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Conflitto Armenia-Azerbaijan, i rischi per la Georgia

In Georgia vivono due consistenti comunità di armeni e azeri che vivono perlopiù in modo separato. Il conflitto in corso ha esacerbato gli animi delle due minoranze, in particolare sui social media, destando la preoccupazione degli analisti

27/10/2020, Onnik James Krikorian - Tbilisi

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Per George Gogua, giornalista a Tbilisi, il web era già diventato tossico con l’avvicinarsi delle elezioni parlamentari in Georgia di fine ottobre. Con il diffondersi di disinformazione e propaganda politica, aveva deciso di disattivare temporaneamente l’account Facebook e prendersi una pausa dal dibattito polarizzato e spesso ostile sui social media.

Questo succedeva a giugno, ma la situazione è peggiorata ulteriormente poche settimane dopo il ritorno del giornalista su Facebook alla fine di agosto: non a causa delle elezioni, ma perché stavano per scoppiare i combattimenti tra Armenia e Azerbaijan, i due vicini della Georgia, sul territorio conteso del Nagorno Karabakh.

All’inizio degli anni ’90 i due paesi hanno combattuto una sanguinosa guerra sulla regione autonoma di etnia prevalentemente armena, situata all’interno di quello che la comunità internazionale considera territorio sovrano azero. Al momento della firma del cessate il fuoco nel 1994 erano morte oltre 25.000 persone, e nel 2016 altre 3.000 erano state uccise in ripetute violazioni di una tregua traballante.

L’Armenia aveva il controllo non solo del Nagorno Karabakh, ma anche di gran parte delle sette regioni circostanti. A circa 600.000 sfollati interni azeri si erano aggiunte circa 160.000 persone di etnia azera costrette a lasciare l’Armenia e 300.000 di etnia armena in fuga dall’Azerbaijan.

La pace duratura è rimasta un miraggio

"Ho partecipato a diversi progetti transfrontalieri con colleghi armeni e azeri", afferma Gogua. "Ci siamo divertiti e persino loro hanno convenuto che il conflitto è politico e non dovrebbe influenzare le relazioni personali. Ma quello che hanno pubblicato online durante questo ultimo scontro mi ha sconvolto. Si era trasformato in qualcosa di molto peggio”.

Nel frattempo, mentre l’ultimo confronto militare scoppiato il 27 settembre è diventato rapidamente una guerra su vasta scala, due giorni dopo quelle tensioni si sono estese alla Georgia. Gli abitanti di etnia armena della regione occidentale del paese di Samtskhe-Javakheti hanno persino bloccato l’autostrada Turchia-Georgia dopo la diffusione sui social media di accuse di spedizioni di armi in Azerbaijan.

Le comunità di minoranza etnica armena e azera della Georgia sono le più grandi del paese: contano rispettivamente 168.000 e 284.000 abitanti. Sebbene ci siano casi di coesistenza e persino coabitazione in diversi villaggi, paesi e città, la maggior parte delle comunità rimane per lo più separata, cosa che inizia a preoccupare alcuni analisti.

Si sono già tenute manifestazioni di cittadini di etnia azera della Georgia, che hanno marciato verso l’ambasciata azera a Tbilisi per mostrare il loro sostegno all’azione militare. Ci sono state anche proteste in risposta alle accuse da parte della comunità etnica armena della Georgia, secondo cui Tbilisi stava bloccando l’invio di aiuti umanitari in Armenia.

Tale affermazione è stata respinta dall’Ambasciata armena a Tbilisi e lo stesso governo armeno ha avvertito i suoi cittadini e compagni di etnia di essere particolarmente cauti sui social media. La situazione è particolarmente precaria per l’Armenia, poiché la maggior parte del suo commercio passa attraverso la Georgia, mentre solo una piccola parte passa dal suo unico altro confine aperto con l’Iran. Quelli con Azerbaijan e Turchia rimangono chiusi.

Di conseguenza, se il conflitto andasse a coinvolgere una delle minoranze etniche, per non parlare di entrambe, le conseguenze potrebbero essere devastanti.

"Le comunità sono rimaste relativamente isolate dalla prima guerra del Karabakh", afferma Laurence Broers, Direttore del Caucasus Programme di Conciliation Resources con sede nel Regno Unito, "ma oggi chiunque, ovunque, può partecipare a dibattiti tossici e radicalizzanti su questo conflitto sui social media. Qualsiasi radicalizzazione delle due principali minoranze mette a rischio la nazionalità civica conquistata a fatica dalla Georgia".

Campanelli d’allarme

"La mia principale preoccupazione è che le minoranze etniche all’interno della Georgia possano diventare sempre più settarie e coinvolte nel conflitto", afferma Michael Hikaeri Cecire, studioso non residente presso la Frontier Europe Initiative del Middle East Institute. “Offrendosi volontari per partecipare al conflitto, ma anche provocando crescenti tensioni e minacciando la pacifica coesistenza delle popolazioni etniche azere e armene nel Paese”.

Concorda Arnold Stepanian, presidente del movimento pubblico Multinational Georgia.

"La situazione attuale tra le comunità di etnia armena e azera è diventata molto aggressiva e tesa", dice. “La disinformazione sta giocando un ruolo enorme nel provocare odio interetnico e aggressività. Sono coinvolti anche i media russi e turchi”.

Ed è proprio il coinvolgimento di attori esterni a preoccupare maggiormente gli analisti.

"Le implicazioni regionali degli attuali scontri per il Nagorno Karabakh sono molto gravi", afferma Irakli Sirbiladze, analista di affari internazionali della Georgia. “Questo momento è diverso dal passato. Le dinamiche del conflitto rendono chiaro che le implicazioni dei combattimenti vanno ben oltre l’Armenia e l’Azerbaijan”.

In effetti, ci sono già state accuse di uso dello spazio aereo georgiano per spedizioni di armi e mercenari dalla Turchia all’Azerbaijan, e il presidente azero ha affermato lo stesso riguardo alle spedizioni in Armenia. La Georgia nega tutto e afferma che le prove, se ci saranno, saranno presentate all’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile.

Cecire del MEI osserva che, sebbene la neutralità della Georgia sia ragionevole date le circostanze, potrebbe rivelarsi insostenibile nel tempo, poiché il paese è l’unica via diretta di rifornimento sia per l’Armenia che per l’Azerbaijan. Il 22 ottobre, ad esempio, un parlamentare russo ha "consigliato" alla Georgia di "accettare con calma" la necessità di consentire il transito, se necessario.

"La possibilità di un’escalation esiste", dice, "e la Georgia dovrà affrontare la scelta impossibile tra bloccare i rinforzi e le forniture russi, con la possibilità di un’invasione russa per forzare un corridoio, o di consentire il transito con la possibilità che le forze azere e/o turche intervengano per fermarlo”.

Anche se le parti in conflitto dovessero accettare di rispettare i confini e lo spazio aereo della Georgia, Cecire ritiene che le relazioni con tutte le parti in causa potrebbero risentirne. E se l’offerta della Georgia di ospitare una mediazione tra Armenia e Azerbaijan potrebbe essere utile in futuro, è improbabile che venga accettata finché una parte crede di avere un vantaggio militare sul terreno.

"Di tutti gli attori regionali non belligeranti, la Georgia è quella che ha potenzialmente più da perdere in questa guerra", afferma Alexander Scrivener dell’Eurasia Democratic Security Network. “È chiaramente irrealistico che la Georgia assuma un ruolo guida nella mediazione e dovrebbe probabilmente evitare il coinvolgimento in qualsiasi missione fisica di mantenimento della pace. È probabile che la forza relativa della Georgia risieda nella diplomazia interpersonale e nell’agevolare contatti informali o di livello inferiore tra funzionari e responsabili politici dell’Armenia e dell’Azerbaijan".

"Questa guerra è una cattiva notizia per la Georgia", conclude. “Ma quanto cattiva dipende da come si sviluppa la situazione. Come minimo, la Georgia dovrà affrontare gli effetti economici di essere circondata da un muro di fuoco. Il conflitto a sud, oltre alla sua già difficile situazione con la Russia, non è di buon auspicio per un’economia georgiana già vacillante a causa del Covid-19".

"Il conflitto, evidenziando l’impotenza e il disinteresse dell’Occidente per la regione, rischia anche di portare ad un ulteriore radicamento dell’egemonia russa", dice. "Anche questa, per usare un eufemismo, non è una buona notizia per la Georgia".

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