Economia e status, sfatare un mito
In Kosovo, anche una volta risolta la questione dello status, sviluppo economico ed investimenti esteri non saranno automatici, ma arriveranno solo attraverso una politica attiva, che fino ad oggi è del tutto mancata. Un’intervista con Safet Gerxhaliu, della Camera di Commercio del Kosovo
Safet Gerxhaliu, economista specializzato in commercio internazionale, ha collaborato in passato con il governo provvisorio del Kosovo. Oggi è il direttore dell’Ufficio per gli Affari Economici Internazionali della Camera di Commercio del Kosovo, con sede a Pristina.
In Kosovo quanto si è riusciti a creare una economia di mercato matura?
Questa, secondo me, è la questione centrale in questo momento. Il Kosovo, da questo punto di vista è rimasto indietro per molti, comprensibili motivi. Il problema è che ancora non si è entrati nell’ottica di prepararsi ad affrontare le molte sfide che ci aspettano nel futuro. Oggi è necessario concentrarsi sullo sviluppo economico, perché è impossibile gettare le basi si una stabilizzazione politica nei Balcani, ma soprattutto in Kosovo, senza sviluppo. Il primo problema da affrontare è l’altissimo tasso di disoccupazione e, al tempo stesso rimettere in moto il sistema produttivo. Oggi oltre il 90% dei prodotti consumati in Kosovo vengono importati. E’ tempo di importare know-how, per preparare i nostri imprenditori a lavorare in un’economia internazionalizzata. Siamo davvero lontani da un livello accettabile di integrazione economica: il Kosovo è ormai aperto ai prodotti provenienti dall’esterno, ma per i nostri, anche in prospettiva, gli sbocchi rimangono pochi.
Quali sono le sfide da vincere per l’economia del Kosovo? Quali passi andrebbero fatti con maggiore urgenza?
Il primo passo da fare è lavorare alla realizzazione e al miglioramento delle infrastrutture di base, dalle strade all’energia. L’altro campo in cui lavorare a ritmi serrati è l’implementazione della legislazione in campo economico. A livello formale questa è già armonizzata con quella dell’Unione Europea, ma se andiamo a vedere come viene applicata, ci si accorge che tantissimo deve essere ancora fatto. Si arriva al paradosso per cui, volendo rispettare a pieno le direttive europee, ad esempio nel settore dell’energia e delle miniere, buona parte delle attività in questo settore in Kosovo andrebbe chiusa. Dobbiamo poi cercare di armonizzare la nostra politica fiscale con quella degli altri paesi della regione. Prendiamo l’imposta sugli utili aziendali, che oggi in Kosovo è superiore a quella dei paesi limitrofi. Questo scoraggia fortemente gli investimenti esteri. Bisogna sfatare molti miti: la gente deve capire che, anche risolto il problema dello status, nessuno verrà ad investire in Kosovo perché ci ama, ma solo se ci saranno opportunità serie di profitto e di sviluppo.
Ma qual è oggi il livello di investimenti esteri in Kosovo?
Durante il processo di privatizzazione si sono create le condizioni per investimenti interessanti, come quello dell’industria metallurgica "Ferronikeli", acquistata l’anno scorso per circa 30 milioni di euro da parte della Intenational Mineral Resources/ Alferon. Nel complesso, però, non ci sono ragioni di essere particolarmente soddisfatti. La scarsità di investimenti esteri diretti è un problema per l’intera regione dei Balcani, ma in Kosovo assume forme ancora più gravi.
Siamo in campagna elettorale. Pensa che i temi economici saranno marginalizzati dalla questione dello status?
Il futuro del Kosovo risiede nella sua capacità di sviluppare l’economia. Non contesto i politici che si occupano di questioni territoriali e strategiche, ma credo che non sia accettabile che tutti si occupino soltanto di questo, e che tutto il resto venga tralasciato, come fa attualmente il governo. Inoltre, bisogna dire che è fin troppo facile manipolare l’opinione pubblica attraverso i temi legati allo status, nascondendo le proprie responsabilità e incapacità di affrontare i problemi della società, anche perché tutti sappiamo che lo status non si decide né a Pristina né a Belgrado. Stiamo perdendo tempo prezioso, e dovremmo concentrarci sui problemi economici e sociali, e nella costruzione di buoni rapporti con i paesi vicini. Lavorare seriamente in questi settori significa portare un contributo sostanziale anche alla questione dello status.
I media, in Kosovo, fanno abbastanza per portare alla luce i problemi legati allo sviluppo economico?
Non siamo soddisfatti del lavoro dei media in questo campo. I media kosovari sono molto attivi, ma mancano di professionisti competenti, e non solo per quanto riguarda l’economia. Il loro ruolo dovrebbe essere quello di provocare il dibattito, e invece troppo spesso si limitano a fare da portavoce del potere, limitandosi a fare la cronaca degli eventi legati all’attività del governo. Quello che manca è un giornalismo di indagine e approfondimento, in grado di portare l’attenzione sui problemi reali della popolazione.
L’economia, per svilupparsi, ha bisogno innanzitutto di un’amministrazione efficiente. Qual è il vostro giudizio sul quella che si è venuta a creare in Kosovo in questi anni?
Anche in questo caso ci sono molti problemi che rimangono irrisolti. A quasi dieci anni dalla fine del conflitto, non è stata creata alcuna vera strategia di sviluppo economico per il Kosovo. Si spendono molti soldi senza un’idea precisa della direzione da prendere. L’inizio del nuovo governo Ceku sembrava promettente, grazie alle promesse di focalizzare gli sforzi su economia, energia e istruzione. Queste promesse si sono presto rivelate solo parole vuote, e ogni fallimento, naturalmente viene giustificato con la questione dello status. Io credo, invece, che formare un’amministrazione competente sia una priorità assoluta. Si illude chi crede che con la soluzione dello status il Kosovo sarà sommerso d’oro. L’Ue finanzierà soltanto progetti economici innovativi e sostenibili, e solo con amministratori competenti saremo in grado di proporre tali progetti.
Siete soddisfatti del sistema bancario e creditizio creato in Kosovo?
Assolutamente no. Oggi larga parte degli imprenditori attivi in Kosovo lavora innanzitutto per pagare le banche a cui ha chiesto prestiti, di solito a breve periodo, visto che i tassi di interesse sono i più alti in Europa. Sulla carta la Central Banking Authority dovrebbe vigilare, ma in realtà questo organismo viene gestito come una vera e propria banca privata, gestita da personale forse in grado di parlare inglese, ma impreparato dal punto di vista economico e quindi facilmente manipolabile.
In Kosovo esiste una doppia amministrazione, locale ed internazionale. Questo provoca problemi nella progettazione economica? Chi controlla oggi questo settore?
Non esiste un problema di doppia amministrazione, almeno nella politica economica, visto che questa viene gestita e controllata quasi esclusivamente dal governo locale. Il problema piuttosto è che la politicizzazione del settore è così forte che ai posti chiave vengono inserite persone poco o per nulla competenti. L’attuale ministro dell’Energia Ethem Ceku, così come quello per il Commercio e l’industria, Bujar Dugolli, sono laureati in storia. Non credo che abbiamo abbastanza tempo per imparare e governare insieme.
Le statistiche ufficiali parlano di un rapido aumento delle imprese registrate in Kosovo. E’ questo un dato positivo?
Le statistiche sono largamente falsate, e la crescita numerica delle imprese registrate è dovuta principalmente al fatto che in Kosovo creare una nuova impresa è estremamente facile, e non comporta spese. Per capire quante siano le imprese attive non bisogna guardare il numero di quelle registrate, ma di quelle che pagano le tasse a fine anno, e che sono drasticamente di meno. La realtà è che gran parte dell’economia è in nero. Un recente studio dell’UNDP ha calcolato che quest’economia che sfugge ai controlli vale almeno 1,2 miliardi di euro.
Esiste il pericolo di un’eccessiva concentrazione economica intorno a Pristina, e di uno squilibrio tra centro e periferia?
No, direi di no. Anche se molte delle attività che riguardano la vita economica si stanno spostando a Pristina, il Kosovo è troppo piccolo per assistere alla nascita di significativi squilibri tra le sue varie zone.
Quali sono i settori economici attualmente più attraenti in Kosovo, e quali potrebbero essere sviluppati con successo in futuro?
In questi ultimi anni, i settori che hanno attirato maggiore attenzione sono quelli dell’industria del legno, di quella dei metalli e della produzione agro-alimentare, settori che hanno certamente ancora margini di sviluppo. Per il futuro credo che, tenuto conto della presenza di una popolazione molto giovane ed entusiasta verso l’apprendimento delle lingue straniere, un settore di possibile sviluppo potrebbe essere quello delle tecnologie informatiche, soprattutto per quanto riguarda la produzione di software. Un settore che potrebbe sicuramente rivelarsi importante, infine, è quello dell’estrazione mineraria e della produzione energetica.
A questo proposito, qual è la sua opinione sul progetto di realizzazione della centrale "Kosovo C"?
Non sono convinto che sia il miglior approccio alla questione energetica. Credo che la costruzione di un’opera così gigantesca, che dovrebbe assorbire investimenti per 3,5 miliardi di dollari, porti con sè numerosi rischi, tra cui, non per ultimo, quello dell’impatto ambientale. Credo che si possano trovare soluzioni alternative e più funzionali.
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