Il Kosovo di Albin Kurti
Dopo anni di opposizione ed attivismo, il leader di Vetëvendosje Albin Kurti, vincitore alle elezioni del 6 ottobre, si appresta a divenire il nuovo premier del Kosovo. Per il paese, una svolta politica non priva di incognite
“Questa sera festeggiamo in piazza Skanderbeg, da domattina saremo al lavoro per creare un nuovo governo. Da oggi il Kosovo non è più il paese della disoccupazione, dell’ineguaglianza e dell’arbitrio, ma quello dello sviluppo, del progresso e della giustizia”.
Cappotto scuro, sciarpa cremisi al collo, volto composto, ma che non riesce a nascondere la soddisfazione intensa: Albin Kurti si è presentato così di fronte alla stampa nella notte di domenica scorsa, dopo che le urne lo hanno di fatto incoronato nuovo premier del Kosovo.
Per Kurti, classe 1975, leader storico e anima del movimento Vetëvendosje (Autodeterminazione) si chiude così un lungo cammino, percorso con determinazione ferrea e segnato tanto dai successi quanto dalle cadute.
Negli anni, Kurti è stato leader della protesta studentesca per l’indipendenza e contro il regime di Milošević, prigioniero politico condannato a 15 anni da un tribunale serbo per “attentato all’integrità territoriale della Jugoslavia e terrorismo”, sostenitore dell’autodeterminazione come strumento per costruire il nuovo stato kosovaro, scomodo contestatore dell’amministrazione internazionale post-bellica e delle ingerenze internazionali sul Kosovo, fautore dell’unione con l’Albania e critico instancabile del regime politico simboleggiato dal presidente Hashim Thaçi.
Oggi, dopo un lungo passato da attivista e contestatore, Kurti vuole dimostrare di essere pronto al grande salto, a diventare cioè un uomo di governo, in grado di trasformare in fatti le parole d’ordine che in questi anni hanno scaldato le piazze del Kosovo.
La prima vera transizione
Per riuscirci, Kurti parte dai risultati di domenica, che rappresentano la prima vera transizione nella politica kosovara dalla proclamazione dell’indipendenza. Anche nel 2017 Vetëvendosje era uscito dalle urne come il singolo partito più votato. I partiti “dell’UCK” (PDK, AAK, NISMA) si erano però presentati in coalizione, e una contestata sentenza della corte costituzionale aveva stabilito che solo il partito (o coalizione) di maggioranza relativa poteva esprimere il premier.
Questa volta, invece, i tempi sembrano maturi. In un contesto tradizionalmente complicato come quello kosovaro, che ci ha abituato negli anni a brogli elettorali e contestazioni violente, gli sconfitti non hanno lamentato irregolarità e si sono affrettati a riconoscere i risultati elettorali, elemento di maturità democratica che stavolta fa ben sperare.
E proprio quella norma contestata stavolta incorona di fatto Kurti a premier in pectore, visto che l’LDK di Vjosa Osmani – probabile alleato nella prossima maggioranza di governo – si è piazzato secondo, a una manciata di voti da Vetëvendosje.
Tracciare un programma condiviso, comunque, potrebbe non essere così facile e con tutta probabilità il nuovo esecutivo non sarà delineato prima di novembre. I due partiti hanno collaborato egregiamente come forze di opposizione, unite dalla comune ostilità a Thaçi e alla passata maggioranza, ma dal punto di vista ideologico la futura coalizione è tutt’altro che omogenea. E se Vetëvendosje rappresenta un elemento di rottura netta, non bisogna dimenticare che l’LDK, pur rinnovato dalla fresca leadership della Osmani, è stato parte integrante del sistema di potere che ha governato il Kosovo nella passata decade, con il breve intervallo degli ultimi due anni.
E Vetëvendosje attinge il suo consenso soprattutto dalla promessa di rovesciare quel sistema, che negli anni è sprofondato sempre di più in corruzione, nepotismo e incompetenza. Non a caso tra la popolazione urbana di Pristina, dove la richiesta di un’amministrazione più moderna ed efficiente è più forte, il partito ha toccato il 37% delle preferenze.
Altro elemento di possibile svolta è la concreta possibilità che il governo di Kurti possa fare a meno dell’appoggio della Srpska Lista. Se ci saranno i numeri in parlamento (il conteggio ufficiale non è ancora stato concluso), il trionfo della Srpska tra la minoranza serba – dieci deputati su dieci – potrebbe trasformarsi in una vittoria di Pirro, escludendo il partito “di Belgrado” dalle stanze del potere e lasciando a Kurti una libertà di manovra sconosciuta agli esecutivi che lo hanno preceduto.
Riaprire il dialogo con la Serbia
Nonostante le priorità dei cittadini kosovari, così come del programma politico di Vetëvendosje siano legate soprattutto alle questioni dello sviluppo economico e sociale, Kurti è consapevole che il destino del suo governo verrà deciso in buona parte sulla riapertura del dialogo – oggi interrotto – con la Serbia.
Nelle interviste rilasciate dopo il voto, Kurti ha smussato alcune delle sue posizioni più controverse. Sulla prospettiva di un’unione con l’Albania, più volte caldeggiata in passato, ha ribadito di essere a favore, ma che questa dovrebbe passare attraverso un referendum popolare, oggi impossibile. “Insisterò, attraverso mezzi democratici, perché [il referendum] un giorno possa avvenire, ma le prospettive non sono comunque di breve termine”.
Sui dazi imposti dal governo Haradinaj alle merci serbe, pietra tombale del dialogo bilaterale, Kurti ha assicurato che verranno eliminati. “Al posto dei dazi, vogliamo una politica di reciprocità. Belgrado, ad esempio dovrà accettare le targhe e i documenti con la dicitura ‘Repubblica del Kosovo’”.
Nonostante le aperture, quindi, la linea di Kurti – che ha rivendicato la gestione del processo di dialogo, fino a oggi in gran parte appannaggio di Thaçi – non renderà necessariamente più semplici i rapporti con Belgrado e il negoziato.
Dopo un lungo periodo di stallo, molte pedine si stanno ora muovendo. Gli Stati Uniti sono tornati sulla scena con la nomina prima di un rappresentante speciale per i Balcani (Matthew Palmer) e poi di un inviato speciale ai negoziati Serbia-Kosovo (l’ambasciatore in Germania Richard Grenell), e anche il nuovo rappresentante per la politica estera UE, Josep Borrell, ha rimesso il dialogo tra le sue priorità.
Per capire se si sta davvero aprendo una nuova finestra di opportunità, però, ci sarà tempo almeno fino alle prossime elezioni in Serbia, in programma per il prossimo aprile. Prima di allora, Kurti dovrà affrontare la sfida di costruire e guidare un governo in grado di reggere agli scossoni e alle pressioni che da sempre accompagnano la difficile strada del compromesso.
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