Tipologia: Reportage

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Area: Serbia

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Dall’Europa soffia un vento gelido sui Balcani

In una stazione dei treni in disuso di Belgrado più di mille migranti, tra i quali molti minori, vivono al gelo e in condizioni di vita impossibili. Un reportage

03/02/2017, Jacopo Rui -

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(Pubblicato originariamente su Melting Pot Europa, venerdì 27 gennaio 2017)

Uno strato permanente di ghiaccio copre tutta la superficie della piazza che separa le vecchie strutture abbandonate della Glavna železnička stanica, la vecchia stazione centrale di Belgrado. Questo ghiaccio rende il passo perennemente incerto, e i 1200 migranti che abitano quel posto lo sanno bene. Vivere a temperature perennemente sotto lo zero è impossibile. In mancanza di fonti di calore ci si scalda attorno ai fuochi di bivacco, alimentati da plastiche e dalle vecchie traverse dei binari che producono esalazioni altamente tossiche, dovute alle sostanze chimiche di cui il legno è intriso. L’inalazione di queste sostanze rende le narici insensibili a qualsiasi altro odore e, nel lungo periodo, compromette gravemente la respirazione.

Nel gelo della notte, quando le temperature arrivano a toccare anche i diciassette gradi sotto lo zero, il lamento dei tossenti permette di sapere che non sono ancora morti assiderati. Le condizioni igienico-sanitarie sono indegne. I casermoni dove la notte si dorme vestono ancora parti in eternit, non ci sono bagni e ogni escrezione viene riversata in una fogna a cielo aperto. Lavarsi è concesso solo nelle ore più calde – comunque mai al di sopra dello zero – dei pochi giorni assolati, riscaldando l’acqua in alcuni barili arrugginiti, ma rimettendosi addosso gli stessi vestiti di prima. Potersi lavare è comunque un rischio che non tutti decidono di assumersi, per non rischiare di ammalarsi. L’unica fonte d’acqua, ingiallita e non potabile, proviene da un tubo che spunta appena al di sotto della fogna a cielo aperto.

Gli abitanti delle baracche vengono quasi tutti dall’Afghanistan e dal Pakistan, molti sono ancora minorenni, principalmente sono maschi tra i 14 e i 30 anni alla ricerca di un futuro dignitoso in Europa. C’è chi ha provato ad attraversare il confine serbo-croato e serbo-ungherese anche cinque volte. Umar (nome fittizio) racconta del suo ultimo tentativo, quando i poliziotti croati dopo averlo percosso, privato di soldi e telefono e spogliato completamente lo abbiano ripetutamente bagnato a secchiate d’acqua gelida nel cuore della notte, esposto al vento. Jibrhan (nome fittizio) mostra senza timore le ferite in via di guarigione infertegli dai cani dell’unità cinofila croata. “Il confine ungherese è troppo pericoloso, l’ultima volta siamo stati inseguiti e picchiati da poliziotti ungheresi assieme a civili senza divisa”, racconta Aarif (nome fittizio).

L’intera area è recintata e resa inaccessibile alla vista dai pannelli che pubblicizzano il “Belgrade Waterfront”, un imponente progetto di ricostruzione – e probabile gentrificazione – del quartiere Savamala finanziato in parte dai petrodollari di Eagle Hills, una società di Abu Dhabi specializzata nella costruzione e nello sviluppo di centri urbani, e completato dal governo serbo, che investirà 3,5 miliardi di euro, a fronte dei 300.000 milioni garantiti da Eagle Hills. Il progetto prevede la costruzione di case, hotel, attività commerciali, uffici, zone ricreative e un immenso grattacielo, il “Kula Beograd” che sarà il più alto della penisola balcanica.

Non stupiscono allora le pressioni fatte dalla polizia a MSF per aver montato cinque tende vicino alle baracche per accogliere i minori non accompagnati e gli indigenti, né tantomeno stupiscono quelle fatte a chi sta cercando di garantire un pasto al giorno ai migranti presenti, ricordandogli che potrebbero essere arrestati in qualsiasi momento e che le uniche organizzazioni riconosciute sono l’UNHCR e la Croce Rossa serba. Chiari segnali di una volontà politica che non è disposta a considerare l’idea di avere campo profughi all’interno dell’area del Belgrade Waterfront.

Circolano già voci che riferiscono che l’intera area della Glavna železnička stanica sarà rasa al suolo in marzo, dopo averla sgomberata, ovviamente. Per il momento si tollerano i volontari indipendenti che tentano di mantenere in vita i migranti, ma non è chiaro per quanto e fino a che punto sarà concesso loro di operare.

La piazza in cui vengono consegnati i pasti si trova in mezzo alle due strutture più grandi dell’area ed è popolata ad ogni ora del giorno. Come ogni piazza che si rispetti anche questa è portatrice di messaggi politici, spiccano numerose le scritte fatte dai migranti che chiedono l’apertura delle frontiere e lo scorso 24 gennaio i centinaia di profughi che stavano aspettando sotto la neve il loro unico pasto quotidiano hanno deciso unitariamente di iniziare uno sciopero della fame.

Fanno sapere subito che questo non ha alcun rapporto con la qualità del cibo, ma al contrario si rivolgono con amore e rispetto ai volontari che cucinano ogni giorno ringraziandoli per tutta la loro dedizione. Ci tengono però che si sappia chiaramente, attraverso i giornalisti e le telecamere presenti, che questa è una rivendicazione politica rivolta all’Ungheria, perché apra le frontiere e permetta loro di proseguire verso nord. Non sanno forse che da un po’ di tempo è iniziato a circolare in Europa un vento ben più gelido, ostile e pericoloso di quello che sta soffiando oggi sui Balcani.

 

* Campagna Overthefortress

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