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Il silenzio assordante sull’antisemitismo in Bosnia Erzegovina

Dopo le inquietanti dichiarazioni negazioniste e antisemite apparse sulla rivista della gioventù islamica SAFF e sulla Televisione Alfa di Sarajevo, cala un assordante silenzio nel Paese che per primo in Europa ha visto ripetersi l’orrore dei campi di concentramento. Nella giornata della memoria, pubblichiamo un commento su questa vicenda da parte del settimanale Feral Tribune

27/01/2005, Redazione -

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Di Ivan Lovrenovic, Feral Tribune, 20 gennaio 2005 (titolo originale: "A chi danno fastidio gli Ebrei? Il silenzio assordante dell’establishment politico e nazional-confessionale sulla questione dell’antisemitismo in Bosnia Erzegovina")

Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Martin Fontasch

Tacciono il Rijaset della comunità islamica e reis Ceric, tacciono la Conferenza Episcopale della Bosnia Erzegovina e il cardinale Pulic, tacciono la Chiesa Ortodossa serba e il metropolita Nikolaj. Tutti insieme lasciano solo Finci, loro collega nel Consiglio Interreligioso della Bosnia Erzegovina, ad arrangiarsi da solo come sa e come può. A giudicare dalla atmosfera generale, l’indifferenza rispetto all’antisemitismo e al negazionismo in Bosnia Erzegovina non sono fenomeni che dovrebbero turbarci. Non è che questo, insieme a tutti gli altri indicatori della cattiva situazione in questo Paese – sociale, demografica, politica, economica e culturale – sia uno dei più allarmanti?

Nella precedente edizione di Feral abbiamo parlato di due manifestazioni di antisemitismo nei media di Sarajevo – l’apparizione dell’anonimo hafiz sulla TV Alfa, nella quale si faceva riferimento alla inimicizia tra Musulmani ed Ebrei come ad una categoria eterna, con riferimenti persino al Corano, e lo scritto apparso sulla rivista della gioventù islamica SAFF, nel quale l’autore (Fatmir Alispahic) affronta il tema dell’Olocausto nella seconda guerra mondiale attraverso quelli che in Occidente sono i noti oscuri tentativi negazionisti, ma in modo tale che nel tono e nella struttura del testo scompaiono i confini tra la posizione dell’autore e i suddetti tentativi.

Sono passati molti giorni da entrambi questi fatti, un lasso di tempo più che sufficiente per un ambiente quanto meno civilizzato e coerente per rispondere in modo adeguato. In questo ambiente non bisogna ricordare a nessuno che la reazione alle dichiarazioni su queste questioni, dopo la seconda guerra mondiale, rappresenta una primaria reazione civile. La citrullaggine idiota del principe della Casa Reale inglese con la svastica sulla manica, ha scosso negli ultimi giorni l’opinione pubblica britannica e europea come uno tsunami politico. Ed ecco, in attesa del sessantesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale, si comincia a prendere in considerazione l’idea di obbligare tutti i Paesi dell’Unione Europea a introdurre leggi che sanzionino in maniera uniforme qualunque tipo di rinascita o riabilitazione del nazismo, anche solo simbolico.

Denunce penali

In Bosnia Erzegovina tutto è diverso. Ci sono state reazioni che testimoniano l’esistenza della coscienza del significato mondiale dell’Olocausto, ma la struttura di tali reazioni parla di un qualcosa che è ancora più disastroso delle sopraindicate, comunque singole e sconnesse, manifestazioni di antisemitismo e di negazionismo.

Nel qualificare in maniera corretta tali manifestazioni hanno avuto un ruolo di primo piano, come tante altre volte, alcuni media e i loro redattori e giornalisti (Dani, Slobodna Bosna, Oslobodjenje, Start, la Televisione Federale…). Bisogna senz’altro citare anche la dichiarazione della Commissione degli Intellettuali Bosgnacchi, istituzione che non ha una grande influenza, ma che ha uno spiccato carattere nazionale bosgnacco; in questa dichiarazione, chiaramente e senza riserve, si condannano i fenomeni di cui si parla. Il Comitato Helsinki della Bosnia Erzegovina e il suo presidente, Srdjan Dizdarevic, hanno reagito a loro modo – presentando una denuncia penale presso il Tribunale Cantonale di Sarajevo contro l’autore del testo pubblicato su SAFF, in base alla legge che punisce la diffusione dell’odio religioso, nazionale e razziale.

Tuttavia, ci sono state anche reazioni diverse sui media. Tipico è stato il comportamento dei media che si indirizzano in modo particolare e lettori e spettatori bosgnacchi. Astenendosi da qualsiasi proprio commento, il potente – per diffusione e marketing – Dnevni Avaz ha seguito tutta la situazione cedendo le proprio colonne all’autore dell’articolo di SAFF, che si difende dalle qualifiche date dagli altri media, accusandoli di infierire e mettere a rischio i suoi diritti umani, cercando di mostrarsi come vittima e annunciando una querela contro coloro i quali lo "attaccano". La televisione privata – molto seguita – di Sarajevo, Hayat, il cui notiziario serale di sabato è condotto dall’ex redattore della TV di Sarajevo, Senad Hadzifejkovic, ha organizzato un incontro presso i propri studi di fronte alle telecamere – da un lato Jakob Finci, presidente della comunità ebraica della Bosnia Erzegovina, dall’altro l’autore del testo controverso, Fatmir Alispahic.

In base al trattamento del tema e degli interlocutori da parte del conduttore, in base alla sua intonazione generale, e alla assenza di qualsiasi intervento attivo nel corso del colloquio, si è vista la sua chiara intenzione di nascondersi dietro un atteggiamento neutrale. Il risultato è stato penoso e grottesco, dato che era chiaro che questo tipo di neutralismo non aveva niente a che fare con il professionismo giornalistico, ma aveva molto a che fare con un nauseante opportunismo e con la paura di mostrare la propria posizione. A meno che tutto ciò non sia stato proprio il mostrare il proprio atteggiamento? Tuttavia – bisogna ricordarlo – questo non è un tema qualsiasi, ma il topos negativo fondamentale della nostra civiltà, l’Olocausto, in relazione al quale qualsiasi tipo di "neutralismo" appare sinistro. Siccome nei giorni scorsi è stato dimostrato che questo neutralismo caratterizza l’atteggiamento della maggior parte dell’opinione pubblica politica ed intellettuale del Paese, sarebbe molto importante riportare a ragione il suo contenuto e le motivazioni. Tuttavia, chi lo deve fare?

Senza voce

Ad eccezione degli esempi di qualità indicati, di reazione ai sinora più espliciti fenomeni del nuovo antisemitismo e negazionismo a Sarajevo, tutto il resto è trascorso nel segno di un assordante e minaccioso silenzio. Non c’è stata nessuna reazione da parte di alcun forum ufficiale o statale, ufficio, gabinetto – né da parte della Presidenza bosniaca, né da parte di nessuna delle Camere parlamentari (statale, federale o del cantone di Sarajevo), né da parte del governo della Federazione né da parte del Consiglio dei Ministri della Bosnia Erzegovina, così come neppure da parte dei partiti di governo. Neppure il "governo" di Paddy Ashdown si è impensierito – da parte dei reggenti in Bosnia e dei loro uffici pubblici non è giunta nessuna posizione né commento. Non si è sentita neppure la voce degli intellettuali, dei forum accademici o scientifici. E tuttavia, la cosa più disastrosa è il fatto che sono rimaste sorde tutte le maggiori istituzioni religiose.

E’ rimasto zitto il Rijaset della comunità islamica e il reis Ceric (malgrado il fatto che la rivista di cui si parla pretende di essere l’organo educativo della gioventù islamica!), tacciono la Conferenza Episcopale della Bosnia Erzegovina e il cardinale Pulic, tace la Chiesa Ortodossa serba e il metropolita Nikolaj. Tutti insieme hanno lasciato solo Finci, il loro collega nel Consiglio Interreligioso della Bosnia Erzegovina, ad arrangiarsi da solo come sa e come può. Infine, non possiamo sapere se qualche procuratore del tribunale di Sarajevo avrebbe reagito d’ufficio o di propria iniziativa se non ci fosse stata la denuncia del Comitato Helsinki. Ebbene, a giudicare dalla generale atmosfera di latitanza, in primo luogo quella che si pratica (e che si suggerisce) nei circoli dell’establishment politico e nazional-confessionale, l’antisemitismo e il negazionismo in Bosnia Erzegovina non sono fenomeni rispetto ai quali bisognerebbe inquietarsi. Non è che questo, insieme a tutti gli altri indicatori della cattiva situazione del Paese – sociale, demografica, politica, economica e culturale – sia uno dei più allarmanti?

Vedi anche:

Segnali di antisemitismo in Bosnia Erzegovina

Le due tribù del giornalismo bosniaco

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