Tipologia: Intervista

Area: Balcani

Categoria:

Il sud-est Europa e la globalizzazione del crimine organizzato

Quali sono le organizzazioni criminali più pericolose che operano nell’Europa sud orientale? E quali i legami con quelle del sud est Europa? Un’intervista a Paolo Sartori, direttore del coordinamento operativo per l’Europa orientale e sud orientale della Criminalpol

03/05/2013, Roberto Spagnoli - Roma

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(Quest’intervista è stata realizzata da Roberto Spagnoli per il programma da lui condotto su Radio Radicale Passaggio a Sudest )

Qual è l’attività svolta dall’ufficio dove lavora?

La nostra è una struttura interforze che opera a livello internazionale ed è coordinata dalla direzione centrale della polizia criminale del ministero dell’Interno. Siamo dislocati in molti paesi del mondo e dai nostri uffici all’estero facciamo in modo che le attività investigative condotte dalle forze di polizia e dalla magistratura italiana possano ottenere quelle informazioni necessarie per poter procedere anche a livello transnazionale.

Collaboriamo quotidianamente con le forze di polizia e la magistratura dei paesi che ci ospitano e dai nostri avamposti cerchiamo di far sì che tutte le informazioni che riguardano fenomeni criminali che hanno pertinenza col territorio italiano possano essere monitorate e possano essere utilizzate dagli investigatori italiani.

Quali sono le organizzazioni criminali più pericolose che operano nell’Europa sud-orientale?

Le organizzazioni mafiose italiane sono tutte presenti, in particolar modo i clan della camorra e le organizzazioni criminali siciliane, Cosa nostra nello specifico. La ‘ndrangheta è anche molto presente, soprattutto negli ultimi anni.

Per il resto vi sono organizzazioni criminali originarie del sud est Europa che ormai hanno esteso il loro raggio d’azione a livello internazionale e anche il territorio italiano non ne è esente.

Però vi è una grossa differenza tra organizzazioni criminali di stampo mafioso così come noi le intendiamo in Italia e quelle invece originarie dell’Europa del sud-est. Queste ultime sono più flessibili, più mobili sul territorio e non esercitano un controllo del territorio come lo intendiamo noi. Sono molto efficaci perché le loro strutture snelle consentono loro di muoversi a livello internazionale, di crearsi e ristrutturarsi in diversi territori in modo assolutamente efficace e difficile per noi da focalizzare e da contrastare.

Che caratteristiche hanno le alleanze strette tra le nostre organizzazioni criminali e quelle del sud-est Europa? Sono temporanee, legate a fatti contingenti o più strutturate?

La stessa natura delle mafie del sud-est Europa fa sì che questi accordi siano perlopiù strutturati nel breve e medio termine: finalizzati al profitto e al reciproco interesse. Abbiamo notato in varie attività investigative numerosi accordi di questo tipo e solitamente sono finalizzati a portare a termine determinate attività delinquenziali nel breve e medio termine.

Inoltre le organizzazioni criminali di questi paesi hanno una caratteristica che le rende particolari anche rispetto a fenomeni di tipo politico e culturale di quei paesi dove operano. Ad esempio non vengono riprodotti a livello criminale quei conflitti di carattere etnico e culturale che invece si sono visti negli ultimi due decenni nei paesi del sud est Europa.

Ad esempio vi sono organizzazioni criminali serbe che operano in modo molto efficace assieme a organizzazioni criminali kosovare.

Si tratta inoltre di organizzazioni flessibili e molto mobili sui vari territori. Pensiamo a quelle che si occupano del traffico di giovani donne verso i paesi occidentali e poi sfruttate nell’ambito della prostituzione: vanno dove hanno interesse ad agire e poi si ricollocano in altri territori. Così come le organizzazioni criminali che si occupano di reati informatici, un settore altamente specializzato dal punto di vista tecnologico: si collocano in un determinato paese per un determinato periodo e poi magari questi gruppi si sciolgono e i vari componenti vanno a creare altri gruppi altrove.

Si è verificato un passaggio diciamo di know how tra le organizzazioni criminali tradizionali e quelle che potremmo definire “più giovani” di questi paesi?

Sicuramente le collaborazioni hanno portato ad una conoscenza reciproca e anche ad un consolidamento di quelle che sono le attività che queste organizzazioni compiono a livello transnazionale. E vi è stato anche uno scambio di esperienze e un utilizzo reciproco di professionalità criminali che in precedenza le singole organizzazioni non avevano.

Quali sono i paesi in quest’area che attualmente sono più deboli ed esposti all’infiltrazione della criminalità organizzata?

I paesi che sono entrati a far parte dell’Unione europea negli ultimi anni hanno sicuramente assorbito una cultura giuridica e professionale che ne ha accresciuto l’efficienza nell’attività di prevenzione e contrasto alla criminalità organizzata. Vi sono invece altri paesi dove le legislazioni non sono state ancora armonizzate con quelle più evolute e dove le forze di polizia sono meno preparate.

Detto questo c’è da sottolineare come ormai queste organizzazioni criminali non sono collocabili su un territorio specifico, delimitato da confini nazionali. Inoltre vi sono alcune organizzazioni più specializzate di altri in determinati settori. Ad esempio la criminalità organizzata romena è molto attiva nel settore dei reati informatici e finanziari; quella serba e albanese nel traffico internazionale di droga.

A questo proposito negli ultimi anni abbiamo rilevato un cambiamento delle rotte classiche del traffico ad esempio della cocaina. Una volta quest’ultima veniva trasportata direttamente nei paesi occidentali dall’America del sud mentre invece adesso le organizzazioni criminali sudamericane in contatto con quelle europee – e italiane in particolare – trasportano la cocaina nei paesi dell’est Europa via nave attraverso il Mar Nero e da qui poi arriva in Europa occidentale. Si allunga il percorso ma si trovano canali preferenziali, protezioni e connivenze.

Il traffico di droga è sempre quello più redditizio?

Sicuramente sì, assieme al traffico di esseri umani e al traffico internazionale di armi.

Di solito si ritiene che grazie al traffico di stupefacenti venga accumulata una grande capacità finanziaria che permette poi di investire in altri traffici illeciti o nell’economia legale. Questo è sempre vero?

Sicuramente la globalizzazione dei mercati ha favorito il riciclaggio di denari di provenienza illecita, soprattutto in alcuni paesi del sud est Europa dove le legislazioni a contrasto e prevenzione di questo tipo di fenomeni non sono state all’altezza.

L’impressione che il cittadino ha è che, nonostante il vostro quotidiano impegno e i vostri successi, le mafie continuino quasi imperturbate a condurre i loro traffici…

Sono valutazioni sicuramente corrette anche se dobbiamo dire che le attività delle forze di polizia e delle magistrature sia a livello nazionale che internazionale sono solo la punta dell’iceberg di quello che dovrebbe essere un sistema più complesso di attività di prevenzione e di repressione.

Certo da sole non bastano per far sì che questo fenomeno possa esser ridotto e controllato in tutte le sue componenti. Vi sono infatti componenti di carattere sociale e culturale e di altro genere che sono, diciamo così, avulse da quelle che sono le nostre attività.

E poi vi sono valutazioni di carattere politico che non sta a me fare, che sono molto complesse e che riguardano anche interessi diversi a livello globale.

Alcuni governi di paesi del sud America chiedono di rivedere alcune politiche alla base del contrasto al traffico di stupefacenti. Secondo lei c’è qualcosa da cambiare nel modo in cui viene condotta nel mondo la guerra alla droga?

Dal punto di vista della collaborazione tra le forze di polizia e le magistrature posso dire che negli ultimi anni sono stati ottenuti risultati di altissimo livello e questa collaborazione si è sicuramente rafforzata. Poi per quanto riguarda gli aspetti più politici e culturali sicuramente vi sono molte cose da fare ma ribadisco che non sta a me dare una valutazione in questo senso.

Lei vive in Romania da circa 15 anni. Cosa è cambiato in questi paesi in questo lasso di tempo?

Negli ultimi 15 anni nei paesi del sud est Europa sono cambiate moltissime cose, da tutti i punti di vista. Per quanto riguarda il nostro lavoro le cose sono migliorate in maniera molto evidente, sia dal punto di vista dell’atteggiamento verso l’attività di collaborazione internazionale da parte delle autorità di questi paesi sia dal punto di vista della percezione sociale della pericolosità di questi fenomeni e quindi del coinvolgimento delle società di questi paesi nelle attività di prevenzione e anche nelle discussioni che ci sono a tutti i livelli. Ritengo inoltre che siano in atto ulteriori cambiamenti che non possono che fare bene e portare elementi positivi in questa lotta che quotidianamente portiamo avanti.

Immagino che in questo senso il processo di integrazione europea sia uno snodo fondamentale…

Indubbiamente il fatto di sentirsi parte integrante dell’Unione europea per i paesi che hanno fatto il loro ingresso recentemente e anche per altri che hanno aspettative concrete di entrare a farne parte ha senza dubbio giovato.

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