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Area: Turchia

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Colpita, ma non affondata

La crisi economica mondiale e il suo "effetto domino" ha iniziato a farsi sentire anche in Turchia. Ma le opinioni sono discordanti. Il premier Erdoğan rassicura i cittadini, il ceto imprenditoriale esprime la propria preoccupazione

21/10/2008, Fazıla Mat -

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Non è la prima volta che la Turchia si trova di fronte ad una seria crisi finanziaria. L’ultima risale al 2001 ed è ancora ricordata come un vero incubo. In quell’occasione il settore bancario è stato messo a dura prova, sono fallite diverse banche, e il processo di recupero è stato reso possibile grazie a fondi pubblici.

Dopo quella brutta esperienza, la ripresa economica che si è registrata nell’arco degli ultimi sette anni rischia ora di essere minacciata dalla nuova crisi globale, anche se la lezione del 2001 sembrerebbe non andata completamente persa. Infatti, un maggior numero di controlli e regolamentazioni avrebbe reso le basi del settore bancario turco più solido. Il Prof. Asaf Savaş Akat, in un’intervista rilasciata al quotidiano "Vatan", spiega come le banche turche si siano orientate maggiormente verso un sistema "alla vecchia maniera che concede il credito al consumatore e lo gestisce in prima persona, in modo tale da avere meno rischi per il suo capitale; in più, in questo momento di dissesto, le banche in Turchia hanno fatto in modo di disporre di liquidità. Per questo motivo possiamo dire che il settore bancario è relativamente solido". Atakan esclude che la Turchia possa superare la crisi senza esserne toccata, ma sottolinea che il punto debole della Turchia resta il deficit esterno che ammonta a 50 miliardi di dollari.

Il governo turco, dal canto suo, tende a minimizzare gli effetti della crisi. ll premier Erdoğan, nella dichiarazione rilasciata in occasione dell’inaugurazione della Settimana del commercio estero il 13 ottobre scorso, ha dichiarato che sarebbe un atto di estremo ottimismo dire che la crisi economica non toccherà la Turchia, ma che sono state prese tutte le misure necessarie per arginare i suoi effetti negativi. Ha poi accusato quelli che fanno allarmismo gratuito: "Tutto ciò che fanno è iniettare pessimismo alla popolazione. Lo dico apertamente. In questo paese ci sono persone che attendono con ansia che ci sia una crisi. Ci sono persone che attendono profitti politici o economici dalla crisi." (…) Oggi, dal punto di vista finanziario, siamo in una posizione molto migliore di numerosi paesi sviluppati. Se saremo in grado di gestire questo periodo in modo intelligente e deciso potremmo trasformarlo in guadagno".

Le voci più allarmate riguardo alla crisi economica sono arrivate dal mondo imprenditoriale. Il presidente della TÜSİAD (la Confindustria turca) Arzuhan Doğan Yalçındağ, si è fatta portavoce dell’apprensione che circola tra gli imprenditori turchi, già alle prese con il rallentamento degli affari nel mercato interno nell’ultimo anno. In particolare si teme per il calo atteso nel campo dell’esportazione reale, nella quale Europa e Russia risultano essere i principali mercati destinatari.

Yalçındağ, ha sottolineato che la difficoltà degli istituti finanziari stranieri nel concedere crediti, non solo costituirebbe un fattore di rischio nel finanziamento degli investimenti del settore privato turco, ma darebbe un colpo d’arresto anche al processo di crescita economica che proprio grazie a questo supporto finanziario si sarebbe accresciuto tra il 2001 e il 2007. I recenti dati sulla produzione sarebbero già un motivo di allarme: " Nel mese d’agosto la produzione industriale è calata del 4%. I dati sulla produzione indicano che nel terzo quadrimestre la crescita sarà di molto inferiore al risultato atteso. Tutto ciò porta con sé il rischio di vedere accresciuto ancor di più il tasso di disoccupazione, attualmente dell’11,7% circa nei settori secondario e terziario. Se prima di arrivare a questo punto fossero state completate le riforme strutturali da noi portate all’ordine del giorno in numerose occasioni, fossero state messe in atto delle micro riforme, il rapporto con l’ IMF fosse stato riformulato all’interno di un nuovo accordo e fosse stata data un’accelerazione al processo di adesione UE, anche noi avremmo reso un po’ più resistenti questi nostri confini su cui è giunta l’onda della crisi globale".

La tensione generata tra la parte governativa e quella imprenditoriale – La Yalçındağ aveva risposto alle accuse di "allarmismo gratuito" sollevate dal premier dicendo che "non è il momento di far tacere chi parla, di dire ‘ci pensiamo noi’ per ostacolare i dibattiti e di accusare il settore privato che fa gli investimenti" – sembra ora distendersi nella ricerca di un accordo: il ministro dell’Economia Kemal Unakıtan la settimana scorsa ha organizzato un incontro, avvenuto a porte chiuse, per discutere sulle misure da prendere contro la crisi.

Tra le "misure precauzionali" esposte dal ministro, compare in primo piano un progetto di legge su cui il governo turco starebbe attualmente lavorando: "Permetteremo di portare in patria, senza sottoporli ad alcun tipo di controllo, il denaro posseduto dai cittadini turchi all’estero".

Attirare in patria i risparmi dei turchi che si trovano all’estero, ma anche impedire che i risparmi escano dal paese concedendo ai depositi bancari una garanzia totale: il governo si sta soffermando anche su quest’altra possibilità che allo stato attuale sarebbe accolta favorevolmente dalle banche piccole ma osteggiata da quelle maggiori del paese.

Unakıtan ha spiegato che le continue oscillazioni che si hanno nella Borsa di Istanbul (IMKB) sono dovute per la maggior parte alle operazioni realizzate dagli stranieri la cui partecipazione in borsa sarebbe del 70%. "La borsa può scendere perché è soggetta ai cambiamenti esterni. Non c’è un problema che nasce dall’interno della Turchia. (…) la Turchia è ancora un porto sicuro. Quando la si guarda dagli Sati Uniti o dall’Europa, le banche turche sono le più affidabili". Proseguono nel frattempo alcune privatizzazioni "che non sono toccate dalla crisi, come quello della Lotteria Nazionale (Milli Piyango). (….) Continueremo anche la privatizzazione dell’impresa elettrica, mentre per quanto riguarda la Halk Bank (Banca Popolare) procederemo alla privatizzazione appena la piazza sarà favorevole." Ma come confermato dallo stesso ministro dell’Economia, i settori maggiormente vulnerabili agli effetti della crisi sono quello reale assieme alle piccole e medie imprese: "Stiamo facendo degli studi nella finanziaria per trovare loro dei crediti di prestito economici".

Intanto, a partire dal 9 ottobre, La Banca Centrale (Merkez Bankası) per far fronte alla richiesta di valuta estera creata dal denaro in uscita, ha ripristinato la propria attività di intermediario nella piazza del deposito di valuta estera dalla quale si era ritirata nel 2002. Il provvedimento avrebbe il fine di creare liquidità in valuta estera, in un momento in cui ve ne è maggiore necessità per via della diminuzione del flusso di soldi stranieri sorto con la crisi.

Secondo i dati riportati dal quotidiano Radikal del 19 ottobre, infatti, basati su quelli pubblicati dall’ Istituzione di regolamentazione e controllo bancario (BDDK), tra il 3 e il 14 ottobre scorsi, gli investitori stranieri avrebbero venduto i loro risparmi in Nuove lire turche (YTL) per acquistare valuta straniera e lasciare il paese. Nello stesso arco di tempo, gli investitori turchi, invece, avrebbero approfittato del cambio elevato (il dollaro è salito a 1.494 YTL registrando un aumento dell’11,5%, mentre l’Euro è salito a 2.020 YTL) per vendere i loro risparmi in valuta straniera e acquistare lire turche. Il tutto ha avuto l’effetto di snellire in undici giorni i conti correnti in valuta estera da 66 miliardi e 633 milioni a 60 miliardi e 100 milioni di dollari.

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