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Il Kosovo visto da Tirana

E’ un’Albania addobbata di rosso e nero quella che ha accolto l’indipendenza del Kosovo. Intanto i media albanesi riscoprono i vicini balcanici con servizi e reportage dall’intera area. Le reazioni politiche? Un netto rifiuto della Grande Albania, un sì al percorso europeo

20/02/2008, Marjola Rukaj -

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Domenica scorsa l’Albania si è ritrovata tutta addobbata di rosso e nero, e con palchi da concerto installati nelle maggiori piazze delle sue città principali. L’atmosfera è stata profondamente festosa e sono stati in molti a scendere in piazza per assistere agli spettacoli organizzati dagli enti locali, o a rendersi partecipi a quella che era indubbiamente una giornata storica per il Kosovo attraverso i maxi-schermi che trasmettevano in diretta la cerimonia della proclamazione dell’indipendenza.

Negli ultimi giorni infatti il Kosovo aveva assorbito tutte le energie del mondo politico e mediatico albanese, tanto da fare dimenticare persino i soliti infiniti attriti tra maggioranza e opposizione che in questo caso si sono trovati unanimemente a difendere la stessa posizione politica, in sostegno dell’indipendenza del Kosovo. I media, e in particolar modo la stampa, hanno finalmente iniziato a pubblicare degli editoriali e delle analisi diverse dalle solite retoriche da manuale noioso di storia o dalle solite traduzioni di articoli usciti sul "Guardian" o sull’"Economist". Come ben di rado accaduto in precedenza, in questi giorni si è mostrato persino maggior interesse per ciò che avviene negli altri vicini balcanici, riferendosi ampiamente alle notizie e approfondimenti apparsi su B92 e altre fonti serbe.

Già nel primo mattino del 17 febbraio i media televisivi si erano sincronizzati tutti su Pristina, e le maggiori reti televisive hanno trasmesso per tutto il giorno approfondimenti, cronologie e varie analisi condotte dai migliori giornalisti albanesi. Poi nel momento cruciale quando la proclamazione dell’indipendenza stava per essere pronunciata la linea è passata alla diretta dal parlamento di Pristina e in seguito, all’atmosfera festosa nelle strade della capitale kosovara.

Non hanno tardato a giungere gli auguri da parte dei politici di Tirana, mentre i media hanno celebrato la proclamazione dell’indipendenza kosovara spesso con reportage dai toni nazional-romantici e di retorica imbevuta di tale pathos. Il parlamento albanese si è trovato riunito nella propria sede per seguire in diretta la proclamazione nel parlamento kosovaro. E il saluto mandato a Pristina dalla stessa aula, è stato quello della presidente del parlamento, Jozefina Topalli che annoverando una serie di personaggi considerati i "padri della nazione" spaziando tra politici dell’800, scrittori illuminati, combattenti del primo ‘900, e guerriglieri dell’UçK ha pronunciato epicamente "Bac, u kry" che in albanese gheg significa più o meno "Padre, è fatta" dove per padre in un sistema molto patriarcale si intende il più anziano della famiglia. Sono giunti in seguito anche i saluti della maggioranza di Salì Berisha, che ha garantito a Pristina il sostegno da parte dell’Albania nel suo percorso da nuovo stato.

"Questo stato nasce sotto il segno dell’UE" ha sottolineato Berisha parlando del futuro del Kosovo e dei Balcani. "Con il Kosovo indipendente ci sarà più pace nei Balcani" ha concluso Berisha mentre anche dall’opposizione e dai suoi sostenitori la proclamazione dell’indipendenza del Kosovo è stata considerata come un momento in cui si è chiuso con il passato tormentato dei Balcani. Si è parlato molto di buoni rapporti con la Serbia mentre molti i politici albanesi hanno suggerito che questo giorno anche dai serbi venisse considerato come una buona occasione per chiudere con il loro passato doloroso. "E’ un giorno di trionfo sul tragico passato balcanico, ma non è un trionfo sulla Serbia, che per noi rimane un nostro vicino, e un partner indispensabile nello sviluppo regionale, nell’interesse di tutti i popoli balcanici" ha commentato Edi Rama capo del Partito Socialista, principale partito dell’opposizione albanese.

Ma non poteva naturalmente mancare il discorso del maggiore scrittore albanese Ismail Kadaré che da tempo definisce il Kosovo "un secondo stato albanese" e uno "strumento che farà aumentare l’importanza del "fattore albanese" nei Balcani". Kadaré quasi commosso, con tanto di pathos letterario ha infatti definito l’evento come "indescrivibile con parole che non ne diminuiscano il significato, e che porterà un radicale cambiamento in positivo della situazione albanese".

L’atmosfera di Pristina è stata riportata nei minimi dettagli in Albania, e tra i vari reportage, i giornalisti albanesi inviati in Kosovo per l’occasione hanno incominciato a parlare anche dei rapporti interetnici in Kosovo e della necessità che essi debbano migliorare. Già il giorno dopo, finito l’entusiasmo patriottico i giornali albanesi si sono riempiti di articoli e reportage sulle famiglie serbe che gli inviati di Tirana erano riusciti a rintracciare in Kosovo, riportando il loro dispiacere e descrivendoli molto positivamente, cogliendo quel poco di rapporti e di solidarietà serbo-albanese in Kosovo. Berisha ha fatto appello al rispetto del pacchetto Ahtisaari, come egli ha sempre sostenuto, al fine di far progredire quello che per ora è uno dei punti più delicati della società kosovara, il rispetto delle minoranze.

La festa che in Albania è stata seguita più di quanto ci si aspettasse, ha fatto viaggiare verso Pristina oltre 3000 albanesi, molti dei quali avevano il passaporto dell’UNMIK, mentre altri erano kosovari da tempo residenti in Albania, o appartenenti a varie associazioni e giovani che andavano a Pristina a festeggiare. Nel fine settimana si era persino annunciata la presenza dei politici di Tirana a Pristina, che però è stata in seguito smentita senza alcuna spiegazione pubblica, probabilmente per non dare segnali devianti ed equivoci rispetto alla politica europeista che agli albanesi sta molto a cuore nei rapporti inter-balcanici.

Infatti l’imminente proclamazione dell’indipendenza del Kosovo aveva fatto discutere molto in Albania del concetto della Grande Albania. Ma Berisha e altri politici si sono impegnati in una vera e propria campagna internazionale tra i media più seguiti e più prestigiosi del pianeta, per convincere della mancanza di ogni intenzione di attuare da parte dell’Albania qualsiasi mossa politica che assomigli al mito della Grande Albania. "L’aspirazione del Kosovo e dell’Albania è l’adesione all’UE e alla NATO, e noi sosterremo il Kosovo in tutti i modi possibili. Costruiremo ottimi rapporti, di buon vicinato, ma non abbiamo assolutamente intenzione di violare il piano Ahtisaari che non ammette l’unione del Kosovo con nessun altro stato balcanico" ha più volte ribadito Berisha.

Anche il capo dell’opposizione Edi Rama ha affermato che "i progetti di Grande Albania e simili sono progetti pericolosi, abbiamo visto cos’è successo con la "Grande Serbia", bisogna fare in modo che questo nei Balcani non si ripeta mai più". Una delle reti televisive più seguite Vizion Plus ha persino lanciato un sondaggio via sms, da cui, anche se non ben strutturato e lontano dall’essere una vera e propria statistica, è emerso che gli albanesi collocano come prioritaria l’integrazione europea del paese, mentre riguardo all’unione con il Kosovo, la accettano solo nel quadro del concetto europeo dell’eliminazione delle frontiere come attualmente nell’area Schengen.

Ma in Albania sono giunti anche i pareri di analisti stranieri che sostengono l’inapplicabilità della "grande Albania" anche a causa delle élite dell’Albania e quella del Kosovo che si troverebbero in un’aspra competizione, in cui molto probabilmente sarebbe enormemente avvantaggiata quella di Tirana. Inoltre ha creato una lieve polemica anche un’altra interpretazione che esclude ogni possibile unione tra Kosovo e Albania, che avrebbe conseguenze disastrose per l’equilibrio interno tra gheg e tosk, facendo prevalere numericamente i gheg, e risvegliando probabilmente anche frustrazioni storiche che non produrrebbero affatto un paese unito. La ministra dell’Integrazione Majlinda Bregu, ha inoltre ribadito che il motivo per cui non si avrà nessuna annessione del Kosovo e simili azioni politiche, è perché non si avrà intenzione di modificare i confini nei Balcani e di causare instabilità nella regione.

Il premier Berisha è stato più volte interrogato dai media kosovari sulla posizione dell’Albania nei confronti del neonato stato kosovaro, cui egli ha sempre assicurato pieno sostegno, affermando anche l’esistenza di un piano di 6 punti presso il governo albanese che mirerà ad alleviare i danni economici del Kosovo in caso di embargo da parte della Serbia, tra cui egli prevede anche l’esportazione di energia elettrica. Berisha però ha dimostrato cautela nel prendersi la responsabilità di difendere il neostato nell’arena internazionale, poiché "vi sono le strutture internazionali in grado di farlo molto meglio dell’Albania". Alla frequente domanda se l’Albania sarebbe stato il primo stato a riconoscere il nuovo stato kosovaro, Berisha ha risposto con la disponibilità mostrata anche in passato, a riconoscerla aggiungendo che "però non è il riconoscimento dell’Albania ciò che conta".

Passata l’euforia del 17 febbraio gli analisti albanesi iniziano a commentare la situazione del neostato a tinte molto meno rosee di quelle di qualche giorno prima. "E’ ovvio che sarà un nuovo stato ma è molto lontano dall’essere davvero indipendente" sostiene Mustafa Nano nelle pagine del quotidiano "Shqip". "I kosovari dovranno soffrire molto per riuscire a mettere in piedi una democrazia e uno stato di diritto, entrambi fenomeni per ora assenti in Kosovo", continua il noto analista albanese.

E’ della stessa opinione anche Fatos Lubonja che definisce la presenza delle strutture internazionali in Kosovo come un necessaria "imposizione dei progetti internazionali ai kosovari che sarà un processo molto lungo poiché anche lo stesso riconoscimento e la sua adesione all’ONU richiederà molto tempo". Tra le preoccupazioni della società kosovara, continua Lubonja "non si possono non evidenziare le tensioni interne che sono esistite e che esistono tra la tendenza della maggioranza albanese ad attualizzare i propri progetti nazionalisti e l’imposizione da parte degli occidentali del progetto di costruzione di uno stato multi-etnico e multi-culturale".

Sono numerosi gli articoli che questi giorni hanno illustrato anche la disastrata situazione economica del Kosovo, tra le difficili sfide che il neostato dovrà affrontare. "L’indipendenza non è una bacchetta magica che risolve tutto" mette in evidenza un reportage sulla situazione economica in Kosovo il quotidiano "Korrieri".

Tra entusiasmo e spirito critico, gli sviluppi in Kosovo rimangono un argomento di primo piano nel mondo mediatico e politico albanese. Si sta anche mostrando enorme interesse per gli altri vicini balcanici, con cui la politica albanese, e i vari analisti albanesi affermano di voler migliorare i rapporti e di sostenere un comune futuro europeo.

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