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Area: Kosovo,Serbia

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Il supermercato dell’identità

Un’opera bilingue, scritta a quattro mani da due drammaturghi, una di Belgrado e l’altro di Pristina. Serbi e albanesi si incontrano a teatro, con la regia di Dino Mustafić, per raccontare, al di là degli stereotipi, la vita quotidiana del Kosovo

18/10/2011, Ana Ljubojević - Belgrado

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Sei carrelli da supermercato spinti nel vortice sul palcoscenico e un ritornello “We need to talk”. Si spengono le luci. Un lungo momento di silenzio e poi dieci minuti di applausi.

È il 3 ottobre, siamo al Teatro Bitef alla prima dello spettacolo “Patriotic Hypermarket”, prima opera teatrale nata da una collaborazione serbo-kosovara. La regia è stata affidata a Dino Mustafić, artista di Sarajevo nonché direttore del Festival teatrale internazionale MESS, mentre i ruoli principali sono stati interpretati da artisti di Belgrado, Pristina, Tirana e Skopje. Quest’opera bilingue, scritta a “quattro mani” dai drammaturghi Milena Bogavac di Belgrado e Jeton Neziraj di Pristina, trae origine dalle storie quotidiane e personali di cittadini serbi e albanesi del Kosovo.

Patriotic Hypermarket” è, in effetti, una continuazione del progetto “Sguardi: l’incontro di storie personali di serbi e albanesi del Kosovo”, nato nel 2010 dalla collaborazione tra il Centro Multimediatico “Qendra” di Pristina e l’associazione “Kulturanova” di Novi Sad.

Il centro “Qendra” è stato fondato nel 2002 per promuovere lo sviluppo dell’arte visiva e del teatro contemporaneo nel Kosovo e la loro attività principale è legata alla messa in scena di opere teatrali di artisti emergenti. L’associazione Kulturanova   è una ONG creata nel 2001 con lo scopo di favorire lo sviluppo della cultura urbana giovanile nonché la sensibilizzazione sulle questioni sociali più urgenti.

Le interviste raccolte per il progetto “Incontro di storie personali” sono state presentate l’anno scorso in occasione di due mostre organizzate a Novi Sad e Pristina. Questo vero e proprio scambio di narrazioni private appartenenti a persone comuni, che altrimenti sarebbero state sommerse dall’anonimato, ha cercato di aprire un dialogo per conoscere e capire meglio i serbi e gli albanesi del Kosovo.

Storie di persone comuni

La prima domanda, dunque, riguarda la volontà di fare uno spettacolo socialmente impegnato. Durante la conferenza stampa Dino Mustafić ha sottolineato che le relazioni balcaniche portano con sé una specie di sovraccarico dovuto ad un “eccesso di storia”. Eppure, “Patriotic hypermarket” ha come obiettivo quello di creare un nuovo discorso, un dialogo artistico sul destino umano, personale e privato delle persone ai margini dei grandi eventi della storia. Si è voluto mettere al centro l’individuo che, in un quadro drammatico dove si calpestavano l’integrità umana, le idee e i valori etici e spirituali, deve tuttavia continuare a vivere accanto al presunto nemico. In una delle interviste, un cittadino ricorda che la comunità internazionale prima o poi se ne andrà dal Kosovo, mentre Jusuf e Živorad rimarranno insieme a bere il caffè.

Sul palco la scenografia è minimalista, quasi a rievocare la mutua separazione e l’assenza d’interesse per l’Altro. Man mano che passa il tempo, i personaggi iniziano a parlare dei temi di cui si era sempre taciuto: i disordini del 17 marzo 2004, il massacro della famiglia Berisha, l’assassinio dei fratelli Bytyqi (attualmente il processo è rinviato al primo grado di giudizio davanti alla Corte speciale per i crimini di guerra, a Belgrado), le vittime delle mine, le repressioni, le discriminazioni e il bombardamento della Serbia. L’uso della lingua è particolarmente riuscito: si sovrappongono il serbo e l’albanese, non necessariamente quando lo spettatore se lo aspetterebbe. Questo elemento aiuta ancora di più a capire il bisogno di un dialogo costruttivo e oltre ogni stereotipo.

L’attore Kushtrim Hoxha pensa che “Patriotic hypermarket” non è stato realizzato “per dare risposte a domande precise, ma semmai per porne altre”.

La difficoltà di superare gli stereotipi

Anche nella preparazione dello spettacolo il focus è sempre stato sul dialogo multietnico. Il direttore della produzione Milan Vračar di Kulturanova ha ammesso che il lavoro di cooperazione non è stato per niente facile. Ad un certo punto anche il progetto del 2010 stava per essere sospeso a causa di un episodio quasi banale.

Pubblicando la monografia sulla mostra, Kulturanova ha chiesto il numero CIP (Cataloguing in Publication) alla Matica Srpska, suscitando una forte reazione negativa da parte di Pristina. Matica Srpska di Novi Sad e la Biblioteca Nazionale Serba di Belgrado sono le uniche due istituzioni in Serbia incaricate di custodire tutte le pubblicazioni fatte sul territorio nazionale. Questo gesto, tanto abituale a chi, come Kulturanova, pubblica spesso, è stato interpretato dal partner kosovaro come un altro tentativo di pretesa territoriale serba. Questo episodio, adattato, è stato poi inserito nella prima versione dello spettacolo.

Senza scordare la regia di Dino Mustafić, anche Damjan Babić, musicista presente sul palcoscenico, sottolinea la creatività e la collaborazione di tutti gli elementi della troupe. Damjan spiega che, pur avendo lavorando seriamente, gli attori avevano la libertà di comunicare e ascoltare le idee degli altri per arrivare eventualmente a soluzioni “collettive”.

Visione dal basso

L’autrice del testo Milena Bogavac parla poi del rapporto tra arte e politica. “Durante la stesura di Patriotic hypermarket abbiamo evitato di lanciare messaggi espliciti. Questi dovrebbero essere il terreno della politica, e non dell’arte”, spiega Milena, “in questo senso lo spettacolo, invece di offrire un messaggio politico, propone una visione ‘dal basso’ della vita della gente comune, anonima, che è sempre la vera vittima delle guerre. Grazie a questo particolare punto di vista l’opera pone con forza delle domande dirette: Perché dovevamo fare tutto questo? Perché abbiamo raso al suolo le chiese e le moschee? Da dove ci è venuta l’idea che tutto il mondo ci guardava e che sarebbe stato interessato ai nostri problemi per sempre?”.

Parlando della nuova ondata di violenze in Kosovo, Milena Bogavac sottolinea l’importanza dell’arte nel proporre la propria verità, senza compromessi o emozioni iperboliche. La ricerca di questa verità, aggiunge, è stato un processo difficile, soprattutto se condotta insieme a un altro sceneggiatore. Iniziata con testi politicamente “neutri”, la collaborazione tra Jeton Neziraj e Milena Bogavac poteva maturare soltanto una volta esauritasi la difficoltà derivante dagli stereotipi. “Allora abbiamo iniziato a parlare della guerra e a scrivere le scene-chiave del dramma. Abbiamo sviluppato una drammaturgia a  ‘ping-pong’, che potrebbe riassumersi come un ‘Colpisci pure, perché tanto te lo restituirò con gli interessi!’ Di conseguenza, questo spettacolo non risparmia nessuna delle parti in guerra ma è obiettivo su un livello umano, quello cioè più importante per l’arte stessa”.

Il leitmotiv che si ripete molte volte è lo slogan pubblicitario: “Le conferme dei consumatori felici sono la nostra migliore raccomandazione”. Quindi non possiamo che raccomandare questo spettacolo. Le prossime date sono il 29 e il 30 ottobre al teatro Bitef, dopodiché è programmata una tournée regionale.

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