Tipologia: Notizia

Tag:

Area: Serbia

Categoria:

Danilo Kiš, la memoria del numero 2071

50 anni fa veniva pubblicato il Salmo 44, romanzo d’esordio del giovane Danilo Kiš. Un omaggio al grande scrittore jugoslavo nella giornata della memoria delle vittime dell’Olocausto

27/01/2012, Božidar Stanišić -

Danilo-Kis-la-memoria-del-numero-2071

Danilo Kiš (1935-1989) scrisse il suo primo romanzo, Salmo 44, in meno di un mese, nel 1960, vincendo il premio letterario delle Comunità ebraiche di Belgrado. Prima di aprire la busta con il codice del nome dell’autore, alcuni membri della giuria, ingannati dalla sensibilità della scrittura, erano convinti che fosse stato scritto da una donna. Questo breve romanzo di Kiš, lontano anni luce dalla letteratura dominante di allora e dalla tematica della guerra di liberazione, passò quasi inosservato. Nel 1962 il Salmo 44 venne pubblicato insieme ad un altro romanzo di Kiš, Mansarda. Entrambe le opere, secondo l’editore Kosmos di Belgrado, erano troppo brevi per essere pubblicate separatamente (1).

Se Mansarda (un poema satirico secondo l’autore), frutto delle lunghe preparazioni giovanili per la conquista definitiva della tecnica letteraria e per i sogni parigini, è interessante soprattutto per la piena applicazione dello straniamento (otstranenije, отстранение in russo), trasformazione del linguaggio letterario e deformazione della realtà vissuta in fuga dagli schemi consueti, Salmo 44, nell’opera di Kiš, è romanzo di confine. Dopo il Salmo 44, Kiš scrisse quella sua trilogia famigliare che nell’edizione Gallimard del 1989, pochi mesi prima della morte dell’autore, per sua espressa volontà venne intitolata Le cirque de famille, utilizzando il registro dell’ironia (“distanza ironica”) per evitare il pathos.

Ho sempre sostenuto l’importanza del Salmo 44 all’interno della produzione letteraria di Kiš. Quest’opera era stata preceduta da altri scritti del Danilo "apprendista": i racconti Giuda (Juda) e I capelli (Kosa), e dalla poesia Biografia.

I capelli lunghi del numero 2071

In Giuda, Kiš (ossessionato fin dall’infanzia dal tema dell’inquietante diversità, non soltanto perché figlio di un ebreo scomparso nelle ceneri di Auschwitz), racconta uno dei nuclei del suo dramma: l’ora di pranzo della Pasqua del 1942 quando suo padre tornò a casa senza cibo, con i vestiti sporchi. Il genitore, perfido ebreo, era stato buttato fuori dalla kafana dai paesani appena usciti dalla chiesa, ed era finito in un canale.

Ne I capelli viene offerta la possibilità ad una ragazza ebrea, rinchiusa in campo di concentramento, di non avere i capelli rasati a zero, di avere protezione e un lavoro meno pesante diventando in cambio l’amante del comandante del lager. Lei, numero 2071, si suicida, ma muore con i capelli lunghi, metafora viva del rifiuto dell’annichilimento totale della personalità.

L’ossessione di Kiš giovane per il destino del padre Eduard trovò infine uno dei primi sbocchi letterari nella poesia Biografia, in cui la diversità totale del personaggio centrale dell’opera viene annientata nelle ceneri disperse per i camini del crematorio. Certo, Danilo "apprendista" soffriva non solo per domande che si ponevano ai limiti del pensiero umano, oltre che per la propria ipersensibilità. Le sue sofferenze venivano accresciute di fronte all’interrogativo sul come scrivere della Shoah.

Il Salmo

La copertina per l’edizione de La mansarda e del Salmo 44 di Leonid Šejka (1932-1970), che venne respinta dall’editore Kosmos

La copertina per l’edizione de La mansarda e del Salmo 44 di Leonid Šejka (1932-1970), che venne respinta dall’editore Kosmos

Nel Salmo 44 la mano di Kiš è ancora incerta su quale orientamento artistico adottare per descrivere la tragedia ebraica, in particolare sull’utilizzo del discorso diretto. Attraverso Maria, però, l’ebrea di origine polacca protagonista di questo breve romanzo, Kiš realizzò una sintesi di più temi: l’Olocausto, il padre scomparso, le sofferenze e le paure nell’infanzia, l’umiliazione, la diversità ebraica.

Queste tematiche diventarono i semi sui quali costruì la trilogia nella quale, con la "distanza ironica", li trasformò in complessa metafora della Storia. Il padre di Maria, durante il loro ultimo incontro, spiega alla figlia quanto sia difficile pensare di non essere ebrei nel mondo che insaziabilmente sottolinea le diversità. Essere ebrei non è questione di una goccia di più o di meno del sangue che scorre in un essere umano. Ci sono però gli altri che vedono e annusano questa goccia con sospetto, e la iniettano nel proprio male. “Non è ebreo chi nasce ebreo, ebreo si diventa grazie agli altri”, sostenne a sua volta Jean Paul Sartre, provando a snodare l’intreccio dei fili di questo dramma millenario.

La banalità del male, la banalità della memoria

Maria, superstite dell’Olocausto, dopo molti anni decide di visitare il lager nel quale nacque il suo bambino. Durante la visita si accorge che il luogo della sofferenza si è trasformato in un museo visitato dai turisti. (E’ lo stesso trauma che a sua volta colpì Boris Pahor, spingendolo alla scrittura del romanzo Necropoli.) Lei non riesce a sopportare la voce della guida, né i passi dei turisti che le sembrano venuti ad una sagra. Oltre ad osservare la banalità del male, è evidente che Kiš si appassiona al tema della memoria banalizzata.

Il Salmo 44 ha toccato uno dei tasti del dopoguerra jugoslavo che, rispetto alla tragedia degli ebrei in quei territori, era suonato con toni assolutamente diversi. Secondo Kiš esisteva una latente resistenza ad incontrarsi con l’Olocausto. Lo scrittore allora non usò l’aggettivo ideologica, ma è difficile non dargli ragione: chi, tra noi che abbiamo vissuto là, non ricorda che la tragedia degli ebrei era stata inserita nel grande contesto dei patrioti caduti nella lotta contro il nazifascismo?  Parlare delle vittime vuol dire parlare anche dei loro boia, e dei contesti sociali e politici in cui i criminali si formarono.

A distanza di 50 anni dalla prima pubblicazione del Salmo 44, e a 70 anni del pogrom di Novi Sad, una delle città dell’infanzia drammatica di Kiš dove, fra il 21 e il 23 gennaio 1942, 1.300 ebrei e serbi vennero uccisi dai nazisti ungheresi, quando Eduard Kiš non finì sotto il ghiaccio del Danubio solo perché il buco si era riempito di cadaveri, è difficile ricordarlo solo come artista la cui opera è un atto d’accusa nei confronti dell’antisemitismo e del nazismo. Kiš non voleva dimenticare i gulag sovietici (La tomba per Boris Davidovič) e ci lasciò uno dei più profondi moniti sul nazionalismo, in cui definì questo fratello ideologico del razzismo e della xenofobia come paranoia collettiva causata dalla perdita della coscienza individuale, una vera filosofia dei perdenti.

 

1) Né il primo, né il secondo sono stati tradotti in italiano. Adelphi, detentrice dei diritti d’autore di Kiš in Italia, sinora è rimasta sorda alle richieste degli editori interessati ad una pubblicazione di questi testi. Il cinquantenario della prima edizione del Salmo 44 e di Mansarda sono una buona occasione per ricordarlo [B.S.]

editor's pick

latest video

news via inbox

Nulla turp dis cursus. Integer liberos  euismod pretium faucibua

Possono interessarti anche