Diplomazie contro
Sull’invito alla Macedonia ad aderire alla Nato, che dovrebbe essere formalizzato nei prossimi giorni, pesa la minaccia greca di veto, se non si dovesse giungere prima ad una soluzione alla questione del nome. I tempi stringono, le posizioni rimangono distanti e un accordo sembra lontano
Il prossimo 6 marzo, la Nato dovrebbe rendere ufficiale l’invito ai tre paesi del "Gruppo Adriatico", Albania, Croazia e Macedonia, ad entrare nell’Alleanza Atlantica. L’invito dovrebbe poi essere definitivamente approvato durante il summit previsto a Bucarest ad inizio aprile.
Ma se la strada di avvicinamento di Albania e Croazia sembra senza ostacoli, la Macedonia ne deve affrontare uno molto spinoso. La Grecia ha minacciato di utilizzare il suo diritto di veto sull’ingresso della Macedonia, se prima del summit non verrà risolta l’ormai annosa questione del nome del suo piccolo vicino settentrionale. E se nel passato la volontà di Atene di arrivare al veto poteva essere messa in dubbio (sarebbe un precedente unico nella storia della Nato), oggi la cosa sembra certa, viste le reiterate dichiarazioni greche in questa direzione.
La settimana scorsa è stata segnata da una frenetica attività diplomatica, promossa soprattutto dagli Stati Uniti, che vedono l’ingresso della Macedonia nella Nato come parte del proprio piano di sistemazione dei Balcani. Il segretario di Stato, Condoleezza Rice, ha avuto colloqui con i ministri degli Esteri macedone e greco; l’inviato dell’Onu, Matthew Nimitz, ancora una volta su invito degli Usa, ha redatto una nuova lista di proposte per raggiungere un nome accettabile per entrambi i contendenti, proposte poi discusse lo scorso 29 febbraio a New York da parte delle delegazioni negoziali.
Sia il governo macedone che quello greco hanno in patria il pieno supporto alla propria posizione anche da parte dell’opposizione, e nessuno dei due paesi mostra segni di cedimento.
Il 27 febbraio, una manifestazione di protesta tenuta al centro di Skopje sotto lo slogan della preservazione dell’identità nazionale, si è trasformata in guerriglia quando un gruppo di dimostranti ha deciso di dirigersi verso l’ambasciata greca (tecnicamente solo un liason office, visto che i due paesi non si sono mai scambiati ambasciatori). Fortunatamente, la polizia aveva previsto questa possibilità, ed è riuscita a fermare la folla a distanza di sicurezza. Il bilancio della giornata è stato "solo" di alcune macchine della polizia distrutte, qualche testa rotta e alcuni fermi, oltre ad una ridda di accuse reciproche tra governo e opposizione, il giorno successivo, in parlamento, su chi era responsabile di aver "orchestrato" gli incidenti.
Anche in Grecia si preparano manifestazioni di protesta. Le due più grandi sono previste per il 5 marzo, alla vigilia della riunione ministeriale della Nato che dovrebbe decidere sugli inviti all’adesione.
L’ultima proposta di Nimitz, rimasta inaccessibile al pubblico, gioca su aggettivi come "democratica", "sovrana", "nuova", "costituzionale", e così via, da aggiungere al nome "Repubblica di Macedonia". Contiene però, inoltre, ulteriori disposizioni che restringono la possibilità d’uso dell’aggetivo "macedone" (ad esempio nelle espressioni "lingua macedone", "cultura macedone", "identità macedone", o scendendo in campi meno seriosi come quello culinario, di "macedonia di frutta") fatto che, secondo i negoziatori di Skopje, la rende meno accettabile di altre già fatte nel passato.
Anche se i media sono stati tenuti lontano dall’ultimo round di negoziati (con la stampa greca comunque più abile nell’ottenere i documenti ad esso relativi), alcuni quotidiani hanno speculato sul fatto che il governo macedone abbia inviato i propri negoziatori a New York col mandato di non cedere di molto dalla tradizionale posizione di Skopje sulla disputa.
La questione del nome in questi anni è rimasta a lungo congelata, e raramente negli ultimi dodici anni ha provocato forti reazioni emotive. Per un attimo, c’è stata l’illusione che "tenerla in frigorifero" sarebbe stato sufficiente a risolverla. Oggi però è riemersa, più spinosa che mai, e mentre i governi di entrambi i paesi affrontano non poche difficoltà, i sentimenti nazionalisti sembrano prendere il sopravvento.
La Macedonia rischia di perdere il treno della Nato, anche se, a detta di tutti, ha già raggiunto gli standard necessari per poter entrare nell’Alleanza. Il paese, sostengono i funzionari di Skopje, già opera come membro de facto della Nato, invia truppe all’estero e ha reso le proprie risorse disponibili agli alleati.
La Grecia, d’altra parte, rischia un pesante isolamento internazionale. Si è già attirata il risentimento degli Usa per aver più volte contrastato le iniziative americane nell’area balcanica. La posizione irremovibile di Atene sulla questione del nome, che a paesi non familiari con l’ossessione balcanica per la storia potrebbe sembrare infantile, non le assicura un grande appoggio nemmeno all’interno dell’Ue. Il 27 febbraio il parlamento europeo ha adottato una risoluzione con la quale si invita la Grecia a non ostacolare l’integrazione internazionale della Macedonia.
Secondo la stampa greca, Washington avrebbe fatto tre richieste precise ad Atene: non ostacolare ulteriormente l’accesso della Macedonia nella Nato, riconoscere il Kosovo (la Grecia, tradizionale alleato della Serbia, ha espresso la sua volontà di non farlo), ed inviare più truppe in Afghanistan.
Alcune voci, ultimamente, parlano di una Grecia disposta a riconoscere il Kosovo, ma solo nel caso in cui i paesi occidentali siano disposti a supportare Atene nella sua disputa con Skopje.
Alla fine della scorsa settimana, gli Usa sembravano piuttosto pessimisti sulla possibilità di arrivare ad una soluzione di compromesso prima del 6 marzo. Il dipartimento di Stato ha dichiarato che i due paesi sembrano ancora molto lontani da un accordo.
Secondo i media, Condoleezza Rice potrebbe invitare i primi ministri di Grecia e Macedonia a Washington, in un ultimo tentativo di sbloccare la situazione. Alcuni giornali, in Macedonia, hanno già scritto di una "piccola Dayton".
Un’altra possibilità di cui parla la stampa è quella di un "biglietto d’invito collettivo" da parte della Nato per i tre i paesi del Gruppo Adriatico, escamotage che rappresenterebbe un ostacolo tecnico-procedurale frapposto alla Grecia per impedirle di utilizzare il veto. Sembra però improbabile che, rimanendo nella metafora, un espediente di questo tipo possa impedire ad uno dei padroni di casa di mettere alla porta l’ospite sgradito.
Al momento, le ultime speranze risiedono nella capacità degli Stati Uniti di costringere i contendenti a un accordo dell’ultimo minuto. Un accordo che non significa soluzione definitiva alla disputa: è la Grecia ad insistere che la questione venga risolta entro il summit di Bucarest. Per tutti gli altri, Skopje inclusa, la Macedonia può entrare nella Nato sotto lo stesso nome con cui è stata accettata nell’Onu e in tutta una serie di organizzazioni internazionali: come "ex" e ancora "yugoslava" "Repubblica di Macedonia" (FYROM).
Questo, insieme agli impegni presi dalla Grecia nell’accordo bilaterale temporaneo sottoscritto con la Macedonia nel 1995, che segnò la fine dell’embargo greco verso il proprio vicino settentrionale, accordo col quale Atene si impegnava a non ostacolare l’integrazione macedone nelle strutture internazionali, lasciano pensare che i motivi di frizione, stavolta, vengano soprattutto da parte greca.
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