Cronache danubiane: c’era una volta un’isola
"C’era una volta Ada Kaleh, un’Atlantide del Danubio inghiottita dalle acque del fiume nel 1970 per rispondere ad esigenze nazionali di produzione di energia idroelettrica". Seconda puntata del viaggio lungo il Danubio da parte dei marciatori del gruppo FuoriVia
(Vai all’introduzione e alla prima puntata del viaggio)
Presso la riva sinistra del Danubio, in territorio romeno, qualche chilometro a valle dalla cittadina di Orșova, Google maps segnala curiosamente la presenza di un’isola perduta che non esiste più, inghiottita per sempre dalle acque del fiume ma ancora ben presente nella memoria collettiva.
Il nostro immaginario non può che essere affascinato dalla storia di Ada Kaleh, l’isola fantasma che lascia un segno indelebile sugli ultimi chilometri della nostra avventura danubiana edizione 2023. Non tanto perché non esistano altri casi di insediamenti umani sommersi dalle acque di bacini artificiali, quanto piuttosto per la singolarità di questa iperbole storica.
Già da Drobeta Turnu Severin, la presenza invisibile dell’isola manda segnali impercettibili alle nostre antenne, come a voler richiamare a tutti i costi la nostra attenzione. A Drobeta inciampiamo per caso nel Cafeneaua Ada-Kaleh, un suggestivo caffè-bistrot in puro stile orientale dedicato alla memoria dell’isola, storico presidio ottomano basato prevalentemente sul commercio. In una tazza di caffè ci sono ricordi per quarant’anni, recita un proverbio turco. E ogni storia su Ada Kaleh sembra effettivamente essere avvolta negli aromi del caffè turco e dei profumi orientali.
Ci siamo lasciati alle spalle la Bulgaria e torniamo in una Romania totalmente diversa da quella che avevamo salutato lo scorso anno a Calarași.
Qui siamo ad un crocevia strategico tra Romania, Serbia e Bulgaria. Ci inerpichiamo sulle colline retrostanti la città di Drobeta e sostiamo nei villaggi di Balotesti e Ilovița, nell’entroterra danubiano, con destinazione finale a Orșova. Ci troviamo nella regione storica del Banato, distretto di Mehendiți, ai piedi dei Carpazi romeni occidentali. I paesaggi attorno a noi sono incantati.
Il Banato ha alle spalle una intrigante storia di ripopolamento che ha reso questa zona tra le regioni più eterogenee in Europa dal punto di vista etnico: romeni, serbi, tedeschi, ungheresi, altre residue minoranze di slovacchi, ebrei, rom, bulgari, ucraini, armeni. E ottomani, appunto.
La storia dell’isola è tristemente nota: c’era una volta Ada Kaleh, un’Atlantide del Danubio inghiottita dalle acque del fiume nel 1970 per rispondere ad esigenze nazionali di produzione di energia idroelettrica.
Veniamo a sapere che non è rimasta sommersa solo l’isola: con l’inizio della costruzione delle Porte di Ferro negli anni Sessanta del Novecento, 11 villaggi sul versante romeno e 7 su quello serbo sono stati persi sotto la diga.
Ma la forza evocativa che ancora esercita Ada Kaleh rispetto agli altri villaggi sepolti sul fondale del fiume sta forse nella sua storia millenaria, di cui parla anche Erodoto, e soprattutto nella continuità culturale ed etnica di un’enclave ottomana che fu completamente dimenticata dal Congresso di Berlino nel 1878, quando si volle rettificare la destinazione dei territori turchi in Europa in seguito alla guerra russo-turca del 1877. Sta forse proprio qui l’apice dell’iperbole, per cui l’isola rimase di fatto una florida enclave ottomana sotto l’impero austro-ungarico fino al termine della Prima Guerra Mondiale, quando passò sotto il controllo romeno dopo un referendum indetto tra gli abitanti dell’isola.
Immaginate un luogo in cui vi sembra di aver varcato i confini del continente ma di essere ancora a casa, in Europa. In lingua turca Ada Kaleh significa isola fortezza. Abitata da circa 600 turchi, aveva una lunghezza di 1,7 km e una larghezza di 500 metri. Per la sua posizione strategica ebbe una grande importanza nel conflitto tra l’Impero Asburgico e quello Ottomano come confine politico e militare, ma anche come punto d’incontro di culture diverse.
Ci concediamo una crociera sul Danubio lungo la gola di Kazan e, come i compagni di Ulisse, siamo ipnotizzati dal canto delle sirene che riecheggia tra una sponda e l’altra del fiume attraverso le note di una celebre canzone d’epoca: Ada-Kaleh, autore Gigi Marga, edizioni Electrecord, paese Romania, rilascio 1960. L’incipit della canzone recita più o meno così: Da secoli, il Danubio d’argento / scorre e racconta la storia / della bella Ayşe / che abitava sull’isola di Ada-Kaleh / La storia sussurra che lei amava / Dragomir, un vecchio uomo di mare / e nell’incanto della sera / i due amanti cantavano così / Ada Kaleh, Ada Kaleh / sulla tua terra magica / sboccia l’amore.
Se è vero che in una tazza di caffè ci sono ricordi per quarant’anni, è certamente vero che ad oltre mezzo secolo dalla sua scomparsa, l’isola continua a rappresentare un’inesauribile fonte di ispirazione per ricerche accademiche e progetti culturali.
Scopriamo che sui social sono presenti numerose community dedicate alla conservazione della memoria dell’isola, spesso alimentate da chi con l’isola ha avuto un rapporto diretto. Esiste anche un portale digitale – ADAKALE (Hi)STORies – che si propone di catalogare, archiviare e diffondere informazioni, fonti storiche, opere d’arte e materiale video-fotografico sull’isola di Ada Kaleh. Il progetto è finanziato dal Center for Culture and Governance in Europe e realizzato in collaborazione con il Center for Turkish Studies dell’Università di Bucarest.
Tra un chilometro e un altro, nelle pause all’ombra di qualche prugno selvatico, cerchiamo ulteriori informazioni su internet. E scopriamo che vive ad Orșova l’unico ex residente dell’isola scomparsa che ha scelto di rimanere vicino al suo luogo di nascita. Classe 1942. Leggiamo la sua testimonianza in un’intervista rilasciata di recente ad una testata online. Lo troviamo su Facebook e cerchiamo di contattarlo chiedendo se è disposto a vederci per un caffè. Lui non ci risponde, ma ci risponde suo figlio, che però non può incontrarci poiché è fuori città e noi lasciamo Orșova il mattino dopo. Siamo giunti al termine della nostra tappa: dopo oltre 500 km, di cui quasi 300 a piedi, si torna a casa. Con un po’ di emozione, gli proponiamo di tenerci in contatto e lui accetta di buon grado.
Nell’atto del camminare, la strada, il sentiero, la sosta, gli incontri, si fanno simboli del nostro rapporto con le cose. L’isola perduta è un incontro inaspettato per noi, un simbolo archetipico di un’avventura umana che varca la soglia del continente. Ci sentiamo come teletrasportati di nuovo in Turchia, lungo i sentieri polverosi della Via Egnatia. Ma forse è proprio questo il cammino: in viaggio, quarta dimensione.
editor's pick
latest video
news via inbox
Nulla turp dis cursus. Integer liberos euismod pretium faucibua