Tipologia: Notizia

Tag: Rifugiati

Area: Montenegro

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Essere profughi e sfollati in Montenegro

Come vivono i profughi e gli sfollati in Montenegro? Quali sono le prese di posizione istituzionali e ufficiali su questo argomento? Quanti profughi e sfollati vivono nel paese? A queste domande risponde una indagine curata dalla nostra corrispondente.

11/02/2003, Redazione -

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La situazione in cifre
"Al momento il Montenegro si trova in una situazione non favorevole, per il fatto che molte organizzazioni internazionali se ne stanno andando, mentre c’è ancora bisogno delle attività umanitarie, specialmente nelle questioni che riguardano i profughi e gli sfollati. Le organizzazioni internazionali che sono ancora presenti si trovano nella terza fase della loro missione. La prima fase consisteva nell’aiuto per i beni di prima necessità – l’alloggio, il cibo e le altre cose elementari per la sopravivenza delle persone che a causa della guerra hanno dovuto lasciare le loro abitazioni. La seconda fase consisteva in progetti orientati a migliorare e promuovere la posizione di queste persone in quanto dopo essere rimasti senza casa, sono diventati una categoria vulnerabile. Anche questa fase è terminata o sta per finire. Gli investimenti, i progetti che rimangono con validità duratura, anzichè emergenza, rappresentano la terza fase. Riguardo ai profughi e gli sfollati, la terza fase si compone dell’aiuto concreto all’avvio dello small business e del processo di rientro delle persone e della restituzione delle loro proprietà.

Nel frattempo però si è presentato il problema dei centri collettivi. Le persone che da anni li abitavano, adesso devono andarsene via anche se è chiaro che non hanno posti dove andare. Questa appare come una delle questioni più prioritarie da risolvere per evitare la crisi dei profughi. Tutto ciò accade, come ho già detto, nel momento in cui l’aiuto umanitario sta diminuendo, e tante organizzazioni stanno lasciando il paese. Così è chiaro che i profughi sono le principali vittime della situazione politica creatasi dall’inizio del conflitto fino ad ora, che le guerre e i conflitti non esistono più." (1)
Il Montenegro ha accettato e ha offerto alloggio ai profughi ed agli sfollati dopo ogni conflitto che è capitato nella regione come conseguenza della disintegrazione dell’ex Jugoslavia, cominciata nel 1990. In certi periodi il numero degli sfollati aumentava la popolazione del 20%, ciò richiedeva grandi impegni e obblighi da parte delle istituzioni responsabili per assicurare i servizi sociali (sanità, formazione) e l’alloggio, e creava problemi agli equilibri etnici nella repubblica. Questi, insieme, corrispondono al 6,91% della popolazione del Montenegro.

Secondo le indagini condotte dall’UNHCR e dal Commissariato per i profughi, tre quarti dei profughi dichiarano che sono serbi, mentre 12,7% si dichiarano come montenegrini. 4,6% sono mussulmani ed in genere sono concentrati nelle aree popoliate dai mussulmani. La maggioranza dei profughi abita per conto suo, sia in casa propria (17%), sia in appartamenti e case in affitto (40%), sia presso parenti (19%). Il resto abita in centri collettivi (9%), o nelle cosiddette colonie familiari – porodicna naselja (12%). Il tipo di alloggio spesso dipende dalla possibilità di avere un lavoro, che varia nelle diverse zone del Montenegro. A Andrijevica (nel nord), ad esempio, il 72,97% dei profughi abita presso parenti o amici, a Podgorica (nel centro) il 50,58% affitta la casa, mentre a Herceg Novi (sul mare) il 31,5% abita in propri appartamenti o case.(4) Le municipalità del nord sono meno sviluppate ed offrono poche possibilità di impiego.

Con l’arrivo dei profughi in Montenegro è stato costituito il sistema dei centri collettivi, per i quali vengono usati edifici commerciali privati o semiprivati (di solito alberghi e centri di ricreazione). Ci sono centri collettivi ufficiali, che hanno il contratto con il Commissariato per i rifugiati del Montenegro, e quelli non ufficiali, che sono occupati in maggioranza dai profughi (54,72%). Le cosiddette colonie familiari sono costruite con l’aiuto dell’ UNHCR con lo scopo di facilitare l’integrazione locale dei profughi.
Riguardo gli IDPs (sfollati interni), 33,2% di loro sono montenegrini, 25,7% Rom (Rom ed Egiziani) e 21,8% sono Serbi. Gli Albanesi che erano venuti in Montenegro durante la guerra del Kossovo, o sono ritornati o sono andati in altri paesi.
L’80% degli IDPs abita fuori dai centri collettivi, cioè da parenti, amici o nelle case affittate. Il 12% abita nei centri collettivi, mentre il 4% abita nei cosiddetti self-managed settlements. Queste sono baracche di legno, costruite con aiuto delle ONG internazionali, con l’idea di fare in modo che il sostentamento ed il mantenimento sia di responsabilità degli IDPs. Queste costruzioni sono collocate su proprietà municipali e gli IDPs pagano il costo dei servizi comunali (acqua, elettricità…). (5)

I centri collettivi non ufficiali sono più comuni per gli IDPs che per i profughi della Bosnia e della Croazia. Di solito si tratta di centri ricreativi sul lungo mare che sono proprietà delle imprese serbe e sono dedicate ai loro lavoratori. Proprio per questo, nell’ultimo anno, sono accaduti due o tre casi di allontanamento degli IDPs da alcuni posti. Il caso di ‘Kamenovo’ ha interessato l’attenzione pubblica nel luglio scorso quando la polizia intendeva cacciare gli abitanti di questo centro. Alla fine questo non è successo perché una signora ha minacciato di darsi fuoco. I media hanno descritto tutta l’azione come piuttosto violenta. I politici e le organizzazioni internazionali si sono tenuti fuori da questa storia. Alla richiesta ad UNHCR del perchè non voleva intervenire nel caso Kamenovo, Robert Breen, capo dell’UNHCR in Montenegro, ha commentato che sarebbe normale che qualcuno lo cacciasse se avesse colonizzato la casa di qualcun altro. Anche le autorità montenegrine non volevano essere coinvolte in questo caso ed hanno commentato che la responsabilità è delle autorità serbe, che hanno autorizzato gli IDPs a usare la proprietà di una certa compagnia serba.
Nell’ultimo periodo un problema analogo sta accadendo anche con i centri collettivi, perché i contratti conclusi tra il Commissariato dei rifugiati ed i padroni delle proprietà private stanno scadendo, mentre i profughi e gli IDPs non hanno un posto dove andare e le istituzioni responsabili non hanno i soldi per trovare una soluzione.

Nei centri collettivi
Cercando di capire meglio la situazione vera dei profughi e degli IDPs in Montenegro, sono andata al centro collettivo ‘Vrela Ribnicka’ a Podgorica, dove abitano i Rom del Kosovo. Sono stata accompagnata dai rappresentanti dell’UNHCR e di INTERSOS, e perciò sono subito stata assalita dagli ospiti locali, bambini e adulti, con le loro richieste. Non chiedevano molto, parlavano delle cose che non funzionano nelle loro piccole baracche di legno. Ho parlato con un certo Milos Stanojevic, un uomo che da poco era tornato in Kosovo, ma non si era trovato bene e perciò aveva deciso di ritornare in Montenegro, dove nel frattempo il suo alloggio era già stato assegnato a qualcun altro. Volevo sapere perché non si è fermato lì, in Kosovo. Mi ha detto che non ha più la sua casa e che sarebbe dovuto rimanere a casa dei parenti. In più mi ha detto che non sapeva cosa fare, perché nel nuovo ambiente non è facile trovare alcun tipo di lavoro. Milos si aspettava che lì le organizzazioni internazionali lo aiutassero materialmente, ma non gli hanno offerto niente, e perciò ha deciso di tornare in Montenegro, dove ancora, anche se meno di prima, ci sono donazioni della comunità internazionale.
Dopo aver parlato con lui ho attraversato la strada per visitare una colonia familiare, dove abitano 665 persone (175 famiglie) della Bosnia e della Croazia. Questo posto lo conoscevo già da prima, perché ci sono dei miei parenti che sono lì da 7 anni. Sono una famiglia di quattro membri ed hanno una camera con quattro letti e la cucina, un piccolo corridoio ed il bagno. Non ci sono problemi igienici nelle case, ma vicino c’è una discarica. Questa volta ho parlato con il coordinatore del campo, Radoslav Jovanovic, che è responsabile per il mantenimento di altri tre centri collettivi a Danilovgrad, Kolasin e Pljevlja. Questo significa che ogni tanto va in questi centri per vedere se tutto funziona bene, e se ci sono problemi si rivolge alle autorità competenti. Secondo lui la maggioranza dei profughi che abitano in quelle colonie non ha più voglia di ritornare. Alcuni sono tornati in Bosnia, ma solo i più anziani, mentre i giovani dopo aver studiato in Montenegro hanno deciso di fermarsi. La cosa che li preoccupa di più è la restituzione delle loro proprietà e la questione della cittadinanza che non gli permette trovare un lavoro in regola. Mi ha parlato anche del problema degli appartamenti, che sono troppo stretti e che il posto è abbastanza distante dal centro. "È chiaro che quasi tutti noi abbiamo scelto, o meglio, siamo stati costretti a rimanere in Montenegro, e perciò c’è la priorità di concentrarsi sul problema dell’integrazione. I profughi vorrebbero che le autorità destinassero i fondi delle organizzazioni internazionali per un alloggio più comodo, oppure per assicurare i posti di lavoro, ma questo finora non è mai accaduto", ha concluso Jovanovic.

Il terzo centro collettivo che ho visitato insieme con i rappresentanti dell’UNHCR che andavano lì per portare coperte, si trova a Danilovgrad. Vi abitano 72 persone, gli IDPs del Kosovo, di nazionalità montenegrina e serba. Si tratta dell’ex palazzo amministrativo della fallita fabbrica di appartamenti, che adesso è proprietà dell’impresa ‘Gorica’ di Podgorica. Il proprietario ha il contratto con il Commissariato per i profughi che paga l’affitto e l’elettricità. Il palazzo è abbastanza trascurato, e le condizioni igieniche ad un livello bassissimo. La gente è ovviamente disperata per il fatto che le condizioni per il ritorno alle loro abitazioni attualmente non esistono per niente. E lì, in quel centro, sono veramente distanti dalla vita quotidiana, dalla gente locale, e cosi l’eventuale integrazione sarà difficile quasi quanto il ritorno.
IDPs, cittadinanza, diritti
Gli IDPs non hanno il problema della cittadinanza, perché loro sono residenti in Serbia, ma alcuni diritti sono garantiti dalla Costituzione del Montenegro solo per i residenti. Così per esempio gli IDPs non hanno la copertura per i servizi sanitari come i residenti del Montenegro. Un’altra cosa per cui sono molto diversi dai profughi è il desiderio del ritorno. Questo i profughi lo hanno ormai perso, e sono più preocupati per l’integrazione e la restituzione delle proprietà. Per tanti IDPs invece questo desiderio è ancora prioritario.

Per sapere la posizione ufficiale delle autorità montenegrine ho parlato col Signor Scepanovic, il Commissario per i profughi del Montenegro. Il Signor Scepanovic è la prima persona del Commissariato per i profughi, una figura che, secondo il decreto del Governo, è responsabile dei seguenti aspetti:
– Sostentamento dei profughi e degli sfollati
– Protezione sia fisica sia sociale dei profughi e degli sfollati

"Da anni l’UNHCR e le altre organizzazioni internazionali responsabili per le questioni dei profughi sostengono che bisogna trovare una soluzione permanente, cioè il ritorno o il trasferimento in terzi paesi. L’ultima soluzione e la meno favorevole per i profughi è l’integrazione nell’ambiente locale. Le prime due soluzioni in sostanza sono marginali. Il ritorno quasi non c’è, tornano solo gli anziani, il trasferimento in paesi terzi è da tanto che non si pratica. È rimasta soltanto l’integrazione. Noi purtroppo non siamo in grado di supportarla. Principalmente perché non abbiamo i soldi e le organizzazioni internazionali che finora ci aiutavano ad occuparci dei problemi relativi ai profughi e agli sfollati, stanno andando via. D’altra parte c’è il problema della cittadinanza, nel senso che i profughi non hanno i requisiti base per l’acquisizione della cittadinanza montenegrina, perché il diritto di fare domanda per la cittadinanza lo hanno solo le persone che hanno almeno cinque anni di residenza permanente in Montenegro, mentre secondo il Decreto del Governo sul sostentamento delle persone rifugiate, approvato nel 1992 e ancora in vigore, queste persone ufficialmente sono sostentate e risiedono solo temporaneamente in Montenegro. Con gli accordi di pace internazionali, firmati nella regione, è stato confermato il loro diritto di tornare nei paesi dai quali provengono e l’obbligo dei rispettivi stati di cittadinanza di creare le condizioni per il loro ritorno.
Le organizzazioni internazionali, l’UNHCR per esempio, obiettano che riguardo al problema della cittadinanza, il Montenegro preferisce mantenere lo status quo. Insistono sul fatto che si cambi la Legge sulla cittadinanza. Un po’ di tempo fa abbiamo organizzato insieme una tavola rotonda dove si discuteva di come adattare la legge attuale in un quadro del Documento costituzionale, in modo di aiutare i profughi. La posizione della comunità internazionale è che il Montenegro conceda la cittadinanza ai profughi, mentre le organizzazioni internazionali aiutano i programmi di sviluppo. Secondo me questo non risolverà la questione dei profughi. Anzi, in breve tempo questo porterà a cambiamenti in peggio, perché le donazioni dirette diminuiranno, mentre quelle indirette reagiscono lentamente e i loro effetti diventano visibili soltanto dopo un lungo periodo. Quindi la situazione diventerà peggiore di quella di cinque anni fa. Per questo motivo, considera Scepanovic, sarebbe meglio avere un’azione concreta. Per esempio trovare un investitore che permettesse l’apertura di nuovi posti di lavoro per i profughi, oppure la costruzione di spazio addizionale nelle scuole".

Parlando con Robert Breen, direttore dell’UNHCR per il Montenegro, ho saputo che era molto contento del rapporto con le autorità montenegrine, specialmente nel periodo della crisi umanitaria, quando tantissime persone sono entrate in Montenegro. Breen puntualizza sul fatto che riguardo i servizi sociali e la formazione i profughi hanno gli stessi diritti dei cittadini montenegrini, mentre le possibilità di impiego nelle istituzioni statali non sono consentite a coloro che non hanno la cittadinanza. Riguardo alla questione della cittadinanza, il signor Breen considera che le autorità pretendono di mantenere lo status quo al momento, mentre la comunità internazionale insiste che ciò si risolva per permettere ai profughi di avere la stessa posizione della gente locale, per esempio nell’ambito dell’occupazione.
Il 29 gennaio il parlamento federale ha approvato l’accordo tra Bosnia e FRY sulla doppia cittadinanza, firmato a Sarajevo 15 giorni prima. Per sapere come questo potrebbe riguardare la posizione dei profughi senza la cittadinanza montenegrina, ho contattato Nada Stijepovic-Cirkinagic, editore di "Vrela", pubblicazione dedicata ai profughi e agli sfollati in Montenegro, che mi è stata molto d’aiuto in questa ricerca, illustrandomi la situazione e rendendomi disponibili tutti i numeri di "Vrela".

"Questo non cambia niente al momento, perché la legge sulla cittadinanza in vigore in Montenegro, è quella del Montenegro, e non quella federale. Questo permetterà ai profughi che sono in Serbia di avere la cittadinanza, se non la hanno ancora ricevuta, ma per noi qui non vedo ancora nessun miglioramento. Questo avrà effetto in Serbia, e magari un giorno in Montenegro, se questo sarà deciso che venga regolato a livello federale nella nuova Unione di Serbia e Montenegro. Ero presente alla tavola rotonda organizzata a ottobre a Podgorica sulla cittadinanza. Ricordo che il commissario Scepanovic spiegava alla comunità internazionale che per il Montenegro sarebbe un grande carico accettare i profughi e gli sfollati senza cittadinanza come cittadini propri, perché questo aumenterebbe la popolazione del 7%. Sono rimasta stupita che nessuno dei presenti non si sia chiesto come mai gli sfollati hanno lo stesso problema, quando sono cittadini della Jugoslavia. Non so se hanno capito questa piccola finta di Signor Scepanovic, che usa spesso davanti i donatori. Quelli che sono veramente senza cittadinanza sono circa 9 mila profughi di Bosnia e Croazia e questo sarebbe solo l’1,5% della popolazione montenegrina. Si tratta proprio di una farsa: nessuno, tra le autorità locali e la comunità internazionale, vuole spendere di più per noi". Ha concluso Nada Stijepovic-Cirkinagic, che è di Sarajevo ed una dei profughi che non ha ancora acquisito la cittadinanza.
note

(1) "Vrela"’ giornale dedicato ai profughi ed agli sfollati in montenegro, intervista con JUAN JOSE CORDERO SANZ, direttore di MPDL in Montenegro, organizzazione umanitaria di Spagna.
(2) "Census of refugees and internally displaced persons in Montenegro", United Nations High Commissioner for Refugees and Commissariat for Displaced Persons (Marzo 2002).
(3) Fonte: Il Commissariato per i rifugiati del Montenegro ed UNHCR.
(4)Questo anche perché molti profughi che provengono dalla Bosnia avevano gia una casa di vacanza sul litorale montenegrino.
(5) Le percentuali che riguardano la nazionalità e il tipo di alloggio sono tratte dal "Census of refugees and internally displaced persons in Montenegro", United Nations High Commissioner for Refugees and Commissariat for Displaced Persons. (Marzo 2002)

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