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I senza status di Abdic

Agosto 1995, i serbi abbandonano la Krajina, in fuga. Ma vi è chi percorre la strada al contrario. E’ la "gente di Fikret Abdic", ex numero uno dell’Agrokomerc, politico, demagogo, capo militare che aveva negoziato una pace privata con serbi e croati. Fuggono da una possibile vendetta dell’Armija di Sarajevo. L’8 agosto arrivano in una Kraijna deserta, ancor prima dell’esercito croato

11/08/2005, Redazione -

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Di Valentina Pellizzer – Oneworld SEE
Prima parte, la leggenda

L’8 agosto 1995 la "gente di Fikret Abdic" lasciava Velika Kladusa, vicino Bihac, Bosnia nord-occidentale. E per la seconda volta in un anno abbandonava i propri campi, le proprie case attraversando il confine con la Croazia.

Sono i giorni dell’operazione Tempesta con la quale l’esercito croato, "riconquista" la Krajina. Proprio qui, sotto Vojinic, a soli 23 chilometri (Kupljensko) da Velika Kladusa, in Krajina, confine dentro il confine, striscia di tradizione serba in Croazia appena cancellata dall’Oluja, si fermano i trattori, le automobili, i camion di questi bosniaci secessionisti.

Fikret Abdic, il loro leader, il dirigente comunista dell’Agrokomerc, la maggior azienda agroalimentare del paese ed una delle più ricche nella jugoslavia, si ritira nella sua Velika Kladusa diventandone il leader militare (o criminale di guerra) e contrattando con serbo-bosniaci e croato-bosniaci una tregua separata, crea la regione Autonoma della Bosnia occidentale e nell’agosto nel ’95 una repubblica dalla vita breve (dieci giorni circa) opponendosi in questo modo al governo di Sarajevo e degli altri musulmano-bosniaci della Bosnia.

La fuga in Kraijna è dovuta quindi al timore che il V Corpo dell”Armjia, l’esercito dei musulmano-bosniaci entrando in città facesse giustizia sommario dei secessionisti e ne regolasse i conti in sospeso. A Kupljensko, la gente di Babo (è questo il soprannome con cui la sua gente lo chiama) arriva addirittura prima dell’esercito croato che, non sapendo che i serbi sono andati via, continua, quell’8 agosto, a sparare.

Un anno prima, sempre in estate, sempre senza status, "la gente di Abdic" era andata più lontano, a Turanj. L’anno prima a Turanj c’erano i serbi e c’erano, dunque, le regole fatte con loro. Poi con l’inverno, la gente era tornata indietro, "volontariamente". In seguito alla firma di Mr Abdic con il governo croato e quello bosniaco di un trattato che prevedeva il rientro della sua gente. Un ordine attuato immediatamente. Con l’accordo che gli uomini di Abdic avrebbero deposto le armi e sarebbe stato garantito il rispetto dei diritti umani. Le armi non furono però mai deposte.

Torniamo all’8 agosto del 1995. Mentre Abdic è ospite del Palace Hotel di Zagabria 21000 persone aspettano strette e controllate a vista dall’esercito croato. Per ben 12 giorni, in quell’estate del 1995, nell’improvvisato campo profughi verrà negato l’ingresso alle Organizzazioni Internazionali mentre l’UNHCR aspetterà per giorni davanti all’entrata formando un cordone di garanzia che impedirà all’esercito croato di attuare il rientro forzato e senza testimoni. Sempre alla fine di agosto la richiesta esplicita di Emma Bonino di aver accesso al campo e di visitarlo costringerà il governo croato ad alcune concessioni.

Le notizie che trapelano in Croazia su quanto sta avvenendo sono manipolate. Secondo i pochi servizi trasmessi, Kupljensko, luogo dov’è situato il campo improvvisato, sarebbe il regno dell’orrore dove almeno 6000 uomini malvagi, killer e violentatori – i miliziani di Abdic – vivono armati e tengono prigionieri donne, bambini e anziani impedendone il ritorno. Nessuno potrebbe entrare nel campo, chi lo fa rischia la vita, chi entra verrebbe derubato dell’auto e di ogni cosa.

Anche tra i profughi Bosniaci rifugiati a Rijeka la verità ha più facce. Nafka mi chiede di aiutarla a trovare suo fratello; Nenad, Zina e Daria cercano di dissuadermi arrabbiati, furibondi contro quelli che considerano i traditori della propria gente: "Loro hanno affamata Bihac" raccontano "Radio Kladusa iniziava le trasmissioni al grido Buongiorno, Bihac, cosa avete da mangiare oggi?!".

Decido di andare a vedere e partiamo con Nafka e Vlasta. Dopo quattro posti di blocco dell’esercito croato, superati con il nostro permesso speciale, la desolazione di Turanj, inesistente mucchio di pietre dietro il ponte di Karlovac, l’aria a Kuplensko sa di mosche e paura. In fila, stracciati, scalzi ma fermi, immobilizzati e scolpiti da rughe, gli uomini di Abdic hanno la faccia di chi non può tornare, di chi è soldato da troppo tempo e su troppi fronti.

Seconda parte, la storia

Fihret Abdic non è mai stato un uomo qualunque nella ex-Jugoslavia. Aveva anzi vinto le prime elezioni politiche libere della Bosnia-Erzegovina, rinunciando all’assunzione della carica di Presidente a tutto vantaggio di Alija Iztbegovic. Non solo: padrone dell’Agrokommerc, la più grande e strutturata impresa agro-alimentare del suo ex-paese era sopravvissuto agli scandali ed ai processi mantenendo intatta credibilità e reputazione.

Così nei giri di valzer dei piani di pace proposti dalla comunità internazionale aveva scelto di attuare quello denominato Vance-Owen (sulla regionalizzazione) e si era mosso sulla via delle riforme dichiarando la secessione dell’area di Kladusa aveva concordato una pace privata con i serbo-bosniaci e i serbo-croati dai quali era circondato. Naturalmente, da esperto politico, aveva agito attraverso il consenso della popolazione locale che, in un referendum (con una schiacciante maggioranza del 90% e passa), gli aveva espresso la propria fiducia. Che poi il generale dell’esercito bosniaco a Bihac fosse un integralista religioso del Sangiaccato il cui atteggiamento aveva creato una forte malcontento popolare, abilmente sfruttato e raccolto da Abdic, è cosa che non viene raccontata. Dunque, dopo un anno di lotta accanto ai fratelli musulmani, avviene l’inversione di rotta. Il tradimento è consumato e la guerra si fa ancora più feroce e particolarmente confusa: è la faida fra i bosniaci musulmani sul cui fronte diviso membri della stessa famiglia si combattono.

Almeno due i dati fondamentali: Abdic, o meglio "Babo" come viene chiamato dai suoi, detiene tutte le fonti di reddito e di sopravvivenza di una realtà chiusa ed isolata. Sempre grazie agli investimenti e alle fattorie-fabbriche di Babo, una regione interna e insignificante, diviene un centro di irradiazione di benessere economico. L’associazione fra benessere e Babo è normalmente presente nella mente di tutti. A Velika Kladusa vive una popolazione di commercianti. Persone, pragmatiche con una visione laica della religione.

Velika Kladusa

E così, la guerra complica le cose. Mentre la gente comune si trova a fronteggiare conflitti di lealtà verso fratelli, padri, mariti senza la possibilità di un reale spazio di gestione, un numero di soldati di professione, disposti per l’esercizio e il mantenimento del potere a tutto, il resto decidono le sorti di un’intera area, quella di Kladusa dove "il meglio" è rappresentato da un uomo che dentro la guerra ha avuto la capacità e il potere di stabilire tregue rispettate più che quelle delle stesse Nazioni Unite o dell’UNHCR.

Salvo a non trattarsi di leggende metropolitane, Abdic ha forniti (affittati) i camion per i rifornimenti umanitari a Bihac. Ha istituita una linea di autobus dalla Bosnia centrale alla Croatia, passando per la Krajna serba, alla modica cifra di 300 DM divisi equamente fra le tre parti. Profittatore o criminale di guerra, sicuramente un demagogo populista che ha catturato, conquistato e mantenuto il consenso.

Kupljensko rimane un caso emblematico della difficoltà dell’intervento umanitario, dei mille impasse politici, della difficoltà di svolgere un ruolo di mediazione e di difesa dei più elementari diritti umani in una situazione quella del dopo Oluja, in cui la regola e la legge sembravano lontane, remote a quanti euforici scorazzavano per i villaggi abbandonati su golf dai vetri oscurati, senza targhe facendo strage degli animali da cortile e dei cani abbandonati e randagi lungo le strade.

Parte Terza, sotto gli occhi di pochi

E’ strano come 21000 persone possano rimanere sotto gli occhi di pochi, come possano essere non ascoltate, o raccontate male. Ho visto Kuplijensko quando ancora lo chiamavo Vojnic, quando ancora non sapevo dei 23 Km dal confine bosniaco, quando non esisteva un ospedale da campo ma solo una tenda sotto la quale un medico spagnolo imprecava contro l’ospedale civile di Karlovac che non voleva accogliere un ragazzo di 12 anni con le gambe amputate che rischiava una cancrena.

Sempre quel giorno, l’entrata nord, croata, si era mostrata con un ambulatorio gestito da un medico militare armato. L’ospedale era un camion con 10 o 11 feriti. Non c’erano cure, da prestare, ma erano ricoverati! Più tardi l’ospedale di Karlovac ha preso ad accogliere i casi più gravi ma, una volta guariti, li ha mandati indietro in Bosnia anziché nel campo con i propri familiari, consegnandoli di fatto alla possibile vendetta degli ex-nemici.

A Kuplijensko non c’era acqua potabile, senza le autobotti della Croce Rossa o dell’UNHCR le epidemie erano là, pronte a scoppiare e diffondersi, a non limitarsi alla dissenteria o alla scabbia. Il diritto di visita ai parenti costava 100 vecchi marchi tedeschi ad ogni posto di blocco. Eppure, c’erano la bancarelle di frutta: banane peperoni, verdura, se non ricordo male, patate. C’erano anche le sigarette, la slivovica (grappa), qualche paio di scarpe usate, più tardi le giacche a vento o i jeans, anche preservativi, accendini e bombona-caramelle, burek caldo-vruce burek.

La situazione umanitaria del campo ad agosto era disastrosa. Mancava qualsiasi infrastruttura: case, fogne, acqua corrente. Non c’erano farmaci o altro materiale sanitario. Il presidio medico più vicino era a 40 Km ed era irraggiungibile per il divieto della polizia croata. All’interno del campo le poche forze organizzate dovevano combattere contro la sparizione e la vendita al mercato nero delle poche risorse disponibili (aiuti umanitari).

L’arresto di Abdic su Oslobodenje

Precaria la situazione di tutela dei diritti umani con ripetute violazioni del diritto di visita ai parenti, del diritto alla salute e alla sicurezza personale. Kupljensko è il luogo di un doppio assedio, quello visibile dei Croati di Tudjman che proteggono Babo e quello invisibile ma ben rappresentato dai bambini nei loro giochi di un gruppo armato che si fa scudo di civili e li utilizza come passaporto per la propria impunità.

C’era tutto, senza la presenza fondamentale della libertà. Dieci abitazioni rurali, contando le stalle, e in ognuna di queste abitazioni 50 persone forse di più. La gente si è costruita case di fango, terra, paglia, legno per le infrastrutture e plastica per l’impermeabilizzazione. Autobus, camion sono diventate case, il legno è stato reperito, a rischio delle gambe (mine), e del rimpatrio forzato. Chi più, chi meno, tutti, hanno tagliato, lavorato, trasformato. Le "case" si sono formate giorno per giorno, in un silenzio allertato.

Kupljensko è stata ferma, per 20 giorni, ha aspettato l’aiuto dall’esterno. Poi, anche "perchè Babo l’ha permesso" la macchina è partita. Inarrestabile. Sono sorti i 10 punti di distribuzione degli aiuti umanitari. Sono sorti i quartieri, le mahale, e al loro interno da tre a dieci sottoquartieri. Sono cresciuti, questo sotto la guida di MSF-H, i punti di assistenza sanitaria. Giorno dopo giorno sono state accatastate le riserve di legna per l’inverno.

Giorno dopo giorno, rallentato solamente dalla polizia speciale, il campo si è attrezzato, montando alcune "sale cinematografiche" alimentate dai motori delle auto, costruendo stufe, macellando carne e preparando insaccati, protestando contro le distribuzioni casuali, reclamando una maggiore e più concreta vicinanza delle ONG.

Il vero problema di Kupljiensko, quello che ha impedito la formazione di elenchi ufficiali delle persone rifugiate, quello che ha fatto decidere il governo croato alla mobilitazione di forze speciali è restato a lungo un AFFARE POLITICO. La gente di Kupljiensko non ha ottenuto il riconoscimento dello "STATUS DI PROFUGO". Riconoscimento richiesto attraverso la compilazione e la firma di 20.000 richieste. L’UNHCR non ha presentato, l’ammasso di questi fogli ai competenti uffici croati. La discrezionalità del riconoscimento, prerogativa del paese ospite, è stata assunta come ragione del "non possiamo fare di più".

Poi sono stati avviati i rimpatri sono rientrati tutti tranne i fedelissimi di Babo, circa 11.000 rifugiati, sono rientrati nei mesi di dicembre ’95 e gennaio ’96, a maggio ’96 ne erano rimasti circa 4500 ad attendere le elezioni. Gli ultimi a lasciare il campo, spostato in una zona più sicura, i fedelissimi a cui Babo aveva promesso che non sarebbero tornati a Kladusa. Nel 2001* Babo è stato processato e condannato in Croazia a 20 anni per la morte di civili e il loro internamento in quanto oppositori della sua Regione Autonoma. Velika Kladusa fa parte di un cantone in crisi l’Una-Sana a rigida guida SDA. L’Agrokomerc, la grande fabbrica alimentare che ha fatto la fortuna di Abdic aspetta sovvenzioni statali, di tanto in tanto articoli sui giornali ricordano il tradimento di Abdic, il suo collaborazionismo con i nemici (sia Serbi che Croati), la presenza degli Scorpioni il corpo paramilitare serbo a Velika Kladusa durante la guerra.

* Dopo la sconfitta, inflitta nel 1995 dall’esercito bosniaco alle sue milizie, alleate delle forze serbe e anche di quelle croate, Abdic si e’ rifugiato in Croazia, a Fiume, avendo ottenuto nel frattempo la cittadinanza croata, e sotto la protezione dell’allora governo nazionalista del presidente Franjo Tudjman. Nel 1996 le autorita’ bosniache hanno formalizzato per Abdic un atto d’accusa per crimini di guerra ai danni di oltre cinque mila detenuti nei campi intorno a velika Kladusa chiedendo l’estradizione alla Croazia. Nonostante il Tribunale penale internazionale dell’Aja avesse autorizzato le autorita’ bosniache a giudicare Abdic e un mandato di cattura internazionale emesso dall’Interpol, la Croazia non l’ha mai consegnato. A seguito dell’accordo bilaterale sulle procedure in materia penale le autorita’ bosniache hanno rinunciato alla richiesta di estradizione ed hanno inoltrato la documentazione relativa alla procura di Fiume, in base alla quale Abdic e’ stato incriminato. Il procuratore Drago Marincel ha dichiarato che Abdic e’ ritenuto responsabile della morte di 121 civili e 3 prigionieri di guerra, e di torture e maltrattamenti di oltre 400 civili. (ANSA)

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