Il muro deve cadere
9 novembre, una data simbolica. Quel giorno, nel 1989, cadeva il muro di Berlino. A Skopje, lo stesso giorno, si protesta ora per far cadere un altro muro, quello rappresentato dai visti Schengen
Lo scorso 9 novembre, anniversario della caduta del Muro di Berlino, un gruppo di Ong a Skopje hanno organizzato la prima protesta di strada in Macedonia contro il regime dei visti Ue. In contemporanea sotto lo striscione "Non più visti per i Balcani" manifestazioni erano state organizzate in molte altre città: Bruxelles, Vilnius, Belgrado, Nis, Ankara, Istanbul, Edinburgo, Riga e Berlino. A guida dell’iniziativa i vari rami nazionali dell’Ong AEGEE
"La data nella quale abbiamo organizzato queste proteste è altamente simbolica ed esprime il desiderio di porre finalmente fine alle tortuose procedure ed ai costi per ottenere un visto per l’Ue a cui sono sottoposti molti cittadini del sud est Europa", commentano gli organizzatori.
Le proteste a Skopje sono partite davanti al palazzo del governo e poi si sono spostate davanti agli uffici della Commissione Europea dove è stato creato un passaggio di confine fittizio dove venivano dispensati visti per gli improvvisati viaggiatori. Con tanto di sottofondo musicale grazie alla presenza di numerosi gruppi rock tra i quali i molto conosciuti "Superhiks".
Oltre all’AEGEE gli altri promotori dell’iniziativa erano i "Giovani federalisti europei", l’ "Unione degli studenti delle scuole superiori", gli scout, il "Forum per l’educazione dei giovani" e "Balkan Idea".
"Il muro di Schengen è una vera e propria minaccia per l’integrazione europea e per l’affermarsi di valori democratici in Europa", ha affermato uno dei leader della protesta, Leon Bakracevski, in un messaggio letto davanti alla sede della Commissione europea nella capitale macedone.
La barriera costituita dall’attuale regime dei visti va a discapito in primo luogo dei giovani, affermano gli organizzatori. Non si può discutere infatti a loro avviso di valori europei se poi si è costretti all’interno dei confini del proprio piccolo paese. I discorsi su un modello educativo europeo, sui modelli di democrazia in Europa, sulla tolleranza rischiano di essere del tutto vuoti se poi ai giovani è preclusa la possibilità di farne concretamente esperienza.
"L’impossibilità di fare esperienza di culture differenti e di modi diversi di pensare è strettamente legata al fatto che spesso in questi paesi si è ghettizzati. Lo siamo perché non possiamo ottenere visti per muoverci e non otteniamo visti per muoverci perché siamo un paese che procede lentamente perché ghettizzato", afferma un giovane partecipante alle proteste.
Poche settimane prima della protesta i media macedoni hanno riportato notizia di un problema finanziario in seno alla struttura internazionale dell’AEGEE. Le sue ramificazioni locali, in 280 università europee, sono state lasciate senza fondi e in contemporanea al suo presidente, per la prima volta nella storia dell’organizzazione un macedone, Jovica Karanfilov, è stato negato il visto per recarsi in Belgio. Gli era così impossibile sottoscrivere il trasferimento finanziario necessario alle sedi locali.
Qualche giorno dopo le proteste dell’AEGEE la Commissione europea ha avviato formalmente i negoziati per l’alleggerimento delle pratiche dei visti nei confronti di Macedonia, Albania, Serbia e Montenegro.
Secondo Bakracevski vi sarebbe una diretta causalità rispetto alle proteste organizzate dalla propria organizzazione in tutta Europa. "E’ stata la prima in questa direzione", ha affermato "sono stati obbligati a riunirsi urgentemente e decidere qualcosa in merito". Anche se la decisione era già in programma è probabile che le proteste delle Ong l’abbiano resa più urgente.
Le negoziazioni con la Macedonia per la questione dei visti sono iniziate lo scorso primo dicembre ma è improbabile, nel breve periodo, abbiano qualche effetto. Da quanto viene riportato nei media l’offerta da parte dell’Ue consiste nell’alleggerire le pratiche dei visti per alcune categorie di cittadini tra i quali studenti, uomini d’affari; lasciare immutati gli attuali costi; aumentare il numero di visti di lunga durata rilasciati. Le autorità macedoni auspicherebbero invece un’abolizione completa della necessità di ottenere un visto per recarsi nei paesi dell’UE.
Alla fine di novembre anche un’altra prestigiosa istituzione è interventua sulla questione dei visti. Si tratta dell’ "East West Institute" che promuove un’iniziativa transfrontaliera a Ohrid e che gestisce il suo ufficio per i Balcani da Skopje. Questi ultimi hanno pubblicato un rapporto sulla questione dei visti. E’ uno dei tanti pubblicati da vari think tank tra i quali l’International Crisis Group e l’International Commission on the Balkans, che hanno espresso chiaramente l’opinione che l’attuale regime dei visti sia estremamente negativo per i paesi dei Balcani.
Il rapporto dell’ "East-West Institute" raccomanda che l’attuale regime dei visti Ue nei Balcani venga eliminato. Argomenta che quest’ultimo sia in totale contraddizione con i proclami Ue sulla volontà di aumentare i legami commerciali e gli scambi con quest’area geografica.
Secondo gli esperti che hanno lavorato a questo rapporto è stato scioccante verificare come sia difficile ottenere un visto, e gli stessi funzionari di Bruxelles non avrebbero a loro avviso alcun’idea di questo.
"Vi sono molti pregiudizi in posti come Bruxelles, vi è mancanza di informazioni e assenza di una chiara visione della situazione sul terreno e tutto questoi influisce poi sulle politiche adottate", afferma Robert Garnett, direttore dela sezione macedone dell’East West Insitute in Macedonia, alla presentazione del rapporto. "Questo è il motivo per cui cerchiamo di alzare la consapevolezza della gente che sta a Bruxelles su quanto sta avvenendo", aggiunge Garnett.
La campagna sui visti non è terminata con le manifestazioni dello scorso 9 novembre. Le Ong organizzatrici ora invieranno delle mail al Parlamento Europeo chiedendo quali novità vi siano sulla questione dei visti. Inoltre continueranno a monitorare attentamente le negoziazioni tra Ue e paesi dei Balcani.
"A nessuno degli altri paesi ai quali è stato alleggerito il regime di visti, come ad esempio Romania, Bulgaria e Croazia sono state richieste condizioni così dure come quelle proposte alla Macedonia", afferma Bakracevski.
Anche se molto lentamente la mobilitazione sul tema dei visti si sta allargando sempre più nei Balcani. L’Europa è stata a lungo sorda ma è una situazione che non può più essere tollerata a lunga. E tutti i principali think tank concordano: questo regime di visti ha effetti più negativi che positivi.
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