Tipologia: Intervista

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Crisi economica e Balcani

A causa della crisi il modello economico nei Balcani, incentrato quasi esclusivamente su investimenti dall’estero, non è più sostenibile. Per Vladimir Gligorov, docente dell’Istituto viennese per gli studi economici internazionali, è necessario ripartire dall’imprenditoria locale

27/12/2011, Cecilia Ferrara -

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Professor Gligorov, come affrontare la crisi economica che sta colpendo anche i Balcani?

Non c’è una soluzione semplice. Tradizionalmente l’economia nei Balcani è basata su investimenti stranieri piuttosto che locali. Questo ora deve cambiare e l’alternativa deve venire da risorse locali e da imprenditori locali. La domanda da porsi dovrebbe essere: quali sono le cose che può fare la politica per lo sviluppo di queste risorse?

Il problema è che nei Balcani non c’è una grande esperienza di sviluppo locale: o ci si appoggia ad espatriati o, quando possibile, a stranieri che prestano soldi o investono localmente. Dunque si tratta di un compito molto difficile, non perché non possa essere contemplato, ma perché non ci sono basi istituzionali né l’abitudine a portare avanti questo tipo di sviluppo.

Quindi la politica dovrebbe far nascere una classe di nuovi imprenditori?

Il fatto è che ad oggi o si fa affidamento solo sugli investimenti stranieri, oppure si crea una cooperazione stretta tra i principali investitori locali e il governo. Quindi se non ci sono soldi che vengono da fuori si formerà un’oligarchia che guida l’economia che in genere riguarda il commercio, la finanza o i servizi. Questo non è molto positivo. Da un punto di vista politico è necessario rompere questo legame per aprire opportunità per altri imprenditori.

Restando invece sugli stranieri nei Balcani: che cosa pensa dell’investimento Fiat in Serbia ?

Per come stanno le cose, non so quanto lontano possa andare questo progetto. Le informazioni non sono tutte chiare, ogni tanto viene fuori una grande promessa su qualcosa che verrà fatto, ma ormai è da un po’ di tempo che stiamo aspettando.

Ritengo esista un potenziale per l’industria dell’auto nei Balcani, perché a parte la Romania con la Dacia, quest’area è priva di un’industria automobilistica, dunque potrebbe essere un progetto interessante a livello regionale, ma fino a dove arriverà non lo so.

C’è un grande bisogno di industria nei Balcani, ma sono pochi gli investitori stranieri interessati, mentre gli investitori locali non hanno esperienza nello sviluppo di  industrie.

Non è rischioso puntare sull’industria? Penso ad altre realtà dell’est Europa, arrivano imprenditori per sfruttare i salari bassi e poi se ne vanno in altri Paesi dove il lavoro costa ancora meno…

E’ un ciclo abbastanza normale e non è detto che sia del tutto negativo, dipende se si riesce nel frattempo a fare un salto di qualità con l’industria. Ad esempio uno può cominciare con il tessile; il tessile non è davvero competitivo nei Balcani perché è più forte in Asia, quindi necessariamente sparirà.

Nel frattempo però si è costruita una infrastruttura istituzionale o anche fisica che permette di fare un passo in direzione di un’industria più specializzata: meccanica per esempio, un’attività che non sia basata solo sul basso costo del lavoro. In un certo senso ogni tipo di industria è migrante, ci si può sempre aspettare che gli investitori vadano dove il lavoro costa meno. Ma non è questo il problema. Il problema è che nei Balcani non c’è questa scalata verso l’innalzamento della qualità della produzione, non c’è nemmeno il primo passo.

Pensa che con la crisi sia in pericolo anche l’importante risorsa delle rimesse?

Le rimesse sono estremamente importanti e fino ad oggi hanno tenuto. Ci sono alcune indicazioni economiche che ci dicono che i lavoratori migranti dei Balcani non vengono "tagliati" nel primo round della crisi, perché sono più pronti ad accettare salari più bassi. Per ora ci sono alcune perdite di lavoratori stagionali in Bulgaria e Romania, ma i migranti che sono da più tempo in Europa o Oltreoceano non sono lasciati a casa così facilmente.

Quindi le rimesse tengono, anzi generalmente quando le persone a casa sono in difficoltà le rimesse aumentano, si spediscono più soldi. In periodi come questi assistiamo ad un aumento del flusso di denaro verso la madrepatria. Se si prolunga la crisi certo è differente, perché ci saranno altri problemi: i governi dei Paesi più sviluppati adotteranno legislazioni contro i lavoratori stranieri, diventerà più difficile per chi sta fuori e non ci sarà più la  possibilità per altri lavoratori di lavorare all’estero e garantire le rimesse. In conclusione le rimesse rimangono una parte importante dell’economia nei Balcani ma come andranno in futuro dipenderà dallo stato dell’economia dei Paesi ospiti.

Cosa potrebbe cambiare con la Croazia nell’UE?

Per la regione non cambierà molto, la situazione economica croata è molto negativa e non cambierà con l’entrata nell’Unione europea. Sarebbe stato diverso 5 anni fa, ma non ora. La Croazia non può fare molto per la regione, non è un Paese industrializzato. Certo il turismo è importante ma solo dove c’è il mare e la maggior parte della regione è continentale. Inoltre la Croazia avrà l’ulteriore svantaggio di avere un confine esterno UE verso gli altri Paesi balcanici con conseguente necessità di un adattamento del CEFTA (Central Europe Free Trade Agreement).  Niente cambia dal giorno alla notte. La Croazia attraverserà un periodo molto difficile in cui dovrà affrontare i propri problemi, poi vedremo.

Quindi quali sono i benefici dell’allargamento per i Balcani?

Al momento sono benefici indiretti: la stabilità politica e il supporto alla democrazia sono fondamentali; la costruzione delle istituzioni necessarie allo sviluppo, che è un processo lento ma importante; ed infine c’è il capitale umano, ovvero i giovani che hanno la possibilità di studiare all’estero e tornare in patria con più conoscenze e competenze. Sono benefici a lungo termine. Certo, erano più attraenti gli short terms benefits, avere risorse economiche e fondi immediati, che arrivavano all’inizio del processo di allargamento, ma sono altrettanto importanti quelli indiretti. Se c’è una sostanziale democrazia nei Balcani è anche grazie all’Europa.

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