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COVID diplomacy, la Turchia rilancia nei Balcani

Con lo scoppio dell’epidemia di coronavirus, la Turchia invece di rallentare ha rilanciato la propria azione diplomatica, soprattutto nei Balcani, lungo il solco della visione "neo-ottomana" lanciata negli anni scorsi dalla visione di Ahmet Davutoğlu

20/05/2020, Filippo Cicciù - Istanbul

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La Turchia al centro della mappa, dal suo territorio partono frecce che si orientano in ogni direzione, arrivando a toccare l’intero continente americano, Africa, sud-est asiatico, Europa e Cina. L’infografica diffusa dall’agenzia di stampa statale turca Anadolu descrive dove Ankara ha distribuito aiuti nell’ambito della lotta al coronavirus ed è tanto ramificata da assomigliare alla mappa delle destinazioni internazionali della compagnia aerea Turkish Airlines prima che l’emergenza COVID-19 la costringesse ad interrompere temporaneamente i propri voli (riprenderanno il 28 maggio, ndr).

Come annunciato a gran voce dal governo turco, sono oltre 100 gli stati che hanno ufficialmente chiesto aiuto ad Ankara per fronteggiare la pandemia. “Abbiamo fornito assistenza sanitaria a 57 paesi”, ha chiarito in aprile il ministro degli Esteri turco Mevlüt Ҫavuşoğlu. Cifre che da sole descrivono l’ampia dimensione della politica estera turca mentre guardando alle traiettorie degli aiuti si comprende l’ampio raggio del soft power che Ankara ha recentemente tentato di esercitare sfruttando a livello diplomatico l’emergenza dettata dal COVID-19. Del resto, dopo un periodo di isolamento durante gli anni ’90, negli ultimi 20 anni la Turchia ha sviluppato un approccio multidirezionale nei rapporti internazionali diventando un interlocutore che riesce a dialogare con governi di tutto il mondo, a prescindere da distanze religiose, ideologiche o riguardo al rispetto di valori democratici e diritti umani.

Covid-diplomacy e Balcani

Gran parte degli aiuti forniti da Ankara per contenere la diffusione del coronavirus sono stati destinati ai paesi balcanici. La Turchia ha inviato materiale medico in Serbia, Bosnia, Albania, Montenegro, Macedonia del nord, Bulgaria e Kosovo. Una diplomazia di mascherine chirurgiche e disinfettanti che ha provocato un coro di calorosi ringraziamenti da Belgrado a Sofia, passando per Sarajevo, e qualche dubbio in patria. Molti turchi si sono domandati polemicamente perché la Turchia si spendesse ad elargire aiuti in tutto il mondo proprio mentre i casi e le morti da COVID-19 nel paese crescevano e la valuta nazionale perdeva costantemente valore rispetto ad euro e dollaro. 

Oggi possiamo dire che il presidente Erdoğan non ha forse sbagliato i suoi calcoli, visto che in Turchia il numero di casi e morti da COVID-19 cala giorno per giorno, e  le restrizioni per contenere la pandemia si stanno gradualmente allentando. Nello stesso tempo, la politica degli aiuti di Ankara è riuscita a rinnovare i rapporti già consolidati con i paesi balcanici mentre nella regione cresceva il malcontento per una presunta mancata assistenza da parte dell’UE.

Le difficoltà incontrate dai paesi UE nella prima fase dell’emergenza, insieme ad una certa confusione, hanno creato la sensazione che l’Unione non fosse interessata o in grado di fornire aiuti ai Balcani. La decisione della Commissione del 16 marzo di limitare l’export di apparecchiature mediche, mascherine e abbigliamento protettivo, ad esempio, ha attirato critiche da parte di alcuni leader nella regione come Aleksandar Vučić. “La solidarietà europea non esiste”, aveva detto senza mezzi termini il presidente serbo commentando a caldo la decisione di Bruxelles.

Gli aiuti europei nei Balcani sono arrivati sì, ma con un’esitazione che ha contribuito a creare la percezione di un’UE titubante, in contrapposizione all’immagine di una Turchia che invece riusciva a fornire prontamente aiuti nella regione. Negli stessi giorni in cui Vučić criticava l’Europa, il membro bosgnacco della presidenza della Bosnia Erzegovina Šefik Džaferović elogiava Erdoğan affermando come un carico di materiale medico da Ankara fosse atterrato a Sarajevo a poche ore da una telefonata che aveva avuto con il presidente turco per chiedere aiuti.

I ringraziamenti incassati per questo sostegno sono stati presentati dalla stampa turca filo-governativa come l’ennesima prova che l’Europa non sia in grado di assistere i Balcani nella maniera adeguata. Il Presidente francese Emmanuel Macron ha dato inconsapevolmente spessore a questa interpretazione affermando che la Turchia, insieme a Russia e Cina, rappresenta oggi uno dei più temibili concorrenti dell’UE nell’area balcanica.

Turchia e UE nei Balcani, una relazione bipolare

Da molti anni infatti Ankara – ufficialmente ancora candidata alla membership UE – coltiva un proficuo rapporto con i paesi dei Balcani cercando accrescere la propria influenza nella regione, secondo alcuni a discapito dell’Unione europea. Con la presenza UE in Europa sud-orientale la Turchia ha sviluppato negli anni recenti una relazione bipolare, basata su distanze per ora inconciliabili a livello di valori politici e sociali ma ancora in grado di reggere dal punto di vista dell’interscambio economico.

La relazione della Turchia con i Balcani si sviluppa geograficamente a partire dalla regione della Tracia, la parte più occidentale del territorio turco e appartenente alla stessa penisola balcanica. Per comprendere gli attuali rapporti con Ankara è anche necessario considerare secoli di dominio ottomano sulla regione, un passato impossibile da dimenticare su cui, in parte, si basano le relazioni di oggi. Dopo la disgregazione della Jugoslavia, Ankara ha avuto un ruolo sempre più presente a partire dalla fine degli anni ’90 con la piattaforma di cooperazione regionale South-East European Cooperation Process di cui la Turchia è membro fondatore.

Il passato ottomano come tessuto culturale comune è invece la base ideologica delle politiche di Ahmet Davutoğlu, accademico turco e teorico della politica estera dei governi di Erdoğan, prima da consulente per gli affari esteri e poi da ministro a partire dal 2009. La sua politica mira a un recupero dei rapporti a fini commerciali e strategici con gli stati dell’ex Impero Ottomano, quindi anche con la regione balcanica. Una visione che per molti anni ha guidato le scelte in politica estera di Ankara e che ha influito con successo anche nell’area balcanica producendo una serie di accordi come la Dichiarazione per la Cooperazione Economica e Commerciale tra Turchia, Serbia e Bosnia firmata ad Ankara nel 2013.

La visione “neo-ottomana” di Davutoğlu non si è forse mai consolidata completamente, soprattutto dopo che il professore è stato allontanato dalla carica di primo ministro che rivestiva nel 2016 per ordine del Presidente Erdoğan per poi rompere definitivamente i rapporti con quest’ultimo andando addirittura a fondare, a dicembre 2019, un partito alternativo a quello di governo, il Gelecek Partisi (il Partito del Futuro, ndr). Le relazioni tra la Turchia e i Balcani sono invece sopravvissute alla dipartita di Davutoğlu e, come dimostra la vicinanza con gli aiuti medici forniti per fronteggiare l’emergenza COVID-19, Ankara resta fortemente impegnata a dare assistenza in ambito economico, culturale e militare nella regione.

Turchia-Balcani, interesse reciproco

I Balcani interessano moltissimo a Erdoğan anche per la controversa questione delle estradizioni dei cosiddetti gulenisti presenti nell’area, ma in generale l’attenzione è reciproca. Il rapporto tra Turchia e Serbia si sviluppa sulla scia di quello tra Ankara e Mosca che con Belgrado vanta relazioni di primo livello. In Serbia la Turchia non può puntare sulla carta della solidarietà musulmana, ma aspira a una relazione formata da una collaborazione pragmatica e garantita da un buon rapporto tra Erdoğan e Putin. Il premier albanese Edi Rama ha instaurato un dialogo continuo con Erdoğan mentre in Bosnia il presidente turco gode di un ampio sostegno anche da parte della popolazione. A fine dicembre, tra Montenegro e Turchia è stato firmato un protocollo di cooperazione riguardo all’industria della Difesa. Cordiali anche i rapporti tra Erdoğan e il premier bulgaro Borisov che si reca spesso in Turchia, l’ultima volta la sua visita è stata accompagnata dal presidente serbo Vučić in occasione dell’inaugurazione simbolica, a Istanbul con Erdoğan e Putin, del TurkStream, gasdotto che porta energia dalla Russia alla Turchia e di cui è in programma uno sviluppo verso i Balcani.

Osservare la prospettiva globale della diplomazia degli aiuti per il COVID-19 di Ankara aiuta soprattutto a capire le ambizioni della Turchia a livello internazionale, o almeno l’immagine che di sé vuole mostrare. Ankara ha continuato a percorrere linee tracciate da anni per consolidarle, come nel caso dei Balcani. La diplomazia da COVID-19 di Ankara funziona dove i rapporti sono già consolidati, ma dove invece le relazioni sono instabili, rischia di non lasciare tracce visibili sul medio-lungo periodo.

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