sua voce nel film. Solo dopo tre anni di insistenze da parte mia, è stato disponibile ad apparire in un’inquadratura del film, che si vede proprio alla fine.

Il film è una sorta di thriller. Era questa la vostra intenzione?

Il film combina molti ingredienti e in postproduzione il nostro sforzo principale è stato trovare un bilanciamento tra questi: gli elementi di commedia, il dramma e anche gli elementi di thriller. Dopo tutto è una storia che si svolge dietro la Cortina di ferro, coinvolge la polizia segreta e il mercato nero di film americani contraffatti, per questo naturalmente c’è una forte sensazione di thriller.

Come valuta il comportamento della Securitate verso Zamfir? C’era una sorta di accordo?

Una cosa che abbiamo cercato di mostrare nel film è che il regime comunista stava crollando negli anni ’80. Si stava consumando dall’interno, c’erano diverse fazioni della Securitate che non si conoscevano tra loro e Zamfir sapeva come navigare e manipolare il sistema. Ma per scoprire come, bisogna guardare il film!

Pensa che la doppiatura dei film possa aver influenzato davvero la caduta di Ceaușescu?

Era un momento nel quale la Romania era quasi completamente isolata dall’Occidente, non entrava quasi nessuna informazione reale. La gente viveva nella paura del regime e tutto ciò che veniva fornito erano due ore di tv al giorno, che consistevano nella propaganda del partito e nei programmi sui successi di Ceaușescu. Alcune persone erano abbastanza abili o coraggiose per ottenere notizie da Radio Free Europe o Voice of America, ma i film in vhs si diffusero molto di più.

Erano ovunque, persino nei villaggi più remoti, ed essendo immagini in movimento, parlavano più forte delle parole stesse. I film mostravano un mondo diverso e permettevano alla gente di fuggire dalla grigia realtà della Romania comunista e avere accesso a un mondo di colori, beni materiali, della maggior parte dei quali non conoscevamo neppure l’esistenza, ma la cosa più importante era che mostravano come la democrazia funzionasse anche nel piccolo, come la gente potesse interagire liberamente senza paura della polizia segreta o di possibili informatori in famiglia o tra gli amici. Mostravano come la gente parlasse o agisse liberamente per determinare il proprio destino, anziché avere il controllo del regime su ogni aspetto della vita.

Avere questa finestra sull’Occidente e vedere una possibilità alternativa ha giocato la sua parte nel portare le persone in strada nella rivoluzione dell’89. Come Zamfir dice nel film: “La gente sapeva che fuori c’era una vita migliore. Come lo sapeva? Dai film”.

Quale fu la ragione principale del successo di Zamfir? Il gusto del proibito? L’amore per il rischio?

Zamfir era un grande uomo d’affari e un pioniere. Amava la tecnologia e voleva sempre provare cose nuove. Non gli piacevano i film in modo particolare, ma capì che erano un modo per fare un sacco di soldi. Sapeva come giocare nel sistema e fece la sua fortuna. Gli piaceva anche il potere che aveva ottenuto e le videocassette erano quasi una valuta alternativa in Romania, potevi usarle anche per corrompere o per pagare servizi particolari. Penso si trattasse anche di amore per il pericolo e gusto del proibito.

Quanto tempo ha impiegato a completare il progetto? Qual è stata la principale difficoltà?

Ho lavorato al progetto per tre anni. Era il mio primo documentario lungo, perciò la difficoltà più grande è stato finanziarlo. Eravamo anche ambiziosi nel modo in cui volevamo raccontare la storia, perciò c’è voluto parecchio tempo per convincere i finanziatori. Ma alla fine abbiamo avuto grandi partner come Hbo Europa e Arte, Impact Partners, RatPac Documentary Films, Openvisor, Passion Pictures e pure il sostegno del Sundance Institute.

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